“Dovrebbe manifestarsi nella forma del progetto l’intreccio tra le due anime del museo, o forse la convivenza di due musei? O è sufficiente rinviare questo compito ai futuri direttori del “Betile”? Noi crediamo che il progetto debba cercare di rispondere alla domanda, e farsi strumento concreto, ma non inflessibile, della missione del museo.”
elaborazione Garofalo Miura Architetti
© Nicoletta Schirru . Published on December 07, 2013.
“Certo esistono obiettivi importanti, come quello di sommare i due pubblici (dell’archeologia e dell’arte), oppure di dotare Cagliari di un’attrazione urbana che la collochi sulla mappa delle città sedi dei nuovi grandi musei. Ma la missione vera dovrebbe essere un’altra: fare interagire una espressione identitaria (la civiltà nuragica), con una pratica globale (la ricerca artistica contemporanea). Per far questo non basta accostare le opere d’arte arcaiche e quelle di oggi per rilevare un’affinità che rimanda alle curiosità etnografiche, ma sempre eurocentriche, del primo moderno. Il pensiero contemporaneo ha infatti messo in discussione il fondamento di quelle affinità, creandone paradossalmente di nuove. Da una parte, il carattere “artistico” delle testimonianze nuragiche è stato ricollocato nello spettro delle manifestazioni molteplici di una “civiltà”; dall’altra, la condizione post-estetica dell’arte contemporanea non permette di circoscrivere i prodotti del lavoro artistico nelle tradizionali categorie.”
elaborazione Garofalo Miura Architetti
© Nicoletta Schirru . Published on December 07, 2013.
“L’arte contemporanea viene vista in questo museo attraverso una lente particolare: il mediterraneo, che potrebbe influenzare la scelta delle mostre, degli artisti, dei progetti, dei luoghi. Ma la possibilità di costruire il museo contemporaneo attraverso il succedersi di produzione, esposizione e acquisizione, partendo da questo piano tematico, lascia aperta comunque la questione di come realizzare la costruzione parallela sul versante nuragico. La cosa è più difficile: il museo deve esercitare un ruolo centralista, ma non nel senso temuto di contesa con il territorio, piuttosto di cooperazione e sussidiarietà con i musei e i siti archeologici esistenti. La mancanza della collezione non può essere sostituita né da simulacri, né dal virtuale.”
elaborazione Garofalo Miura Architetti
© Nicoletta Schirru . Published on December 07, 2013.
“Bisogna avere il coraggio di andare oltre. Il museo del presente dovrà comunicare la civiltà nuragica utilizzando la complessità di forme e pratiche che caratterizzano il contemporaneo. Tradotto ulteriormente, vuol dire che la cultura contemporanea deve comunicare la civiltà nuragica, pur senza disfarsi dell’apparato disciplinare dell’archeologia. Ripercorrendo il ragionamento, ciò può avvenire anche perché l’arte contemporanea (che si produce qui) assume come uno dei suoi temi di lavoro la civiltà nuragica.”
elaborazione Garofalo Miura Architetti
© Nicoletta Schirru . Published on December 07, 2013.
“Naturalmente l’’arte contemporanea cambia di continuo, e si deposita nel museo. Apparentemente ciò non avviene per l’«arte» nuragica. Essa cambia, invece, in funzione di chi, come e quando la guarda. In qualche modo è come se la civiltà nuragica potesse essere guardata in questo museo per la prima volta.”
“E’ il tema della contiguità tra le testimonianze delle civiltà antiche e l’esperienza delle arti contemporanee. Il museo contempla spazi specifici dove rendere virtuosa tale contiguità: sorta di project room che interpretano e rendono complesso e sfumato il “percorso espositivo multiplo”. Questi spazi sono definiti di volta in volta da mostre temporanee a carattere autoriale.
Il museo come “laboratorio di confronto e sperimentazione” richiede di partire da una comprensione degli oggetti diversi che le due anime del museo intendono accostare. Allo stesso tempo, poiché l’arte contemporanea non è fatta solo di oggetti, e peraltro l’arte nuragica non sarà tutta presente nelle sale del museo, occorre utilizzare tutte le forme di esperienza che vanno oltre la contemplazione.
Creando una vertigine spazio temporale
La percezione dell’arte millenaria e dell’arte contemporanea si devono potere intrecciare con modalità diverse. La percezione estetica e la percezione storica, l’approccio plurisensoriale e quello concettuale, creano campi di tensione. Da un lato il museo risponde alla missione di presentare la civiltà arcaica in modo rigoroso, e dall’altra si confronta con i termini della cultura visiva attuale fino alle sue conseguenze più estreme (il confronto/scontro fra storia e fantasy).
Questa dimensione produrrà una vertigine spazio temporale, come avviene in alcune esperienze del cinema e dell’arte contemporanea (da Julie Taymor a Mattew Barney).
Lo spazio appropriato a questa visione è una trama orientata di sale, una condizione di “meandering”, ma controllata da una geometria chiara: un labirinto in cui non ci si perde, un percorso in cui si combinano momenti suggestivi e coinvolgenti, e momenti didattici e approfonditi.
Creando uno spazio flessibile e coinvolgente
E’ la componente laboratoriale, transdisciplinare, che richiede uno spazio fluido. Il museo come “luogo di sperimentazione e ricerca” prevede almeno due tipi di spazio e di atmosfera. Il primo è quello contemplativo della torre, ma capace di istituire relazioni visive con l’esterno per non disorientare il visitatore. Il secondo è quello flessibile e coinvolgente della piastra, in cui produzione, esposizione ed eventi possono alternarsi con naturalezza, senza richiedere complicati allestimenti. Al primo tipo corrisponde una matrice di sale, al secondo una officina per l’arte e la ricerca.
Architettura: immagine e programma
Un edificio basso, sviluppato in orizzontale e una torre che ospita tutti gli spazi espositivi.
La prima immagine fa riferimento alla vastità dell’area, e alla volontà di includere spazi esterni, trasformandoli in corti e patii. Questi spazi introversi servono alla concentrazione e al raccoglimento e sono adeguatamente protetti da un clima e da un contesto immediato che si potrebbero definire “aggressivi”.
La seconda immagine deriva dal rapporto con la città e il paesaggio. Il museo vuole vedere il mare, la città e le colline che circondano Sant’Elia. A sua volta, la collocazione periferica dell’area attorniata da viadotti, stadio e grandi edifici d’abitazione, richiede che il museo possa essere avvistato. Utilizzare per questo gli spazi espositivi consente di selezionare le visuali, e garantire al volume (un cubo che è quasi una torre), omogeneità e compattezza.
La parete esterna è di pietra scura, che nella superficie e nel colore rimanda alle grandi mura nuragiche, mentre la trama evoca un tessuto per alleggerire la grande massa.
L’edificio esteso si organizza come un pezzo di città mediterranea, allo stesso tempo introversa e “porosa”. Le corti sono pensate come piazze, le componenti del programma come edifici, i percorsi come strade. La traccia classica di questa composizione è alterata all’interno da volumi e spazi arrotondati che evocano una seconda natura, più arcaica. Lo stesso paesaggio sollevandosi con le dune realizzate utilizzando il terreno scavato per le fondazioni, imprigiona l’edificio come un sito archeologico, confondendone il piano temporale in un sottile anacronismo.
La torre rivestita della stessa pietra, ha al suo interno una “scorza” più spessa, che protegge gli spazi espositivi introversi e li mette in relazione con il paesaggio. Avvolgendosi piano per piano, essa contiene computer room, lounge per i visitatori, logge per guardare il panorama e infine un bar all’ultimo piano.
I cinque piani del museo consentono un percorso ascendente, dal nuragico al contemporaneo, passando per il settore condiviso, o al contrario discendente. I piani nuragici sono divisi in sale più piccole e numerose, le cui dimensioni si ampliano via via che si procede verso l’alto, ma gli spazi di ogni piano sono flessibili grazie alla struttura posta sul perimetro. Un nuovo punto di vista su Cagliari e il suo straordinario paesaggio viene così creato dalla massiccia ma discreta presenza del Betile.
Paesaggio
Il progetto paesaggistico per l’area del Museo prevede una sistemazione che tende a fondere in unico disegno gli spazi esistenti e di progetto.
Una “matrice” di asfalto accoglie un arcipelago di dune di vegetazione. Il pattern è a-gerarchico e “spontaneo”. La presenza del Museo non impone un pomerio, bensì le dune lo avvolgono – a tratti lo abbracciano.
I percorsi si snodano attraversando l’area in tutte le direzioni, collegando trasversalmente il lungomare, il parco e il quartiere di Sant’Elia. Il Museo diventa luogo di passaggio, elemento familiare del nuovo paesaggio urbano.
Le dune sono “bolle” di vegetazione di varia estensione, altezza e composizione floristica. Alcune sono isole attraversabili pedonalmente.
Data la storia del sito – palude salmastra bonificata nel secolo scorso – il progetto non mira ad un restauro filologico del paesaggio mediante la ri-naturalizzazione, bensì alla creazione di un nuovo paesaggio coerente con le sue caratteristiche ecologiche.” (Garofalo Miura Architetti)