Di fronte ad una distruzione così imponente il “nostro sapere” non può rimanere indifferente. Così come, di fronte alle difficoltà e alle aspettative della ricostruzione non può rimanere incondizionato. In questo senso Palazzo Camponeschi è una sfida “culturale” (come auspica il punto 3.1 Relazione Generale Progetto Preliminare) e, allo stesso tempo, esempio canonico e grande opportunità per la città dell’Aquila. Per queste ragioni si rende necessaria una duplice premessa.
La prima, di natura emozionale-razionale. Scaturisce dalla forza tragica dei luoghi colpiti dal sisma, dal loro immediato impatto visivo con la nostra sensibilità. La seconda, di natura storico-estetico-ontologica. Superato il momento iniziale, l’energia emozionale si espande nel pensiero come un’onda inarrestabile,
coinvolgendo ogni recesso della memoria figurativa aquilana.
Photo by Pietro Savorelli. © Pietro Savorelli. Published on March 30, 2015.
A- Premessa emozionale-razionale. Chi ha potuto visitare la zona rossa della città rimane profondamente segnato da due fattori principali. Dal silenzio che domina fuori di noi. Dall’angoscia e dallo stupore dentro di noi. Ma per chi ha potuto accedere all’interno degli stessi edifici (Palazzo Camponeschi, Chiesa dell’Annunziata e molti altri ancora) quell’iniziale impatto, misto di impotenza e incredulità, si acuisce. Una fitta ragnatela di impalcature in ferro e legno ci sbarra il passo. Ogni stanza è invasa da una impenetrabile vegetazione. Aste, puntelli, tubi, tiranti, fasciature,
mettono in evidenza ciò che prima era inevidente. Le linee di forza, i punti di tensione, i vettori delle potenze, originariamente racchiusi negli involucri murari, sono esplosi in una intricata foresta di aghi. L’inimmaginabile è davanti a noi, come una natura aliena nel suo aspetto mostruoso e terrificante.
Ciò che prima era completamente invisibile, racchiuso nell’intimo delle “forme”, ora è totalmente visibile. Anzi, tangibile. Uno spettacolo spaesante, impensabile anche per la più fervida mente calcolante.
Gran parte del corpo dell’Aquila è invaso da questa “presenza virale”. Il collasso delle “forme” ha fatto vomitare all’esterno i lineamenti delle leggi universali che le reggono. E non ci riferiamo solamente a quelle fisiche. Per esempio alla legge di gravità, che qui ha il suo sussulto fulmineo quanto tragico.
Piuttosto alle leggi dell’“estetico”, profonde e misteriose, che appartengono all’architettura. Ovvero, a ciò che consente alle “forme” di essere un paradigma di forze e un sistema di “immagini” sempre in tensione tra una dimensione singolare (temporale, spaziale, materiale), e una dimensione universale (metafisico, ontologico, theologica).
Questo princìpio di relazione tra “singolarità” e “universalità” appartiene alla proprietà della “forma”, la sua virtù qualitativa, e perciò e ancora di più si impone come tema fondamentale ed essenziale per il (nostro) progetto, reso drammaticamente palese dal sisma aquilano. Principio dal quale sembra difficile, se non impossibile sottrarsi, data la condizione insopprimibile dei luoghi, anche se la cultura contemporanea lo ha da troppo tempo completamente ignorato.
Photo by Pietro Savorelli. © Pietro Savorelli. Published on March 30, 2015.
B- Premessa storico-estetico-ontologica.
Il principio di relazione tra “singolarità” e “universalità”è valido in tutti i campi del sapere (nonostante, lo ripetiamo, i potenti pregiudizi scientisti della nostra cultura contemporanea). E a maggior ragione vale ancora di più per il nostro caso, essendo i temi di fondo del progetto di natura ontologica (e non esclusivamente logica) della “forma”.
Pertanto: la specificità del sito e di Palazzo Camponeschi non può rinunciare ad un confronto complessivo con la “forma” generale della città dell’Aquila.
“Forma generale”– della città -, e “forma particolare”– del sito -, sono i poli di una dialettica critico-conoscitiva ed estetico-figurativa all’interno della quale si inscrive e attinge il patrimonio del progetto.
Ma un’ulteriore considerazione si rivela ancor più essenziale. La “forma” della capitale abruzzese (come peraltro di tutte le città italiane ed europee) ha impiegato una “vita”– più di otto secoli – per edificare la propria “fisionomia”, ciò che noi astrattamente chiamiamo “identità”: punto di convergenza e di fusione di immagini spirituali con strutture materiali. Ma è bastato un lampo per negarne l’aspetto. Causa la cultura contemporanea dell’“informe”: delle zonizzazioni, delle ideologie pragmatiste e normative. In sintesi: sono ancora le “mura aquilane”, con il loro profilo, a definire idealmente, attraverso la somma dei tempi, e realmente, attraverso la somma dei luoghi, il discrimine tra gli opposti concetti generali di “forma”
e di “informe”. E qui non si tratta di una semplice questione di tipo spaziale o topografico. Banalmente, dentro o fuori le mura. Dal punto di vista metodologico, perciò, è del tutto indifferente e solo un caso che il nostro sito si trovi all’interno del profilo delle mura, anche se poi, come vedremo, la sua particolare posizione riveste un ruolo inevitabilmente strategico rispetto agli argomenti appena introdotti. Piuttosto si tratta di una questione ontologica, che predispone e struttura il sottosuolo di ogni nostra visione (theoria). Di conseguenza anche di ogni nostra scelta progettuale, alla cui radice sta l’atto di riconoscere o di negare il princìpio vitale dell’“estetico”. Il vincolo tra “singolarità” e “universalità”, il nesso indissolubile che lega il pensiero all’azione e all’opera. Infatti, la “forma”è presenza e libertà del vincolo. L’“informe”, la sua duplice assenza. Se si mettono in relazione le premesse si viene a configurare la “scena” del pensiero nella quale si colloca il progetto. Il contingente e il permanente sono messi a confronto sullo sfondo unitario della storia aquilana. Tra l’uno e l’altro, tra realtà apparentemente incommensurabili, si sviluppa invece una forte tensione semantico-analogica, essendo la loro materia fatta della stessa sostanza: l’“estetico”.
Tre grandi ambiti tematici affiorano quindi con maggiore evidenza nell’impostazione
progettuale per il recupero di Palazzo Camponeschi.
Photo by Pietro Savorelli. © Pietro Savorelli. Published on March 30, 2015.
1- Natura-artificio: geologia urbana
2- Origine-attualità: la potenza dei luoghi
3- Conservazione-innovazione: il carattere dell’edificio.
Ma per dare continuità al ragionamento nel passaggio dalle premesse ai temi è necessario, ora, introdurre un medio: i modelli in gesso. A loro è affidato un triplice compito: condurre il pensiero dall’ambito intelligibile al “visibile”; rappresentare la geografia della “scena”; operare per gerarchie e scale senza mai staccarsi dal substrato vitale della “scena”.
Photo by Pietro Savorelli. © Pietro Savorelli. Published on March 30, 2015.
1- Natura-artificio: geologia urbana
Modello A – 1/50.000; B – 1/10.000.
Abbiamo a disposizione due immagini principali. A- La figura della città storica in relazione alla maestosa scala del Gran Sasso. B- Il profilo delle mura urbane in relazione alla topografia dei luoghi. In ambedue i casi emerge la potenza morfologica del paesaggio, tanto da prevalere sulle configurazioni generali d’impianto come in molti altri aspetti dell’architettura abruzzese e aquilana. Comunque nel binomio natura-artificio il primo prevale sul secondo. Lo plasma e lo regola in infiniti modi, ma sempre in profondità, alla radice. Ad esempio, il perimetro delle mura che si é mantenuto nei secoli è la trascrizione artificiale di un dato naturale. Il suo congenito coronamento. Tanto che la fisionomia della città– icona “trinitaria”, sindone di una natura arcaica -, dipende più dalla geologia che non dalla propria genealogia. All’Aquila il sottosuolo della “forma” non è mai semplicemente un dato fisico (ciò che invece è per la cultura contemporanea), ma il suo prolungamento metafisico (la dimora dell’“arché”) con il quale ogni geologia confina.
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2- Origine-attualità: la forza del sito
Modello C – 1/2.000.
La cittàè costruita su un robusto promontorio ingobbito, con il suo dente maggiore a sbalzo sull’Aterno (B). La scacchiera delle strade lo ricopre interamente ma con la stessa lievità di un lenzuolo disteso. A conferma che rimane sempre la morfologia dei luoghi a dominare. Il princìpio regolatore (la struttura urbana) asseconda il princìpio generatore (la struttura dei luoghi) fino a cedere di fronte alle eccezioni. E non è irrilevante, allora, che sia l’incisione di una valle© a ricordarci con il suo impluvio serpentino il nesso tra il baricentro della città e il suo margine. Tra Palazzo Camponeschi e la Fontana delle 99 cannelle, il monumento più raffinato e mistico dell’Aquila. Qui, alto e basso, centro e bordo, non misurano certo punti geometrici. Nei 90 m. di salto o nei 600 metri di distanza (tanta è la loro differenza spaziale) non conosciamo semplicemente le coordinate altimetriche e topografiche, ma la densità della storia, la viscosità della memoria, la resistenza dei valori. In altri termini: la relazione tra idrografia e sapienza (tra la Fontana e il Collegium) fa dilatare le categorie fisiche (di spazio e di tempo) in categorie metafisiche se non in immagini bibliche. Le acque di Eden, Genesi 2,10-11. Quei punti sono topoi speciali: sorgenti generative, catalizzatori di mondi, produttori iconologici. Tra origine duecentesca, maturità seicentesca e attualità contemporanea, le distanze temporali e storiche s’inabissano tra le vene delle rocce per riaffiorare in superficie, trasfigurate in “potenze” anonime e severe. Il baricentro delle “forme” vaga allora nel sottosuolo dell’Aquila, del Gran Sasso, dell’Abruzzo, fatto non solo di minerali e di pressioni, ma di sostanze plasmatrici simbolico e metafisiche, di silenzio e solitudini. Le energie vitali del linguaggio. Così il baricentro funziona al pari di un magnete. Enorme, invisibile. Non certamente per ridurre l’espressività della “forma”. All’opposto, per garantirne e salvaguardarne la libertà. Soprattutto dalla coercizione e dall’annullamento della cultura (così detta) contemporanea. In questo senso l’attualità di Palazzo Camponeschi (D) non si riduce alla pura presenza. Bensì espande la propria “immagine” sulla “scena unitiva della storia”: tra l’origine della città e i lineamenti del futuro già inscritti nel codice della sua stessa origine
Photo by Pietro Savorelli. © Pietro Savorelli. Published on March 30, 2015.
3- Conservazione-innovazione: il carattere dell’edificio
Modello D – 1/500
Più stringiamo sul particolare, più incontriamo il generale. Contrariamente alle nostre abitudini mentali, qui gli opposti non si escludono. Si includono. Conservare o innovare non sono dunque categorie alternative, ma campi di forze in reciproca attrazione, purché il baricentro della “forma” appartenga alla “scena unitiva della storia”, al suo sottosuolo atemporale. Dalla storiografia di riferimento (Centofanti, Spagnesi, Clementi, Piroddi, Colapietra, Capezzali) emergono pertanto due ulteriori considerazioni essenziali.
3.1 – Il valore simbolico del luogo©. 3.2 – L’unità crono-morfologica dell’ambito (D) (via Camponeschi, via Roma, via Annunziata, via Burri).
3.1 – Il valore simbolico del luogo.
Originariamente l’incrocio tra il cardo e il decumano corrispondeva all’attuale intersezione tra via Annunziata e via Forcella (G. Spanesi, Il centro storico dell’Aquila, Roma 2009, pp 39 40). Il punto esatto – tra l’altro – nel quale converge l’apice della valle che in basso si conclude in un bacino miracoloso. Comunque, al di la di ogni certezza documentaria o interpretativa, questo principio è stato allo stesso tempo negato e riaffermato proprio dalla costruzione del Collegium dei Gesuiti. Negato, poiché ha interrotto la continuità planimetrica di via Forcella. Riaffermato, poiché l’intero complesso gesuitico (Chiesa e Collegium, il mezzo di strategie politico-teologiche) ha elevato il principio fondativo alla sua rappresentazione simbolica, monumentale, architettonicamente evidente. Una ragione in più per comprendere come il nostro sito non possa staccarsi minimamente dal substrato storico-simbolicogeologico della città, al quale da sempre appartiene (rispondendo alle esigenze poste dal paragrafo 3.3 Relazione Generale Progetto Preliminare).
3.2 – L’unità crono-morfologica dell’ambito.
Non è un paradosso. Nonostante la presenza di tre diversi linguaggi formali, – quello rinascimentale della facciata principale di Palazzo Camponeschi; quello arcaico della facciata della Chiesa di S. Margherita; quello neoclassico – manierista di Palazzo Spaventa – il programma iniziale dei Gesuiti si radicava in un’idea progettuale unitaria: strutturale ed estetica. Accorpare insieme tre isolati storici, interrompendo, come già sappiamo, via Forcella.
Photo by Pietro Savorelli © Pietro Savorelli. Published on March 30, 2015.
Questa unità aveva un duplice retroterra. In particolare, acquisire in città una posizione egemone di tipo politico-religioso (a riconferma dell’innata vocazione simbolica del luogo). In generale, invece, rispondere allo scisma luterano importando nell’architettura ecclesiale urbana il nuovo spirito della controriforma. Ma vale sottolineare un particolare aspetto di questa complessa vicenda teologico-europeo-aquilana. Ovvero, come siano state le forze ctonie della storia, della geologia, della theologia, ad imporre sulle forme il velo ultimo delle proprie leggi. La ruvida imponenza della facciata della chiesa di S. Margherita è un monito tremendo rivolto alle sottili e lucide superfici della nostra cultura contemporanea. Dietro ai corsi di quelle pietre e alle loro scabrose sporgenze c’è la mole di un gigante. Il Gran Sasso. Nella sua immobile solitudine lascia crescere tra le “rocce” concrezioni manieriste (Palazzo Spaventa) o fioriture rinascimentali (Palazzo Camponeschi). Purché le “forme” provengano da distanze remote. Da silenzi immemorabili. Da un’autentica necessità: spirituale e materiale.
Innovare: scendere in profondità. Conservare: riportare in superficie. Progettare: rinnovare il rito della “forma”.
4 – Il progetto alla scala urbana. Modello D – 1/500
4.1 – L’unità minima di progetto: l’isolato perimetrato da via Camponeschi, via Roma, via dell’Annunziata, via Burri.
4.2 – Un nuovo sistema di assialità urbane. Derivato non solo dalla struttura dei luoghi, ma da due fattori diacronici e di nature diverse. Da una volontà razionale: quella dei Gesuiti, di cancellare nel loro progetto via Forcella. Dalla successione di eventi storici: non aver completato la costruzione del transetto e della cupola della Chiesa di S. Margherita. Ossia: a causa di una negazione; e a causa di una interruzione.
4.3 – L’asse est-ovest. Il nuovo tratto di via Forcella. La disposizione planimetrica degli edifici conserva in sé la memoria dell’antica strada. Tale soluzione permette il ripristino di una parte importante del sistema urbano centrale. In particolare, collega piazza Annunziata con piazza Margherita, riabilitando una massa enorme del patrimonio figurativo aquilano. Infine, restituisce alla complessa gerarchia morfologica degli edifici, la loro autonoma e dinamica composizione. Ma risponde anche ad un’esigenza espressa al punto 3.1 della Relazione Generale Progetto Preliminare. Il nuovo tratto gradonato di via Forcella, questa lunga scalinata dal carattere urbano tipicamente aquilano-abruzzese (tanti sono gli esempi a cui riferirsi in città come nei paesi limitrofi) mette in diretta relazione, rafforzandone l’integrazione, Palazzo Carli con Palazzo Camponeschi. Tanto da prevedere sull’ala nord (stesso lato) del nostro edificio, due ingressi. Nell’angolo ovest, a quota 701,40; e in corrispondenza dell’incrocio con la piazzetta-oratorio Giovanni Paolo II, a quota 705,60, in connessione diretta con il piano del cortile interno.
Infine, la previsione del recupero di via Forcella, ha un’incidenza non certo secondaria anche dal punto di vista statico. La facciata nord (ala nord) venendo ripulita da tutta una serie di superfettazioni ed intasamenti di risulta, rende possibile le opere di recupero statico dell’intera struttura muraria e parietale di questa parte dell’edificio, risanando un’area attualmente molto compromessa strutturalmente, formalmente, funzionalmente, restituendone il suo originario carattere urbano. avrebbe un’influenza non secondaria anche dal punto di vista statico.
4.4 – L’asse nord-sud. Ortogonale al primo, recupera il collegamento tra l’ingresso di Palazzo Spaventa (via Roma) con l’edicola da ricostruire sul lato opposto, a sud del cortile (con via Burri) di Palazzo Camponeschi, attraversando l’ala settentrionale. (Vedi punto 1.3 della Relazione Generale Progetto Preliminare,).
4.5 – L’intersezione degli assi. Formano un sistema di piani inclinati gradonati a “T”. Dovendo infatti connettere i diversi dislivelli delle strade confinanti, si configurano come lunghe scalinate urbane (un topos per l’Aquila). La proposta fa emergere un aspetto molto particolare per questo isolato della città. Esso realizza un baricentro interno (e ve ne sarà poi un altro anche per Palazzo Camponeschi, come vedremo al successivo punto 6.2). Un punto (quota 705,60) dove si raccolgono e si ridistribuiscono tutte le dinamiche (fisiche e metafisiche) del sito ora disperse all’esterno del loro perimetro e della loro cronologia. Queste forze attualmente invisibili (poiché non si confrontano direttamente) si trasformano invece in altrettante visuali urbane, restituendo quelle “immagini” che erano già contenute, sebbene mai viste, nella memoria o nell’immaginazione della città. Ciò che qui appare è qualcosa di profondamente antico e nuovo nello stesso tempo, portato in superficie da un evento tragico e radicale come quello di un sisma.
4.6 – Piazzetta-oratorio Giovanni Paolo II. La sala dedicata al Papa polacco (attualmente soffocata da un tetto-terrazza troppo basso), si proietta in una dimensione realmente urbano-spirituale. Non solo per il suo dispositivo planimetrico. Soprattutto per il suo carattere intimamente memoriale e “monumentale” (in riferimento all’opera del Pontefice, “Metafisica della Persona”, Bompiani 2003, che qui si assume come presupposto). Richiamare appunto nello spazio gradonato, coronato da archi e trabeazioni, quel transetto mai costruito della Chiesa di S. Margherita, avendo al posto della cupola un vero spicchio della sfera celeste.
4.7 – Un nuovo sistema di relazioni. Tutti gli edifici conservano i loro ingressi storici disposti sul bordo esterno dell’isolato. Analogamente tutti gli edifici potranno avere un secondo sistema di accessibilità in connessione diretta con le nuove scalinate in un nuovo paesaggio urbano.
4.8 – Piazza Margherita e le nuove visuali. Il Campanile della chiesa indica la soglia di arrivo della scalinata del nuovo tratto di via Forcella. Al livello con la piazza (quota 711,50) sarà aperto un varco per il passaggio pedonale (spostando sul fianco della chiesa la scaletta di accesso alla torre) restituendo alla città una visuale “profonda”. Infatti, da quel punto si potrà vedere l’intera discesa che conduce a piazza Annunziata (701,40) e il suo prolungamento con l’attuale via Forcella. Analogamente da via Roma (708,00) si potrà vedere direttamente, attraverso l’ingresso di Palazzo Spaventa, la piazzetta gradonata Giovanni Paolo II e il filtro della facciata nord di Palazzo Camponeschi, l’edicola confinante sul lato opposto del cortile (704,80) con via Burri (701,20).
5 – IL PROGETTO ALLA SCALA EDILIZIA. MODELLO E – 1/200.
5.1 – Delimitazione del progetto. Le proposte d’intervento fanno esclusivo riferimento al perimetro delle aree di pertinenza di Palazzo Camponeschi, così come definite nel progetto preliminare posto in gara. In ogni caso, il progetto, pur derivando la propria impostazione dai temi e dalle premesse sopra esposte, ne assorbe i principi, pur rimanendo indipendente e autonomo rispetto a quelle scelte generali e alla loro eventuale e possibile realizzazione.
5.2 – Tipologie d’intervento. Principalmente sono due. Restauro conservativo e restauro innovativo. Il primo gruppo di opere fa riferimento alle strutture storiche del palazzo. Il secondo gruppo fa riferimento all’ambito del cortile, dove sono previsti nuovi volumi interrati sfruttando i dislivelli esistenti con le strade limitrofe, senza però modificare in alcun modo i profili esterni dell’esistente (questo il senso di restauro conservativo). Comunque, nel primo e nel secondo caso, prevale sempre come guida il carattere storico del complesso architettonico.
5.3 – Configurazione generale. Rispetto all’intero complesso di Palazzo Camponeschi, l’unica modifica visibile dall’esterno, ossia dalle strade pubbliche, riguarda l’angolo sud-ovest dell’ala principale su via Camponeschi. A differenza di quanto previsto dal progetto preliminare di gara, il completamento dell’angolo riprende il linguaggio e la sintassi del Palazzo seicentesco nella maniera più naturale e conseguente rispetto ai profili e agli allineamenti esistenti.
5.4 – L’ambito dell’edificio.
5.4.1 – La distribuzione verticale.
In aggiunta al corpo scale monumentale, si prevede l’inserimento di due vani scala con ascensori alle estremità delle ali. A differenza del progetto di gara, i tre corpi scala scendono fino ai piani interrati, compresi tra quota 701,40 e 700,00, e salgono fino al sottotetto (quota 723,30, 721,18) per garantire la gestione e la manutenzione dell’immobile. Inoltre, il vano scala posto sull’angolo ovest dell’ala nord è a prova di fumo interna con spazio calmo e zona filtro antistante. Quello invece posto sull’angolo opposto, a sud, risulta essere una scala protetta. Naturalmente tutte e due sono scale di evacuazione.
5.4.2 – La distribuzione orizzontale.
Lo spazio interno più importante per dimensioni e rappresentazione sono i corridoi voltati, analoghi a “gallerie”. Il progetto prevede di recuperare e rafforzare questa particolare tipologia di spazio dando continuità alle due braccia ortogonali, soluzione ripetuta poi ad ogni livello. Rispetto a ciascun braccio il corridoio-galleria si legge nella sua unità prospettica, mentre dal loro vertice comune si possono osservare alternativamente le finestre, affacciate sulla città, poste sul fondo dei rispettivi assi. I corridoi sono canali ottici che all’interno misurano l’edificio e all’esterno prolungano la sguardo sui tetti e sul paesaggio montano della città.
5.4.3 – L’unità formale delle stanze.
Rappresenta il semplice (ma efficace) principio compositivo dell’intero edificio. Le stanze sono cellule “cupolate” poste in serie lungo i corridoi. Il progetto riprende questo principio formale per declinarlo anche là dove è stato negato o distrutto. Soprattutto al terzo livello.
5.4.4 – Il sottotetto.
Prevedendo al terzo livello le stanze voltate (in nervometal per essere poi intonacate e rifinite a grassello), si ricava una spazio filtro nel sottotetto a tutto vantaggio di un risparmio energetico complessivo. Infatti, applicando il pacchetto isolante sotto l’intradosso della catena delle capriate, si riducono i volumi da trattare. Un miglioramento microclimatico sensibile soprattutto nel periodo estivo, essendo il sottotetto areabile naturalmente o con l’aiuto di estrattori meccanici. Inoltre, si ottiene una intercapedine utile per il passaggio delle canalizzazioni primarie dell’aria consentendo poi le diramazioni delle calate a servizio dei singoli uffici e delle sale poste nei due piani sottostanti. (sull’importante miglioria relativa al condizionamento dell’aria si rimanda alla relazione specifica).
5.4.5 – Le unità dei servizi
Ogni piano dispone di due unità di servizi igienici (distinte maschi e femmine), ciascuna composta da 4wc normali e 1wc handicappato. Al piano interrato invece si prevedono due unità distinte (M-F) ciascuna con due wc., per un totale complessivo di n° 34 wc. (n°1 wc in più rispetto a quanto previsto dal progetto di gara).
6 – L’ambito del cortile.
6.1 – I nuovi spazi interrati.
Dovendo intervenire per ragioni statiche lungo i due grossi muri di sostegno a confine del cortile con via Annunziata e via Burri, dato il loro notevole dislivello che nel punto d’incrocio delle strade raggiunge l’altezza massima di m.7,00, si propone di ricavare degli spazi interrati di servizio, a supporto dell’intero complesso universitario.
6.1.1 – Archivio e depositi. Superficie utile mq. 203,00.
Lungo via Annunziata si ottiene uno spazio per funzioni di archivio e deposito (m. 35,00 x m 5.80, altezza interna m. 4,80). Dei tre nuovi spazi interrati, questo è l’unico ad essere dotato di proprio microclima interno. Possiede due possibilità d’ingresso. Dall’attuale portone storico o dall’angolo sud ovest. L’archivio è inoltre in diretta connessione con il corpo scale ed ascensore dell’ala nord. La copertura di tale volume corrisponde con il piano del cortile superiore. Tale spazio, inoltre, dispone di due proporzionate finestre ad arco sul fronte strada.
6.1.2 – Area per parcheggio moto e biciclette. Superficie utile mq 254,40.
Sul lato di via Burri si ottiene uno spazio per funzioni di parcheggio moto e bici (m. 47,00 x m. 5.40, altezza media interna m. 5,40). L’ingresso avviene dall’incrocio con via Annunziata, ed è in connessione sulla parte opposta con il vano scale e ascensore dell’ala est su via Camponeschi. In questo modo, i due nuovi spazi interrati, con le loro attività di servizio, concludono a corte l’impianto ad “L” del palazzo, figura appena leggibile sulla superficie del cortile. Anche questo spazio dispone di due finestre analoghe all’altro, ma a differenza di quello è uno spazio “freddo”.
6.1.3 – I locali tecnici. Superficie utile mq 290,00.
Diverse le cause per lo spazio interrato che viene ricavato in appoggio alla facciata sud dell’ala nord. La prima, dipende da una condizione preesistente. Tra il cortile e la parte terminale ovest dell’edificio esiste una piccola corte incassata, con un accesso diretto da via Annunziata, a servizio dell’attuale centrale termica. La seconda, invece, dipende da una considerazione di carattere qualitativo che riguarda l’intero edificio. La particolare morfologia degli spazi interni (corridoi a galleria e stanze “cupolate”) e la loro esigua quantità, suggerisce di operare una distinzione tra attività nobili e attività di servizio, proprio per una economia distributiva. Per questa ragioni si è pensato di organizzare tutti i locali tecnici necessari in un nuovo spazio interrato da affiancare alla facciata sud dell’ala nord (m. 34,00 x m. 8,50 altezza interna m. 3,60). Tra l’altro, questa soluzione consente lo sfruttamento della corte esistente a cielo aperto, con il suo accesso diretto su via Annunziata. Ma vi è anche un’altra ragione funzionale. Posizionare in quel punto (baricentrico) i locali tecnici permette di ottimizzare tutte le espulsioni che si disperderanno dal tetto. Infatti, come emerge chiaramente dai disegni delle piante, in adiacenza con le parti terminali del nuovo spazio interrato si collocano due grandi cavedi (nella parte centrale dell’edificio e uno per ala) per il passaggio dei camini, sfiati, e delle colonne principali degli impianti a servizio di ogni piano. In questo modo si delinea in maniera molto semplice anche lo schema distributivo generale degli impianti elettrici, idrici, e per le canalizzazioni del condizionamento dell’aria.
6.2 – Il piano del cortile e i cedri deodara.
Si prevede innanzitutto la conservazione dei due grandi alberi (cedri deodara). Memoria e monumento vegetale attorno alla quale si sono costruiti i volumi interrati. Testimonianza verticale del loro ethos: la radice. Ed è in questo punto che ritroviamo il secondo baricentro della forma (vedi punto 4.5). Questa volta dello stesso Palazzo Camponeschi. Il cortile si caratterizza per tre fattori: la pavimentazione; i muri di bordo, l’edicola. La pavimentazione è di due tipologie. La loro superficie distingue i volumi interrati (ai bordi) dall’area centrale (terrapieno). Come indicato nelle tavole o nelle immagini dei modelli, si prevede di realizzare la pavimentazione centrale con pietre di recupero (del terremoto) con finitura grezza o irregolare, in relazione con il carattere “ruvido” della facciata della chiesa di S. Margherita. I muri di bordo impostano un orizzonte a quota + 2,40 dal piano cortile, in modo che lo sguardo di un osservatore posto a distanza sia obbligato ad innalzarsi verso l’esterno, intercettando il profilo del paesaggio montano. Sul lato sud viene riproposta l’edicola, punto focale di un’asse simbolico che ha la propria origine non solo nelle forme storiche della città ma nell’intemporale metafisco, corrispondente alla geologia dello spirito aquilano.