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BOOmerang - Architetto Gennaro Chiacchio


S(c)isma dell'immagine - Renato Rizzi

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L’AQUILA: S( C )ISMA DELL’IMMAGINE

Renato Rizzi — S(c)isma dell'immagine

La scena dell'Abruzzo: Aquila, Gran Sasso

Il progetto

Renato Rizzi — S(c)isma dell'immagine

I laboratori dell'INF (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) sotto il Gran Sasso

Parte I Il pensiero

Immagine 1 i numeri

Immagine 2 il dramma

Immagine 3 l’imprevedibile

Immagine 4 l’impotenza

Immagine 5 l’analogia negativa

Immagine 6 il pathos

Immagine 7 il solidus

Immagine 8 la ripetizione arcaica

Immagine 9 la maschera

Immagine 10 l’anonimato dei morti

Immagine 11 l’archetipo terribile

Immagine 12 l’invisibile

Parte II Bagno Grande: trigonometria del nome.

1- Il sito: la presenza. 1.1-Topografia 1.2- Morfografia 1.3- Crittografia

2- Il primario: il significato. 2.1- Norme tecnico-legislative 2.2- Requisiti funzionali 2.3- Assetto patrimoniale

3- Il secondario: il significante. 3.1- Natura 3.2- Storia 3.3- Dramma 3.4- Speranza

Parte III La forma

Parte I Il pensiero

Immagine 1: i numeri. Terremoto dell’Abruzzo: 6 aprile 2009; ore 3,32 di notte; magnitudo scala Richter 6,3; magnitudo scala Mercalli 8,9; epicentro, Onna; ipocentro, 8 km di profondità; 310 vittime; 1600 feriti; 65.000 sfollati; 15.000 edifici tra danneggiati e distrutti.

Immagine 2: il dramma. Nella scarna anatomia delle cifre non c’è spazio per alcun commento, se non per l’immagine istantanea del dramma. “Prima l’estetico, poi il significato” (R. Calasso). Ed è proprio questo apparire fulmineo – terribile, tragico, cruento, cinico – che invade i nostri occhi, trapassa la mente, imprime, come un marchio rovente, la carne degli uomini, le fibre delle cose. Indelebile, lesiona ogni anima. E’immagine dell’ineluttabile, del dolore, della frattura, della disperazione, della perdita. Potente e allucinatoria, deve essere elaborata e decifrata per poterla sopportare. Per non soccombere alla sua persistente presenza: ossessionante, furiosa, devastante.

Immagine 3: l’imprevedibile. Nonostante attribuiamo alla “tecnica moderna” (E. Severino) la sovranità del sapere, di fronte all’imprevedibile della natura e della storia siamo sempre impreparati. In tutti i sensi. Non c’è attualmente alcuna possibilità di previsione che possa anticipare l’imprevedibile. Dipendiamo e siamo appesi ad una latente e perpetua incertezza. Eppure affidiamo magistralmente alla razionalità tecnico-scientifica il principio di certezza alla validità del nostro operare. Una validità assai labile, però, fino a quando l’irrazionale, ossia l’imprevedibile, non irrompe improvviso sulla scena del mondo. Devastandola. Se nemmeno il suolo che calpestiamo, ma che ci sorregge, possiamo considerarlo un fondamento certo e sicuro, come possiamo affidarci e fidarci di una “tecnica” che: (1) ha sistematicamente annullato ogni fondamento; (2) ha voluto elevare il divenire a effige della propria dottrina; (3) che infine è impotente, paradossalmente, proprio di fronte al divenire, che invece vorrebbe dominare e guidare.

Immagine 4: l’impotenza. In effetti, però, non è esattamente l’incapacità di previsione il problema che più ci interessa della “tecnica moderna”. Per ora è preoccupante il contraccolpo che essa subisce da questa sua stessa incapacità. Se il sapere contemporaneo si “fonda” (e non sarebbe già questa affermazione una contraddizione in pectore?) sulla sostituzione della verità con la certezza, la certezza in quanto dominio dei principi e delle cause, è davvero impotente, completamente inerme davanti al divenire del suo opposto: l’imprevedibile. Ossia: l’intero edificio della razionalità della certezza, voluto dalla tecnica, crolla inesorabilmente. In sintesi: il sapere tecnico-scientifico non riesce a dominare, anche se vorrebbe, l’invisibile potenza della natura. Certo la stravolge, la manipola. Ma fino ad un certo limite. Solo per una certa parte. E questa parte la chiamiamo per comodità il visibile (1/4) dal quale è esclusa la parte maggiore, l’invisibile (3/4) (R. Calasso). Solo la loro somma (1/4+3/4) corrisponde alla totalità dell’apparire. Dunque dell’estetico. Ed è proprio rispetto alla porzione maggiore del “reale” (V. Nabokov) che si misura l’impotenza totale della “tecnica”. Perché? Il sapere tecnico-scientifico, sotto lo scudo del nichilismo contemporaneo, schiaccia tutto sulla presenza. Banalmente sulla apparenza materiale. Su quello strato più sporgente dove si materializza lo spirituale, quando l’invisibile arresta la sua azione plastica con il visibile. Senza questi immensi giacimenti delle potenze invisibili (mitico-divino-metafisiche) il visibile si pietrifica (Medusa). Frantumato, il “reale” viene divorato. Si dissolve sotto l’azione ripetitiva e corrosiva degli automatismi tecnico-scientifici: disgiungere, separare, differenziare, scomporre, isolare. In conclusione: il mondo è pensato e visto, proposto e restituito non già, figuriamoci, come cosmo (Platone), ma nemmeno come caos (Esiodo). Bensì, come il caotico, ammasso provvisorio e irrelato. Appunto: senza relazioni e vincoli tra le parti. E poiché la relazione è l’assoluto estetico, (questa sìè legge invalicabile), il sapere tecnico-scientifico non può che esprimere l’aestetico o l’inestetico. Un paradosso rispetto al “reale”, per compiere camuffato, il crimine dello stupro (J. Baudrillard).

Immagine 5: l’analogia negativa. L’evento di un terremoto spezza la continuità del tempo in due fasi cruciali: emergenza e ricostruzione. Se la prima richiede un dispositivo “militare”, la seconda richiede un dispositivo “culturale”. In altre parole. L’evento tragico non accade mai al di là o al di fuori di un determinato apparato conoscitivo, e pertanto di un certo dispositivo culturale. Natura e cultura sono sempre strettamente vincolate, nel bene e nel male. E noi, ora, siamo nel centro del nichilismo tecnico-scientifico. Distinguere perciò fin da subito emergenza e ricostruzione come se fossero due categorie temporali, significa paradossalmente subire implicitamente la logica analitico-scientifica. Comunque, consapevoli di questa inevitabile incongruenza, le due fasi non dovrebbero essere considerate disgiunte, ma contenute una nell’altra. Reciprocamente. Anche perché la particolare e fragile condizione storico-paesaggistica del nostro paese ha nel proprio patrimonio fisico la massima espressione metafisica (o trascendente, spirituale, theologica). Ma ciò che qui preme innanzitutto evidenziare è un’altra questione, ben più importante: la relazione tra causa e risposta. Tra l’evento tragico della natura e i dispositivi della cultura tecnico-scientifica (e non certo metafisica). Osservando i comportamenti dei due ambiti, natura-cultura, emerge una forte analogia negativa tra violenza improvvisa della prima e violenza mascherata ma reiterata della seconda. Sotto l’urto del terremoto l’ordine delle cose esplode. Tutte le relazioni tra le parti si dissolvono. I nessi si strappano. Dunque, tutto ricade nell’irrelato. Ma l’irrelato non è forse il sottofondo comune che muove il pensiero e l’azione del sapere tecnico-scientifico? Non è forse quella potente leva che agisce indisturbata nelle nostre menti come nelle nostre opere per scardinare l’unità del mondo? Certo, ma con una differenza che è un’aggravante non irrilevante. Una differenza temporale. La violenza del terremoto è imprevedibile e concentrata. Quella nichilista è prevedibile e dilatata. Per mettere a confronto quanto detto dovremmo, con un qualche sforzo di sintesi, visualizzare in immagine l’Italia, o se vogliamo anche il resto dell’Occidente, almeno nell’ultimo mezzo secolo della nostra epoca. Le periferie urbane, gli agglomerati metropolitani (la synoikia di Platone), la devastazione del paesaggio, (questioni che ci agitano da sempre, senza mai volerne individuare le cause) non corrispondono forse a quel lento ma inesorabile scuotimento – scisma – che la nostra cultura tecnico-scientifica imprime al reale per strappare – sisma – le forme concrete e metafisiche nell’informe socio-funzionale? Ovvero, nell’irrelato universale e individuale? Come può logicamente il sapere tecnico-scientifico proporre i rimedi alle catastrofi naturali quando nel suo ipocentro ontologico coltiva la dissoluzione? La catastrofe perpetua? La cultura nichilista non agisce forse come un terremoto estremamente rallentato ma enormemente più vasto e distruttivo che dilaga ormai sull’intera scena del pianeta? Le attese risposte alla ricostruzione post-terremoto come possono allora giungere dal paradigma tecnico-scientifico? O ancora peggio. Dall’inconsapevolezza del pensiero rispetto al paradigma nichilista?

Immagine 6: il pathos. Nella relazione tra natura e cultura s’insedia comunque un terzo: il medio delle emozioni. Quando un terremoto colpisce non fa alcuna distinzione tra la vita di tutti gli esseri: umani, animali, vegetali, materiali. Nemmeno si preoccupa di distinguere i valori dai disvalori, o i sentimenti dai monumenti. Tutto è soggetto alla sua devastante potenza. Questo, purtroppo, il senso del tragico. Ma la violenza, contrariamente al detto comune, non è cieca. E’ che essa agisce sempre e inevitabilmente all’interno della verità del tutto: dell’unità relazionata. Potrebbe fare diversamente? Non basterebbe già questa banalità per comprendere le leggi indissolubili dei vincoli (G. Bruno). In sintesi: il terremoto non può che essere fenomeno che coinvolge l’intero apparire. Ossia, l’estetico: inteso nei suoi due immensi bacini costitutivi:visibile e invisibile. Mondo esterno fisico e mondo interno psichico. La loro somma: il divino. Come un’immagine allo specchio si riflettono reciprocamente. La frattura anticipa la ferita. Il dramma il dolore. Ma se nell’ipocentro del terremoto si radunano le forze sismiche, nell’ipocentro dell’anima si coagulano le potenze emozionali. Per contro, si rovesciano le conseguenze. L’esplosione del dolore irradia di luminescenza un universo di immagini spente – intime, arcaiche, mitiche, familiari -, avvolgendo i luoghi e le cose in un tessuto di intermittenze metafisiche. In effetti solo il pathos, dilaniato nella materia e nella sostanza, cerca a tutti i costi la rimarginazione. Cerca di riconnetterne i nessi. Quello il suo modo per guarire. Ovvero: più forte è la ferita, maggiore la passione dell’immagine: che è potenza ingenerata, formante, plasmante. Così che l’immagine, intima, inaccessibile, si pone come un ponte tra i lembi della ferita. Mantiene la distanza tra i bordi ripristinandone però la relazione: presenza-assenza, immanenza-trascendenza. La premessa di una “rivelazione” (J-L. Nancy) che non si esaurisce. Con il pathos, tempo e spazio, luoghi e vissuto si fondono nell’epos. Nell’intemporale e nell’aspaziale dei luoghi e delle emozioni: “i sommovimenti geologici del pensiero” (M. Proust). Il pre-universo delle forze tettoniche, dei sommovimenti delle placche terrestri.

Immagine 7: il solidus. Tra geologia e patologia scorre una sorta di intima “super-simmetria”, quella teoria unica e onnicomprensiva dell’universo, sogno e speranza di tutti gli scienziati. La prima reazione alla causa distruttrice è la risposta unanime della solidarietà. Il pre-universo emozionale, rispetto a quello razionale, si raduna e si concentra nei luoghi del dramma. Come se vi fosse una legge non scritta ma impressa nell’inconscio del mondo, al primo movimento dissolutivo corrisponde un secondo movimento condensativo uguale e contrario. Quasi una sussulto alla scala cosmica del nostro dualismo respiratorio o cardiaco. Comunque tra azione fisica e azione emozionale, tra potenza della natura e potenza del pathos, scatta il primo passo verso l’acquisizione di un nuovo immutabile equilibrio. Verso la ricostituzione dell’unità infranta. La solidarietà, la cui etimologia non è incerta – solidus: solido, duro, ben piantato, robusto, compatto – è il contraccolpo emozionale alla lacerazione dei nessi. Riconnettere i vincoli di quanto è stato strappato e divelto a livello fisico significa allora attraversare tutte e quattro le gradazioni della sostanza universale: anima, mente, natura, materia (G. Bruno). Contrariamente alle nostre convinzioni scientifiche, il mondo affettivo ed effettivo dell’immagine ci viene incontro senza mai allontanarsi dal suo substrato inscalfibile: il divino o, il sacro. Le proprietà irriducibili dell’estetico e non del dogmatismo religioso, anche se il religioso, in senso laico, indica comunque il raccogliere (..) insieme le parti. Pertanto: l’immagine vincola e i vincoli liberano. In questo senso il solidus della solidarietà anticipa e prepara il poiein (produrre nella massima economia) della poesia. L’attivitàestetica per eccellenza, l’azione morale per essenza. Il duplice princípio di quell’ intima “super-simmetria”, al quale affidare il progetto della ricostruzione.

Immagine 8: la ripetizione arcaica. Riaffermare l’importanza dell’immagine metafisica – autentica forza plasmante di ogni forma -, significa provocare un terremoto nella cultura nichilista. Almeno per tre motivi. Poiché smaschera: la violenza dell’arbitrarietà individuale; la violenza della cecità (J. Saramago) dei dispositivi tecnico-normativi; la violenza delle immagini quando queste provengono unicamente dal mondo della presenza. Questo tripudio della follia e della tracotanza, come abbiamo già dimostrato, è causato unicamente dall’imponente apparato tecnico-scientifico, che ha scelto di stare sull’unico polo del fenomenico. Della presenza. L’immagine metafisica agisce, invece, sull’intero plasma universale come sulla totalità della materia, mantenendo però intatta la distanza che li vincola. Alla stregua dell’universo fisico, i poli estremi universale-particolare si comportano come enormi masse cariche elettricamente. Si attraggono e respingono secondo le leggi della simmetria: la forza di gravità e quella elettromagnetica. In ambito estetico queste forze pervasive si traducono nella tensione dell’immagine. Ma poiché l’immagine porta sempre la latenza ad un quid di trasparenza, in questo suo processo di disvelamento, arcaico per genesi, ripete all’infinito l’atto iniziale mai ancora concluso: l’origine dell’universo. Solo dopo millenni di oscura opacità, solo dopo essersi formati i primi atomi elettricamente neutri, ossia composti di cariche positive e negative, i fotoni, le più piccole particelle portatrici di luce, furono liberi di espandersi nell’intero universo. Illuminandolo, lo resero finalmente visibile. Come un fascio di fotoni opera l’immagine metafisica. Ma con un carico diverso. Lei trasporta le più piccole cellule portatrici della forma. Quelle matrici tridimensionali della materia, le uniche in grado di rendere visibile nelle opere gli arcani dell’universo e di rinnovarne nella presenza il loro mistero.

Immagine 9: la maschera. Ma se il punto di osservazione passa da quelle remote lontananze alle più abituali vicinanze, rimane ancora molto da interpretare in questa terra d’Abruzzo, ostinata ed ermetica. Ciò che non cambia è la natura dello sguardo. Il visibile cessa, allora, di essere la futile pellicola della presenza, come ritiene la cultura nichilista. Quell’unica superficie sulla quale si arresta lo sguardo. Piuttosto, l’apparire assume l’aspetto enigmatico della maschera. Maschera duplice, immagine appunto, con le sue facce contrapposte rivolte verso quelle potenze, ctonie e siderali, che hanno i loro punti di forza nelle profondità della terra e negli abissi stellari. Potrà sembrare strano, ma proprio il terremoto dell’Aquila ha riaperto e riattivato il mistero delle immagini fino ai poli metafisici, irradiando nuovamente due discipline solo apparentemente distanti. La letteratura e la fisica nucleare. Dalla prima, emerge una coppia di immagini legate alle potenze ctonie: l’anonimato dei morti; l’archetipo terribile. Dalla seconda, l’immagine dell’invisibile, che arriva direttamente dalla sperimentazione scientifica.

Immagine 10: l’anonimato dei morti. “Sebbene il tempo sia pervasivo, esso è anche un tempo anonimo. L’Abruzzo è fitto di luoghi senza nome, (..) in cui non sembra siano mai stati abitanti degni di memoria. Mi affascinano le grandi mura ciclopiche come a Pescina, costruita da popoli di cui è incerto anche il nome. L’anonimato dei morti occupa l’Abruzzo, ed è parte della pietas umile e ostinata di questa terra”. E il panorama è“un capolavoro costruito con grandi blocchi di silenzio e scialbato di solitudine” (G. Manganelli, La favola pitagorica). Non c’è distanza maggiore tra “anonimato dei morti” e autoreferenzialità nichilista. Tra la visione epico-tragica e quella socio-pragmatica c’è un dislivello insuperabile. Eppure sono immagini coeve. Non è dunque la cronologia ad essere sotto accusa, ma il punto di vista dello sguardo. Un problema di latitudine del sapere. In questo senso il tema del lutto e della morte assumono direzioni divergenti, radicalmente opposte. L’autoreferenzialità nichilista metabolizza il dolore della perdita nella sfera privata e nelle celebrazioni rituali e mediatiche pubbliche. Una tacca sul calendario e una lapide alla memoria sono i segni riduttori del ricordo. Di tutt’altro timbro risuona, invece, “l’anonimato dei morti” in Manganelli. Un binomio dal sapore ovidiano che riassume una topografia metabolica da decifrare. In breve: questo intimo sentimento di ricordo, rispetto e venerazione esce dalle proprie sedi, dall’anima e dai sepolcri, per vagare nelle vene del sottosuolo, tra le “rocce, queste cose che hanno movimenti, spasmi e trasalimenti che durano millenni”. Solo in questo modo la durezza del dolore sotto le pressioni geologiche si trasforma in forza: nella visione redentrice della “pietas, umile e ostinata di questa terra”. L’anonimato espande allora le individualità soggettive in una singolarità metafisica, trascendente. Il presupposto iniziale e teleologico di ogni aspirazione formante, spirituale o razionale che sia, affonda le proprie radici nella materia dura e nella grazia segreta di questa terra. Intrisa di tempo, silenzio e solitudine. Di anonimato.

Immagine 11: l’archetipo terribile. “L’Abruzzo tende ad essere una gigantesca scena, (..) un che di paradossale, forse unico in Italia. (..) al suo centro non ha una città, ma una montagna, una grande, bellissima, terribile montagna, il Gran Sasso. Non badate ai metri dell’altezza; il Gran Sasso è di schiatta araldica, montagna di gran razza, di quelle che colloquiano con gli dèi. L’Abruzzo accerchia la sua montagna; ma da questa collocazione deriva una vocazione centrifuga” (G.M.) Se questi estratti appaiono frammenti letterari è solo perché rispecchiano il carattere diffidente e un po’ indolente del loro autore. In verità nascondono i codici spirituali dei principi formali, essenziali per un programma paesaggistico e costruttivo tutto ancora da pensare. Ne elenchiamo alcuni di natura squisitamente geometrica. 1- L’unità minima della scena: l’Abruzzo. 2- Al centro della scena: l’immagine principale, la mole totemica della montagna. 3- L’asse verticale dell’immagine: la dimensione metafisica. 4- Il centro dell’immagine: il punto di convergenza di tutte le forze. Un dispositivo teatrale, semplice, austero, ma efficace, adatto a ripetersi ad ogni scala, ad ogni livello: semantico, simbolico, sintattico. Un delicato sistema di correlazioni tra sostanze e materie diverse. In ogni caso, al magnete del Gran Sasso, come alla forza di gravità, non sfugge nulla. Ne consegue che, il “rapporto intenso tra immagine locale e totale (..) porta a indicare una qualità abruzzese”, alla “vocazione” di una “continuità dialettica”. E in questo senso il solido della montagna incorpora il solidus della solidarietà. La predisposizione morale, e la sua legge centripeta, è già inscritta nell’orografia del paesaggio. Ma poi, tutto quell’insieme di geometria-morfologia-geologia, deve esprimersi in un linguaggio. Nel linguaggio delle opere attraverso un’idea altamente astratta: la solidità. Una scabra e solenne qualità pervade le forme dal loro interno. Fino a quando essa giunge alla sua massima e tenue immobilità. Nelle facciate delle chiese. Effigi di pietra, squadrate, bidimensionali, piatte, silenziose, solitarie. L’apparire di una “compatta meditazione”.

Immagine 12: l’invisibile. Dalla meditazione alla contemplazione. Nei laboratori sotterranei dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) del Gran Sasso, gli scienziati cercano di catturare una particella inafferrabile: il neutrino. La cui massa è talmente piccola da essere “evanescente” (B. Greene). Per questa sua inconsistenza subatomica, la particella invisibile attraversa agevolmente tutta la materia, compresi i nostri corpi. Indisturbata, viaggia nelle infinitudini spaziali, rimbalzando tra una sponda e l’altra dei campi elettromagnetici. La sua prerogativa, e da qui la sua importanza, è di essere “un’impronta digitale”, seppure ancora invisibile, delle leggi fondamentali dell’universo. Ciò che però meraviglia nella fisica nucleare non dipende tanto, per noi, dal susseguirsi di nuove teorie più o meno ardite. Piuttosto dipende da un altro motivo. Ogni teoria per essere considerata valida, oltre alla sua dimostrazione matematica deve garantire la sua dimostrazione estetica. Deve essere visibile. Per questa ragione l’invisibile, macro e micro, ha bisogno più che mai di una lunga contemplazione, prima di essere accompagnato nell’apparire del visibile. Ma ancora di più stupisce che la sperimentazione nucleare debba infilarsi sotto terra per le sue verifiche estetiche. Debba occultarsi per rivelare l’occulto. Sprofondare in una caverna nel centro del Gran Sasso. Sotto uno scudo spesso duemila metri di roccia dolomia (per difendersi, non solo, dalle radiazioni cosmiche). E lì infine costruire, in quella cavità di pietra, un grande occhio: tetragono e grigio; composto da migliaia di cubetti in piombo interfacciati da lastre sensibili, per essere colpiti da fasce di neutrini sparati dall’acceleratore nucleare del CERN di Ginevra. I quali attraversano indifferenti la calotta terrestre, ignari delle Alpi o degli Appennini. Ma se una cellula dell’occhio viene intercettata dalla loro traiettoria, sulla lastra sensibile si imprime un alone geroglifico: la traccia del loro passaggio. Immagine di una presenza invisibile, di una matrice elementare dell’universo. Il Gran Sasso: gran dio invisibile. Un imponente dispositivo ottico con al centro una camera oscura per catturare l’immanifesto. Quella parte dell’universo sovrabbondante e sovrumana che ci sorprende e terrorizza, ma che ci riflette e ci affascina.

Parte II Bagno Grande: trigonometria del nome. Il sito; il primario; il secondario.

1- Il sito: la presenza. Topografia, morfografia, crittografia. 1.1- Topografia. Costa pedemontana. Posizione panoramica privilegiata, non per esposizione, rivolta a nord, ma per ampiezza dello sguardo. Sotto, la valle, un gran lenzuolo aperto verso levante. Sul lato opposto, l’Aquila, in posizione di testa. Di fronte, Onna, tragico epicentro. Sullo sfondo, imponente, lo sbarramento “tibetano”del Gran Sasso. 1.2- Morfografia. Una linea dorsale sassosa, decisamente in discesa. Nel suo punto intermedio, a perno, la chiesa della Madonna del Buon Consiglio ruota e modifica le figure: a monte, impianto lineare; a valle, impianto radiale. L’orografia è teatrale per dislivelli, cinematografica per inquadrature. I prospetti dominano le piante. Il paesaggio domina la vista. 1.3- Crittografia. La tipologia dei danni, fisici e metafisici, richiede un intervento complessivo di “conservazione-ricostruzione”.

2- Il primario: il significato. Norme tecnico-legislative; requisiti funzionali; assetto patrimoniale. 2.1- Norme tecnico-legislative. I livelli prestazionali – sicurezza, antisismicità, risparmio energetico – richiesti alle nuove costruzioni, impongono una seria riflessione progettuale quando devono essere applicati a edifici in centri storici minori (e perciò non “monumentali”) seriamente danneggiati. Senza una consapevole mediazione e meditazione theorico-progettuale, le norme tecnico-legislative diventano la causa finale e irreversibile della distruzione. Pertanto, la normativa, in generale, non può essere in nessun modo presupposto e fine del progetto, ma solo supporto. 2.2- Requisiti funzionali. La necessità, legittima, di prevedere spazi dedicati ad attività di servizio, private o collettive, civili o religiose, richiede una risposta progettuale in coerenza con: il significante (vedi sotto, e immagini 1-12) e le forme originarie d’impianto. In ogni caso, le difficoltà non stanno nella definizione dei contenuti (funzionali), ma piuttosto nella definizione dei contenitori (estetici). Infatti: i contenuti dipendono dal significato; i contenitori, dal significante. Ma non può esistere alcun contenuto senza contenitore; come nessun contenitore senza significante. 2.3- Assetto patrimoniale. La frammentazione della proprietà immobiliare, fondiaria ed edilizia, dovrebbe permettere la possibilità di compensazione e commutazione di superfici e volumi. Una condizione condivisa collettivamente e sostenuta politicamente. Premessa indispensabile per un dispositivo di agevolazioni giuridico-amministrative in dialettica reale, e non fittizia, con il progetto di conservazione e ricostruzione.

3- Il secondario: il significante. Natura; storia; dramma; speranza. 3.1- La natura, attraverso il medio del paesaggio, riflette l’idea di infinito, nella duplice dimensione visibile-invisibile, distinto-indistinto. 3.2- La storia, attraverso il medio del luogo, riflette l’idea di eterno, ipostatizzando gli opposti forma-informe, unità-dissoluzione. 3.3- Il dramma, attraverso il medio dell’evento (il terremoto), riflette l’idea del tragico, nella dialettica collettività-singolarità. 3.4- La speranza, attraverso il medio del pathos, riflette l’idea del pudore, nell’agone dimenticanza-gratitudine.

Parte III La forma

Nel traffico delle immagini tra dimensione noumenica e fenomenica, ovvero tra l’apparire dell’intelligibile e l’apparire del sensibile, emerge un duplice a priori della forma: “conservazione” dell’esistente, “ricostruzione” dell’essente. Più semplicemente, sebbene le immagini rifiutino ogni approssimazione linguistica o rappresentativa, possiamo considerare l’essente tutto ciò che precede e sostiene l’esistente. La sua invisibile impalcatura intima. Non c’èvisibile senza invisibile, senza la potenza dell’immagine significante (metafisica, simbolica, divina). Ne consegue che la forma “reale” agisce su un duplice registro. A- quello della figura maggiore: la “ricostruzione” di Bagno grande, del luogo, del paesaggio, in rapporto con le categorie del significante. B- quello della figura minore: la “conservazione” puntuale e concreta di ciascun edificio, o ambiti d’intervento, all’interno di una gerarchia dialettica con la figura maggiore. Dove “figura” indica il medio tra immagine e forma, tra assenza-presenza, tra significante-significato. Mentre la coppia maggiore-minore indica esclusivamente una differenza di scala. Pertanto, la scala di pertinenza del progetto, non dipende per nulla da una casualità infondata o da una scelta arbitraria. Deriva, come ormai dimostrato, dai due fattori principali e correlativi posti fin dall’inizio: A- dall’evento del terremoto; B- dall’ambito del significante (immagini 1-12). Il primo determina la scala dimensionale; il secondo, la scala immateriale (spirituale, trascendentale, emozionale). Solo la loro summa costituisce l’ambito di riferimento “concreto”, “effettivo”, del progetto, che non può che generarsi partendo proprio da quegli estremi. Presenza-assenza. Ma poiché il tutto deve transitare dal mentale al manuale, i modelli (di gesso) diventano gli strumenti mediatori, e la scala geografica la prima soglia dello scambio. Da lì in poi inizia la serie delle successioni. I modelli, infatti, ritagliano il “reale” come un témenos, per infrangere la latenza delle immagini invisibili. In questo senso i modelli non hanno alcun scopo rappresentativo, ma propriamente rivelativo. Ogni porzione di paesaggio, come un fotogramma a scalare, deve essere elaborata (progettata e prodotta) con la massima “precisione” se si vuole sviluppare la relazione figura-sfondo. Ossia, quella relazione essenziale che permette allo sfondo delle immagini, al piano universale del significante, di chiarire, ossia, di illuminare la figura. Renderla sempre più trasparente, nitida, mantenendone la fisionomia nel suo avanzamento verso la presenza. In questo senso il fattore essenziale per i modelli è la precisione. In effetti, loro sono il filtro (della presenza: del luogo o del paesaggio) posto tra noi e lo sfondo del significante (dell’assenza), che è sempre in una lontananza indefinibile. Letteralmente incommensurabile. E poiché i vettori delle immagini provengono da quelle distanze, quello che noi riusciamo a vedere sulla superficie bianca dei modelli dipende direttamente da due presupposti. 1- dall’intensità dei vettori: ossia da quanta chiarezza noi abbiamo nei confronti del significante metafisico-simbolico-spirituale. 2- dalla massima precisione esecutiva dei modelli: una speciale lente d’ingrandimento rivolta al quel mondo. Solamente con i modelli, pura theoria-pratica, si realizza l’unità inscindibile tra mente-occhio-mano, prodromo della forma. In questo senso le immagini vocazionali dell’Abruzzo, ritualizzate nella letteratura da Manganelli, emergono a rilievo. Teatralità, anonimato, solidità, astrazione, solennità, solitudine, silenzio: da valori universali a principi strutturali. Mentre la loro composizione, quasi per volontà arcaica, segue la geometria della solidarietà. Quell’intima simmetria di forze, centrifughe e centripete, affettivo-estetiche, scardinate dalla potenza distruttiva del terremoto. La nuova forma di Bagno Grande nasce quindi da una causa materiale per un fine immateriale, per celebrare un rito delle grandi civiltà, ma dimenticato dalla cecità tecnica. La gratitudine: nei confronti dell’Abruzzo, dei predecessori, dei morti, delle vittime, dei sopravvissuti. Nei confronti del mistero della materia non meno che della vita. In questo senso va inteso il progetto di “conservazione” dell’esistente e di “ricostruzione” dell’essente: il punto di massima congiunzione del “reale”; di compenetrazione del fisico nel metafisico. Planimetricamente. Dalla configurazione generale dell’impianto di Bagno Grande si genera per vibrazione la nuova forma, ruotando sul perno fisso della chiesa della Madonna del Buon Consiglio: due ampi terrazzamenti uniti da un unico bordo, da un perimetro percorribile. Altimetricamente. Il nuovo orizzonte intercetta il punto intermedio della pendenza che caratterizza il borgo antico. Un “blocco” compatto, nonostante i due corpi, fuoriesce per estrusione dal suolo accidentato della costa. La solidità della figura, resa ancora più austera dall’altezza dei fianchi, introduce una terna di temi. 1- la scena, in rapporto a Bagno Grande e al più vasto paesaggio frontale. 2- l’orizzonte, il principio dimenticato della stabilità e dell’equilibrio. 3- la misura, rende visibile le forze e le pressioni interne dell’orografia del luogo e del borgo. Comunque, in generale, la nuova figura maggiore agisce quasi per contraccolpo naturale al fenomeno distruttivo del terremoto, e per contraccolpo culturale ed al fenomeno dissolutivo del sapere contemporaneo. Molto ci sarebbe da dire anche per l’ambito funzionale. Essendo però un argomento solo accennato ma non sviluppato per esigenze temporali, rimane momentaneamente sospeso. In ogni caso, gli spazi ed i volumi interni sono tali da garantire una seria risposta ad ogni congruente necessità. Analogamente per la figura minore. L’intervento di recupero conservativo dei singoli edifici danneggiati richiederebbe un’articolazione della casistica troppo complessa per offrire una risposta progettuale adeguata ai due livelli: significato-significante. Pertanto, si introduce appena il principio. Ogni figura di progetto opera, in relazione con la figura maggiore, per condensazione: arretrandosi rispetto al tracciato delle murature esistenti crea una sospensione. Un vuoto “pneumatico”, in senso greco e in senso tecnico. In questo modo, distinguendo il vecchio dal nuovo, si garantisce al vecchio la conservazione della sua fisionomia (estetica) e della sua natura (muri a gravità e freddi), potendo applicare tecnologie statiche non invasive (bendaggi di fibre di carbonio). Il nuovo è invece gravato dalla responsabilità di rispondere a tutti i requisiti normativi, avendo però nella propria struttura formale la congruenza della soluzione.

Abituati come siamo al predominio della presenza consideriamo “reale” solo ciò che è materiale. Dimenticata la res -come la veritas– ricordiamo che l’universo del “reale” si compone di due classi irriducibili di immagini: quelle che provengono dal mondo del visibile, e quelle che sopraggiungono dal mondo dell’invisibile. Le prime, riducendo la forma alla coercizione della vicinanza, al dominabile, lo divorano; le seconde, riaprendo la forma alla libertà della distanza, all’indominabile, lo nutrono. Ma affinché l’immagine metafisica, nonostante l’aggettivo rivesta la parola di un fastidioso imbarazzo, si liberi dallo schiacciamento e dallo schieramento della cultura contemporanea, deve provocare un terremoto. Essere sisma e scisma: squarciare la crosta dell’occultamento; separarsi dal sapere dell’annullamento. Non c’è alcuna conclusione, se non quella di ricominciare. Ma su tutto il progetto aleggia ora un’immagine parola che si vorrebbe pronunciare se non fosse così arcaica e ridondante: altare. Per una duplice ratio filologica. Dal latino alo-alere, alimentare, nutrire, far crescere. Dall’arabo al-tàir, che vola come l’aquila.

Hospital Naval Central - Clorindo Testa

CONCORSO DI IDEE PER LA RICOSTRUZIONE DEL BIVACCO F.LLI FANTON SULLE MARMAROLE (BL) - giuseppe mecca

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L’intervento proposto prevede la realizzazione di un rifugio alpino modulare, confortevole, energeticamente autosufficiente e adeguatamente inserito, nel rispetto del contesto ambientale e paesaggistico.

giuseppe mecca — CONCORSO DI IDEE PER LA RICOSTRUZIONE DEL BIVACCO F.LLI FANTON SULLE MARMAROLE (BL)

Nella piena condivisione delle funzioni proposte dal bando, il progetto propone di realizzare una struttura di alta qualità formale, architettonica, tecnologica ed energetica nel rispetto delle risorse naturali insite nel contesto, utilizzando i criteri di sostenibilità come effettivi generatori del processo progettuale e realizzativo.

giuseppe mecca — CONCORSO DI IDEE PER LA RICOSTRUZIONE DEL BIVACCO F.LLI FANTON SULLE MARMAROLE (BL)

Una mini baita tecnologica composta secondo una struttura modulare, con materiali ecologici di riciclo e riciclabili, di alta qualità e ad impatto zero.

giuseppe mecca — CONCORSO DI IDEE PER LA RICOSTRUZIONE DEL BIVACCO F.LLI FANTON SULLE MARMAROLE (BL)

Nello studio delle regole compositive è stata privilegiata la capacità di inserimento nel contesto ambientale, riproponendo il linguaggio e i materiali propri della tradizione costruttiva locale, unitamente all’utilizzo di tecnologie che facilitino il processo esecutivo, permettendo una migliore durata nel tempo e un’efficace gestione del manufatto.

giuseppe mecca — CONCORSO DI IDEE PER LA RICOSTRUZIONE DEL BIVACCO F.LLI FANTON SULLE MARMAROLE (BL)

Grazie alla sua modularità tutte le componenti del rifugio possono essere costruite a valle, per poi essere elitrasportarte e assemblate sul posto.

giuseppe mecca — CONCORSO DI IDEE PER LA RICOSTRUZIONE DEL BIVACCO F.LLI FANTON SULLE MARMAROLE (BL)

L’insieme è composto da quattro moduli che uniti raggiungono una superficie calpestabile utile di 25 mq in grado di ospitare fino a 12 persone: unità giorno/notte munita di 10 cuccette più sottotetto per 2 ulteriori posti letto; unità ingresso termoisolata per evitare dispersioni di calore, tavolo apribile per dieci ospiti contemporaneamente, modulo di copertura con pannelli fotovoltaici incorporati, grande testata circolare trasparente che si apre sulla vallata sottostante.

giuseppe mecca — CONCORSO DI IDEE PER LA RICOSTRUZIONE DEL BIVACCO F.LLI FANTON SULLE MARMAROLE (BL)

L’ambiente che circonda il rifugio è incontaminato, la natura domina completamente il panorama e la tecnologia della struttura cerca di integrarsi in questo contesto.

giuseppe mecca — CONCORSO DI IDEE PER LA RICOSTRUZIONE DEL BIVACCO F.LLI FANTON SULLE MARMAROLE (BL)

giuseppe mecca — CONCORSO DI IDEE PER LA RICOSTRUZIONE DEL BIVACCO F.LLI FANTON SULLE MARMAROLE (BL)

The Marriage of Figaro - Jean Nouvel

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The LA Phil’s Mozart/Da Ponte trilogy continues with The Marriage of Figaro with sets designed by Pritzker Prize-winning architect Jean Nouvel and costumes by legendary couturier Azzedine Alaïa.

Jean Nouvel — The Marriage of Figaro

Three of the greatest operas ever written were collaborations between librettist Lorenzo da Ponte and composer Wolfgang Amadeus Mozart: The Marriage of Figaro, Don Giovanni and Così fan tutte. Now in its second year, the LA Phil’s Mozart/Da Ponte project presents the trilogy in collaboration with influential architects of our time and leading fashion designers, to create a unique and distinctive visual setting for each of these timeless masterpieces. Each fully staged opera production is a Walt Disney Concert Hall first. The trilogy began with Don Giovanni in May 2012 (Frank Gehry, architect/Rodarte, costume design), and concludes with Così fan tutte (creative team to be announced) in May 2014.

Los Angeles Philharmonic
Gustavo Dudamel, conductor
Jean Nouvel, installations
Azzedine Alaia, costume design
Christopher Alden, director
Aaron Black, lighting design
Soloists as listed above
Los Angeles Master Chorale
Grant Gershon, music director

Jean Nouvel — The Marriage of Figaro

Jean Nouvel — The Marriage of Figaro

soggiorno - Lorena Crespo

“FACCIAMO CENTRO” Martinsicuro (TE) - milo marrancone, Meli Sara

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Comune di Martinsicuro (TE) Concorso di idee “FACCIAMO CENTRO

milo marrancone, Meli Sara — “FACCIAMO CENTRO” Martinsicuro (TE)

Dalla piazza!

“RIFUNZIONALIZZAZIONE DEL SISTEMA DEL CENTRO URBANO E

milo marrancone, Meli Sara — “FACCIAMO CENTRO” Martinsicuro (TE)

Fontana

DEL“CINEMA AMBRA

milo marrancone, Meli Sara — “FACCIAMO CENTRO” Martinsicuro (TE)

100

RELAZIONE ILLUSTRATIVA

milo marrancone, Meli Sara — “FACCIAMO CENTRO” Martinsicuro (TE)

piante

Martinsicuro, Comune della Provincia di Teramo, situato tra la foce del fiume Tronto e la foce del Fiume Vibrata è la prima città d’Abruzzo affacciata sul Mar Adriatico. Precedentemente è appartenuta al Comune di Colonnella e solo nel 1963 è divenuta un Comune autonomo. Al giorno d’oggi è una località balneare molto frequentata. La cittàè caratterizzata da un agglomerato urbano compatto e, conseguentemente a un limitato piano regolatore, oggi presenta notevoli difficoltà inerenti agli spazi cittadini ed ai servizi che costituiscono un sistema urbano funzionale. Dall’immagine nr 1, il territorio di Martinsicuro appare di forma geometrica quadrangolare il cui centro geometrico è proprio Piazza Cavour, con l’ex Cinema Ambra e la chiesa del Sacro Cuore. Da questo centro partono dei raggi (disegnati con pennarello blu) che mettono “in rete” la città con l’intero territorio comunale. Oltre a ciò, osservando l’immagine nr 2, vediamo tre frecce bianche che indicano un rettangolo color rosso. Esso è il centro della città, cuore di Martinsicuro! Il problema, che ci apprestiamo a risolvere con il nostro Progetto, è il disordine, il degrado urbanistico, risanabile con un’ottimale funzionalizzazione del sistema del centro urbano e soprattutto convertendo l’ex Cinema Ambra in un nuovo edificio: il Centro Polifunzionale denominato MACTE (v. Tav. Elaborati nr 3). Esso assume un carattere molto vigoroso, diventando in planimetria quasi un nesso fra lo spazio urbano della piazza e le funzioni a cui l’edificio è destinato, recuperando la visibilità e la centralità attraverso l’allineamento di assi stradali, percorsi e ingressi che diventano i segni di un’importante pensilina. MACTE, struttura funzionale che diviene motivo di rinnovamento per l’intera città, grazie ai nuovi collegamenti e grazie alla riqualificazione di quelli esistenti. E il nostro Progetto parte da qui, da questa struttura denominata MACTE: Museo Arte Cultura Teramana … che trasmette a tutta la città colori vivi con l’intento di attivare nuovi percorsi e nuovi spazi urbani. In più, da questo centro della città (V. Immagine nr 2) confluiscono tre zone delineate, tratteggiate e circoscritte da tre anelli (rosso, verde, giallo) di diverse forme geometriche. Queste zone, in base alla loro predisposizione territoriale, vengono rifunzionalizzate attraverso tre pilastri fondamentali da noi prescelti che, congiuntamente, puntano a rigenerare l’intero territorio ed essi sono:

milo marrancone, Meli Sara — “FACCIAMO CENTRO” Martinsicuro (TE)

tavola1

Primo anello rosso: Cultura Secondo anello giallo: Educazione Terzo anello verde: Sport

milo marrancone, Meli Sara — “FACCIAMO CENTRO” Martinsicuro (TE)

tavola2

Questi sono i “pilastri fondamentali”, che rinnovano Martinsicuro, portandola al passo con i tempi e sulla base dei quali, ci prefiguriamo una Martin- futuro solida e … sicura! Partiamo dal primo anello rosso: Cultura Dalla nostra storia, dalle nostre radici possiamo prefigurarci un Progetto fattibile realizzabile e valido: Martinsicuro presenta nel proprio territorio diverse aree archeologiche che evidenziano l’importanza strategica della sua posizione geografica nel tempo. Sempre nell’Immagine nr 2, ben visibile è la ZONA ARCHEOLOGICA, collegata con il centro della odierna città e degna di nota. In essa si trovano le più antiche testimonianze di popolamento sul pianoro a sud dell’estuario del Tronto e che dopo la conquista romana, nel III° secolo a. C., prese il nome di Castrum Truentinum e nel 1547 prese l’attuale toponimo (Martinsicuro) dal nobile spagnolo Martin de Segura. Gli scavi condotti nella località, tra 1991 e il 1995, hanno riportato alla luce i resti della città con un quartiere commerciale già esistente e impiantato secondo un’urbanistica regolare. Queste ricchezze testimoniano il valore del territorio e sono da conservare, proteggere e da trasmettere alle generazioni future, contribuendo alla formazione della persona, offrendo stimoli e tramandando valori. Oltre a ciò, sempre nella stessa zona, fa parte la Torre di Carlo V° e la Casa doganale, oggi sede dell’Antiquarium di Castrum Truentinum che purtroppo è inagibile a seguito dell’ultimo terremoto in Abruzzo. Il nostro Progetto lo recupera e lo collega direttamente al centro della città con spazi dedicati alla sua promozione.

milo marrancone, Meli Sara — “FACCIAMO CENTRO” Martinsicuro (TE)

tavola3

Secondo anello giallo: Educazione Comprende la zona a nord che confina direttamente con la spiaggia. Il Progetto ha l’obiettivo di mettere “a sistema” le aree urbane già destinate all’istruzione, ossia gli edifici scolastici, biblioteca comunale (Via A. Moro) con aree nuove destinate al parco giochi, da realizzare all’interno del centro urbano, caratterizzato da degrado e d’abbandono, tra Via A. Moro e Via G. d’Annunzio (V. Tav. 1 Elaborati / Intervento 8). Parte di questo anello è inglobato, anch’esso, nel centro della città, cuore di Martinsicuro. Terzo anello verde: Sport Integra le aree presenti sul territorio di Martinsicuro con nuove aree destinate alla Cultura dello sport e dell’Educazione fisica. Nel Progetto, grazie alla realizzazione di un ponte ciclabile e pedonale che collega l’Abruzzo alle Marche, è compresa anche l’intera area del lungo Tronto ed anche della Riserva Naturale Regionale Sentina. Strategico è anche il porto di questa cittadina con le possibilità esponenziali che può svilupparsi con un porto turistico. Il progetto valorizza il lungomare portando all’espansione di un tratto centrale e urbanizzato diventando una piazza sul mare costruendo un pontile e delle opere ingegneristiche volte alla riqualificazione urbana per partire e conservare la tipicità del lungomare di Martinsicuro costituito da un biotipo costiero da proteggere e espandere fino a diventare un parco marino naturale (Tav. 1 Elaborati/ Intervento 6). Questi sono i criteri della progettazione urbana per il raggiungimento dell’obiettivo che vogliamo raggiungere: dare qualità all’urbano armonizzare l’intera città senza interventi radicali ma proponendo otto interventi puntuali che trasformeranno la città con indici di qualità abitativa elevati. Infine, il nostro Progetto, abbracciando l’intero territorio, integra il grande attrattore economo del momento, cioè il Centro commerciale IPER di Colonnella e permette il recupero di architetture importanti e di pregio come le due Casette Flaiani, considerate gli unici esempi di architettura in stile liberty presenti a Martinsicuro. Esse sono l’ingresso “monumentale” alla città marina! (V. Immagine nr 3). La Tav. 1 Presenta l’analisi dell’intero intervento che urge realizzare. La tav. 2 Rappresenta prospettive e rendering del progetto complessivo. La tav. 3 Da qui parte l’intero progetto: Edificio MACTE con copertura verde che genera percorsi e linfa a tutto l’organismo urbano di Martinsicuro, prefiggendo una città giardino caratterizzata da 7.666 mq di verde, 16.000 mq di nuova pavimentazione colorata e un nuovo parco giochi e 3.017 mq di pista ciclabile. La costruzione diventa il motivo per rigenerare l’intera città, grazie a nuovi collegamenti e grazie alla riqualificazione di quelli esistenti. L’edificio è composto da una sala museo per l’arte contemporanea, al piano terra. Una biblioteca con una sala polifunzionale/ convegni/ teatro da 260 posti, al primo piano. Infine un tetto giardino verde (Orto botanico) con un punto bar e ristoro che diventa un centro importante di cui la città ha bisogno per essere, anche, di interesse sovracomunale. Il Nuovo centro polifunzionale assume un carattere molto forte diventando in planimetria quasi un nesso fra lo spazio urbano della piazza e le funzioni a cui l’edificio è destinato e recuperando la visibilità e la centralità attraverso l’allineamento di assi stradali, percorsi e ingressi che diventano i segni di una importante copertura. La facciata nord è schermata dalla copertura che ne caratterizza la forma, e la grande vetrata, l’atrio e tutto l’edificio vetrato, svolgono la funzione di macchina bioclimatica, garantendo un modesto fabbisogno energetico all’edificio. La facciata sud invece è rivestita da una moderna parete verde che riqualifica l’intero fronte stradale. All’interno gli spazi si articolano in maniera ordinata. Al piano terra una grande scalinata si affaccia sulla piazza, poi spazi di distribuzione e una sala espositiva. Al piano superiore la piccola biblioteca di quartiere e la sala convegni con una platea di 160 posti a sedere e una galleria con altri 100 posti accessibili dalla scala che conduce all’ultimo piano con il punto ristoro. L’edificio presenta una struttura in legno lamellare, che caratterizza l’edificio interno, mentre esternamente l’involucro è in vetro e in acciaio inox. La copertura, grazie al verde, consente un gran risparmio nel periodo estivo, poiché l’edificio rimane fresco. Per l’inverno, invece, è previsto la realizzazione di un impianto di geotermia sotto la fondazione (V. Immagine 5). L’edificio MACTE, architettonicamente, diventa per quest’area una grande tettoia, una protezione di 20 metri di sbalzo, che copre parzialmente la piazza, creando nuovi spazi coperti per manifestazioni esterne. E Martinsicuro, città turistica, centra un altro obiettivo!

“G, como caído del cielo”– Out of the Blue - Carmen Baselga_Taller de Proyectos

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Description: This was a dramatic space for “G, como caído del cielo” (Out of the Blue) by ballerina and choreographer Christine Cloux. Winner of the Dramatic Arts 2006 for Best Dance Performance.

Carmen Baselga_Taller de Proyectos — “G, como caído del cielo”– Out of the Blue

A structure was designed as the sole object that appeared in this interior performance, with a double function; on the one hand acting as a support for Christine Cloux while she danced suspended mid-air during the first half of the performance and on the other to minimise the performing space, as it delimited the volumes of air. The dancer then left this delimited space and completed the performance using the entire performing area. The structure and ballerina worked in perfect harmony. The movements of the artist transmitted a series of vibrations against the frame, which then returned them in response, all of which defined the choreography. This interior architecture project was mathematically calculated by the doctorate and engineer Carlos Lázaro so that it was guaranteed to perform and function correctly. He presented this as a practical example in his research project as “Analysis of a spatial flexible frame for the scenography of a dance performance using a geometrically exact rod model”, during a conference in Salzburg June 2005.

Carmen Baselga_Taller de Proyectos — “G, como caído del cielo”– Out of the Blue

Carmen Baselga_Taller de Proyectos — “G, como caído del cielo”– Out of the Blue

Carmen Baselga_Taller de Proyectos — “G, como caído del cielo”– Out of the Blue

Carmen Baselga_Taller de Proyectos — “G, como caído del cielo”– Out of the Blue

Carmen Baselga_Taller de Proyectos — “G, como caído del cielo”– Out of the Blue


La città (stra)ordinaria - ma0 studio d'architettura, Gabriella Raggi, Massimo Ciuffini

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CONNETTERE, per fare spazio alla città pubblica: Il sistema degli spazi aperti e dei servizi pubblici locali e urbani è un continuum spaziale ininterrotto, contaminabile e permeabile. che mette in rete via Guido Reni con il sistema ad isole dei grandi vuoti del quadrante. L’impianto morfotipologico degli ex stabilimenti è recettore di identità, valorizzatore di contesto, incubatore di nuove e reciproche relazioni spaziali. La struttura dei viali alberati costituisce la matrice primaria di organizzazione dell’impianto, è misura invariante del disegno di suolo, elemento regolatore e conformativo del gradiente funzionale e dell’intensità e variabilità delle componenti edificate. La matrice secondaria dei percorsi afferma la permeabilità e la connessione tra il quartiere alle spalle di via del Vignola e Via Guido Reni, attraverso il cuore pubblico del programma. Il complesso scolastico e sportivo di Villa Flaminia e del suo parco ha le potenzialità per entrare a far parte direttamente del nuovo impianto dei servizi.

ma0 studio d'architettura, Gabriella Raggi, Massimo Ciuffini — La città (stra)ordinaria

Fare spazio alla città pubblica

INTENSIFICARE, per costruire delle differenze: il tessuto della città si fa denso e compatto, abbraccia il sistema pubblico, scandito dalla griglia degli spazi aperti che si fa a sua volta più generosa accogliendo le attività commerciali e pubbliche che rendono viva la città nelle ore diurne e serali, con differenziali di gradiente. Due grandi piazze stabiliscono i punti nodali e principali di accesso: uno spazio prevalentemente minerale, in continuità con lo spazio aperto introverso del Maxxi, il secondo prevalentemente naturale, giardino di quartiere su via del Vignola prospiciente i servizi pubblici. Per favorire la dimensione pubblica e relazionale del progetto di suolo, si propone di limitare l’accesso carrabile ai veicoli di servizio e di monetizzare i parcheggi a standard, per realizzare opere di incremento del trasporto pubblico e della mobilità dolce nel quadrante di riferimento.

ma0 studio d'architettura, Gabriella Raggi, Massimo Ciuffini — La città (stra)ordinaria

Mettere il pubblico al centro

VALORIZZARE, Costruendo il futuro riattualizzando il passato. L’identità del luogo è affidata alla conservazione dei tre padiglioni principali che accoglieranno la futura Città della Scienza, attraverso un progetto di architettura che dovrà, con le opportune integrazioni e interpretazioni, coniugare le dotazioni funzionali e dimensionali richieste con il sistema dei padiglioni e dei percorsi pubblici che li attraversano. Il nuovo innesto residenziale ha nel tipo della palazzina romana l’elemento seriale e fondante della nuova struttura; l’invariante risiede nella diversità degli esiti formali e compositivi di interpretazione del tema, per la dimensione operativa degli esiti spaziali e per la loro qualità morfologica ed estetica, mettendo a punto procedure impositive nei confronti della qualità formale e sostenibilità ambientale.

ma0 studio d'architettura, Gabriella Raggi, Massimo Ciuffini — La città (stra)ordinaria

Il suolo pubblico

INSTAURARE DEI PROCESSI FLESSIBILI, per una città della scienza da subito, durante, dopo. Un sistema aperto e flessibile nel tempo, adattabile alle variabili per contenere i rischi. Quindi: un programma rigido nelle invarianti, flessibile nelle articolazioni, labile nei dettagli. Se il processo di trasformazione è fisiologicamente lento per la subordinata leva finanziaria che lega la realizzazione della Città della Scienza e dell’armatura dello spazio pubblico al successo dell’iniziativa privata, l’impronta seriale della palazzina assicura flessibilità di attuazione e autonomia di interventi senza impegnare l’area nella sua totalità; attraverso operazioni a domino, progressivamente il progetto di suolo potrà essere completato, attuando per stralci successivi la rete dei servizi e degli spazi pubblici. I viali e i padiglioni, in attesa della loro definitiva trasformazione, possono essere così restituiti rapidamente all’uso collettivo: attività temporanee, incubatori, laboratori. Luoghi finalmente aperti ove passeggiare, imparare a riconoscerne l’identità e la loro intriseca permeabilità alle modificazioni. Il dominio pubblico è dunque riconosciuto da subito come il principale e immediato fattore di risarcimento e la metabolizzazione della trasformazione attesa è componente attiva del processo.

ma0 studio d'architettura, Gabriella Raggi, Massimo Ciuffini — La città (stra)ordinaria

Flessibilità dei processi

ma0 studio d'architettura, Gabriella Raggi, Massimo Ciuffini — La città (stra)ordinaria

Delirous Palazzina

ma0 studio d'architettura, Gabriella Raggi, Massimo Ciuffini — La città (stra)ordinaria

Delirious Palazzina

ma0 studio d'architettura, Gabriella Raggi, Massimo Ciuffini — La città (stra)ordinaria

Icone

ma0 studio d'architettura, Gabriella Raggi, Massimo Ciuffini — La città (stra)ordinaria

Planimetria

ma0 studio d'architettura, Gabriella Raggi, Massimo Ciuffini — La città (stra)ordinaria

La città (stra)ordinaria

Marcovaldo - Paolo Casaburi, Antonietta Memoli

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La libreria Marcovaldo è situata all’interno della corte di uno degli edifici storici che formano il corso porticato di Cava de’ Tirreni. L’ambiente ha conservato la spazialità tipica del blocco medioevale, ovvero uno spazio stretto e allungato, con un unico ingresso, e voltato per tutta la sua lunghezza.

Paolo Casaburi, Antonietta Memoli — Marcovaldo

la zona esposizione libri

All’interno dello spazio commerciale era già presente un soppalco in ferro e vetro che è stato integrato nell’intervento di allestimento. Trattandosi di una libreria di settore, dedicata all’infanzia, la maggior parte degli spazi è stata pensata per i bambini; contemporaneamente è stato creato uno spazio di accoglienza per la sosta degli accompagnatori adulti.

Paolo Casaburi, Antonietta Memoli — Marcovaldo

la zona soppalco dedicata ai genitori

La progettazione dell’allestimento si è basata su tre principi: la differenziazione dello spazio, distinto in una zona prevalentemente a misura di bambino, e una zona relax per gli adulti, ricavata all’altezza del soppalco, in modo da poter mantenere una posizione di controllo discreta, che non invada l’ambiente destinato ai più piccoli; la versatilità degli elementi d’arredo, collegata alle diverse attività, ludiche, didattiche ed ai laboratori; un ambiente caratterizzato dalla “magia” e “fantasia”,con un albero centrale simbolo della vita e della creazione/creatività.

Paolo Casaburi, Antonietta Memoli — Marcovaldo

la zona relax per genitori

Lo spazio del piano terra è stato suddiviso in ulteriori ambiti, flessibili e fluidi, definendo la zona di esposizione dei libri in prossimità dell’ingresso, una zona intermedia di lettura, e una zona in fondo dedicata ai laboratori. Lo spazio per gli adulti è stato allestito come un salottino in stile vintage con arredi di antiquariato.

Paolo Casaburi, Antonietta Memoli — Marcovaldo

I materiali del piano terra sono tutti molto caldi e combinati con l’uso del colore. L’illuminazione della zona esposizione libri è integrata con la struttura del soppalco realizzato con lastre di vetro opalino, mentre il resto dell’illuminazione intende svelare la volta, creando una luce diffusa.

Paolo Casaburi, Antonietta Memoli — Marcovaldo

lo spazio visto dai rami dell'albero

Unica eccezione diventa la zona laboratorio dove sono previste attività con fabbisogno di illuminazione più elevato, qui sono stati utilizzati dei lampadari pendenti posti a quote diverse. Il grande albero, realizzato con elementi in gomma colorata, diventa il fuoco visivo dell’intero spazio, con i suoi rami avvolge e “copre” l’intero ambiente della libreria.

Paolo Casaburi, Antonietta Memoli — Marcovaldo

l'albero

Paolo Casaburi, Antonietta Memoli — Marcovaldo

la zona lettura

Detroit Station for the Arts - Nico Ferrettini, Jurji Filieri, Alessandro Berti, ZEIT

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Riqualificare la città di Detroit attraverso la conversione del suo trascorso industriale (vicino al mondo dell’automobile) in nuovo centro internazionale per le arti: questa era la tacita indicazione del bando di concorso, espressa attraverso la richiesta di recuperare a nuove funzioni il vecchio fabbricato della stazione centrale.

Nico Ferrettini, Jurji Filieri, Alessandro Berti, ZEIT — Detroit Station for the Arts

Nelle intenzioni del progetto si è scelto di conservare l’edificio esistente nel suo complesso, riconoscendo il pregio e il valore estetico dell’archeologia industriale come pezzo della memoria collettiva e di amplificarne la funzione di landmark urbano ormai consolidato e familiare. Al nucleo originale sono poi stati aggiunti pochi semplici elementi, capaci di integrare ed esautorare il programma funzionale indicato dalla committenza.

Nico Ferrettini, Jurji Filieri, Alessandro Berti, ZEIT — Detroit Station for the Arts

Quasi tutte le funzioni sono state inserite all’interno del volume esistente, con la sola eccezione di quegli spazi considerati qualificanti e centrali nelle ambizioni del progetto. Così la galleria espositiva principale si sviluppa ad anello attorno alla torre, con una superficie esterna specchiata e lucida, che rimanda alle carrozzerie delle auto.

Nico Ferrettini, Jurji Filieri, Alessandro Berti, ZEIT — Detroit Station for the Arts

Questo anello continuo, sospeso in quota, si illumina di notte in modo da consentirne la vista da e per ogni parte della città, e si trasforma in una grande lanterna accesa sul nuovo valore artistico del fabbricato. Il solaio di copertura della vecchia hall di ingresso (convertita in exhibition room) viene sostituito da un giardino pensile, destinato anche a esposizioni e allestimenti all’aperto; su questo tappeto verde si appoggia il volume inclinato delle scale mobili di accesso allo spazio mostre.

Nico Ferrettini, Jurji Filieri, Alessandro Berti, ZEIT — Detroit Station for the Arts

All’interno del nuovo edificio trovano spazio inoltre un auditorium per 3000 persone, due ristoranti e un hotel collocato subito sopra la galleria principale. Completano il programma residenze per gli artisti e atelier di lavoro oltre a spazi di distribuzione, ristoro e altre attività di servizio.

Nico Ferrettini, Jurji Filieri, Alessandro Berti, ZEIT — Detroit Station for the Arts

Nico Ferrettini, Jurji Filieri, Alessandro Berti, ZEIT — Detroit Station for the Arts

NUOVA ABITAZIONE UNIFAMILIARE - Architetto Manuel Tonolini

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Si tratta di un progetto preliminare per una nuova abitazione unifamiliare su due piani sita in un lotto di completamento. L’idea è quella di un edificio bioclimatico orientato lungo l’asse est-ovest con il prospetto sud ampiamente vetrato per massimizzare l’apporto solare invernale, completamente schermato d’estate grazie agli aggetti del portico e del balcone. La zona giorno si trova al piano terra con il disimpegno ed i servizi a nord, mentre gli ambienti di permanenza sono ubicati a sud. La zona notte è al livello superiore con il corridoio a nord.

Architetto Manuel Tonolini — NUOVA ABITAZIONE UNIFAMILIARE

Architetto Manuel Tonolini — NUOVA ABITAZIONE UNIFAMILIARE

Architetto Manuel Tonolini — NUOVA ABITAZIONE UNIFAMILIARE

Architetto Manuel Tonolini — NUOVA ABITAZIONE UNIFAMILIARE

Architetto Manuel Tonolini — NUOVA ABITAZIONE UNIFAMILIARE

Architetto Manuel Tonolini — NUOVA ABITAZIONE UNIFAMILIARE

Architetto Manuel Tonolini — NUOVA ABITAZIONE UNIFAMILIARE

Autostrada A7 Milano – Genova Nuovo casello autostradale di Binasco e viabilità di adduzione Studio di Impatto Ambientale - RIGHETTI&MONTE ASSOCIATI

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Lo Studio di Impatto Ambientale è stato elaborato in relazione alla proposta di riqualifica dell’attuale Casello di Binasco. Il Casello, che si colloca lungo l’autostrada A7 Milano Serravalle interessa i comuni di Binasco, Lacchiarella, Noviglio e Zibido S.G.

RIGHETTI&MONTE ASSOCIATI — Autostrada A7 Milano – Genova Nuovo casello autostradale di Binasco e viabilità di adduzione Studio di Impatto Ambientale

Opere in progetto su fotopiano

Allo stato attuale, le condizioni di funzionalità del nodo presentano livelli di elevata criticità, in relazione:
• alla ridotta lunghezza delle corsie di ingresso;
• alla localizzazione prossima al centro abitato di Binasco;
• ai livelli di congestionamento derivanti dagli elevati volumi di traffico che interessano i principali itinerari di adduzione.

RIGHETTI&MONTE ASSOCIATI — Autostrada A7 Milano – Genova Nuovo casello autostradale di Binasco e viabilità di adduzione Studio di Impatto Ambientale

Foto Simulazione inserimento ambientale del nuovo Casello di Binasco


Tale condizione critica rischia tuttavia di appesantirsi in funzione del potenziale incremento dei volumi di traffico che interessano i principali itinerari di connessione tra i diversi livelli gerarchici della viabilità interessata, derivanti dall’incremento dei carichi e delle funzioni urbane assegnati dai vigenti strumenti urbanistici.

RIGHETTI&MONTE ASSOCIATI — Autostrada A7 Milano – Genova Nuovo casello autostradale di Binasco e viabilità di adduzione Studio di Impatto Ambientale

Foto Simulazione inserimento ambientale del nuovo Casello di Binasco

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Procedura Aperta | Collegamento della linea Torino - Ceres con la rete R.F.I. lungo Corso Grosseto - RIGHETTI&MONTE ASSOCIATI

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Il Bando di Gara ha richiesto l’elaborazione di una proposta migliorativa relativa alla riorganizzazione del nodo stradale di Largo Grosseto, in ottemperanza a quanto previsto dalla prescrizione n. 6 contenuta nella Delibera CIPE n. 101/2012, finalizzata a:
•ottimizzare il funzionamento del nodo stradale,
•recuperare ulteriore sosta a raso,
•tenere conto degli sviluppi in corso relativi agli itinerari di mobilità ciclabile.

RIGHETTI&MONTE ASSOCIATI — Procedura Aperta | Collegamento della linea Torino - Ceres con la rete R.F.I. lungo Corso Grosseto

Fotoinserimento


La progettazione degli itinerari ciclabili ha infine individuato le nuove opportunità di sviluppo di connessioni con il sistema pianificato della rete ciclabile urbana utilizzando quale riferimento principale il documento “Piano della Mobilità Ciclabile (BICIPLAN)”– ottobre 2013 elaborato dalla Città di Torino.


Restauro edificio residenziale 2 - Giraldi Iacomoni Architetti

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L’intervento di restauro ha interessato un fabbricato residenziale in cui sono stati ripristinati antichi locali proponendo un ripensamento del progetto negli edifici storici, in cui l’”invenzione”è contenuta nel complesso rapporto di continuità e di cambiamento che instaura con il passato. La grande volta a botte – assieme alla scala in ferro-vetro – diviene l’elemento caratterizzante l’open space del piano terra che si contrappone alle finiture moderne. Si configura in parte su due livelli ed in parte su un volume monopiano dove sono state apportate modifiche anche alle aperture esterne, nel limite del rapporto con il vincolo paesaggistico.

Giraldi Iacomoni Architetti — Restauro edificio residenziale 2

Giraldi Iacomoni Architetti — Restauro edificio residenziale 2

Giraldi Iacomoni Architetti — Restauro edificio residenziale 2

Giraldi Iacomoni Architetti — Restauro edificio residenziale 2

Giraldi Iacomoni Architetti — Restauro edificio residenziale 2

Giraldi Iacomoni Architetti — Restauro edificio residenziale 2

Giraldi Iacomoni Architetti — Restauro edificio residenziale 2

Giraldi Iacomoni Architetti — Restauro edificio residenziale 2

Giraldi Iacomoni Architetti — Restauro edificio residenziale 2

Giraldi Iacomoni Architetti — Restauro edificio residenziale 2

Giraldi Iacomoni Architetti — Restauro edificio residenziale 2

Giraldi Iacomoni Architetti — Restauro edificio residenziale 2

Giraldi Iacomoni Architetti — Restauro edificio residenziale 2

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Sergey Makhno Workshop - Sergey Makhno

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The total area of ​​200 m2 Realisation 2014 Architects: Sergey Makhno and Ilya Tovstonog Light: sketches by Sergey Makhno Decors, panels, accessories: Sergey Makhno Painting: Oleg Tistol Sculptures, reliefs: Nazar Bilyk, Dmitry Greek, Sergei Red’ko, Yuri Musatov Photographer Andrew Avdeenko

Sergey Makhno  — Sergey Makhno Workshop

Minimalism with loft elements and warm notes of Ukrainian art create a special atmosphere in the workshop that, like a mirror, reflects the owner’s inner being. The key concept of the architect’s office project is to implement the elements worked out by the designers to meet their customers’ needs. The studio with a total area of 200 sq. m combines a showroom and a home-and-work place. “I had an idea to create a space that could inspire not only my team but also our clientele. We want our guests to take on a challenge facing brave and bold experiments”, says Sergey. When designing the studio Makhno used his favourite materials such as concrete, stone, glass, copper, bronze, various species of wood, high quality “TOTO” sanitary ware&fitting and “Miele” kitchen furniture. The office ceiling which is 4-metre high makes you feel easy just as in a free-open surroundings. The works of talented Ukrainian sculptors and artists create a special mood in the minimalist workshop. The bass-reliefs, unique statues, author’s décor and furnishings are united to complete more than just an office but an original showroom of Ukrainian design and art. The main lighting ideas are conveyed based on Makhno’s sketches. A bright spot on the stern and cold concrete wall is a lively green hedge – Epipremnum, the tropical plant brought into Ukraine from Holland. The floor is covered with bulk concrete according to the laying technology which was applied for hospital rooms in 1930s. The flooring is considered to be ecologically pure and water-proof. Due to its smooth non-porous structure, it is void of cracks, joints and very resistant to bacteria. The interior design was created by the studio owner with deep love and attention to his team and their common cause. Therefore, it has a function of an open home space with convenient comforts such as a cosy kitchen, bathroom facilities and a lounge zone. Sergey Makhno cherish the culture of Japan, the country of the rising sun, and honours a tea ceremony. For this reason, he designed a tea room in his studio where together with his friends and visitors the architect can enjoy sipping a fragrant drink. An important element in the workshop is a rich collection of Ukrainian zoomorphic ceramics that integrates harmoniously with the laconic concrete walls and bright Marc Newson “Felt chairs”. Pottery in Ukraine has been developing from ancient times. The pieces of pottery art created by talented masters have spread worldwide. Ukraine’s ceramic crafts reveal a history of the country’s skills and talents. Makhno managed to pick out unique pottery pieces from different corners of Ukraine for them to take a place of honour in his private collection of ceramics. When you enter the workshop the first thing you lay your eye upon is a huge copper reception wall, chandeliers and décor on Sergey Makhno’s project and one of the main exhibits of the studio – the bronze statue “Rain” by Nazar Bilyk, the famous Ukrainian sculptor. Lighting, room temperature and sound are controlled with the help of smart technology system by using a corporate mobile phone. Entering through the three-meter high door you will find a spacious business venue for conducting important events and meetings. It is also decorated with the author’s chandeliers and wooden panels. The room is furnished with Sergey Makhno glass table and Kristalia “Elephant chairs”. The collection of Ukrainian ceramics decorates the library which counts more than 1000 books on design and architecture brought from all over the world.

http://mahno.com.ua/en/projects/show/35

Besa Kross Towers designed by 4M Architecture - 4M Architecture

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Besa Kross Towers project locates on Incek, which is newly developed area in Ankara.This region serves for intensive residential purposes and foreseen scenario for this area is in the way that it will become a satellite town in future.The project diagonally locates on Ankara ring road and has a view to Mogan Lake and Eymir Lake and also it strategically serves for easy access for vehicles. This construction services totally in extroversive way and it is open to 2000-2500 population and consists of 550-600 residential units.Besa Kross Towers bases on environment, which has minimum green area, it procures and maximizes green areas while minimizing socio-commercial designs. Foreseen residential need has been solved within one horizontal and two tower blocks with the integrated social and commercial blocks and landscape designs. Single floor social+commercial blocks are placed on two corners of plot and those are integrated with each other in visual aspects. Towers designed in indigenous, sculptural and shelled way. In addition to that, the will for 360° cross landscape propels for transparent facades and the project creates a new architectural language within existing residential pattern.The building itself challenges to the city with its sculptural view.

4M Architecture — Besa Kross Towers designed by 4M Architecture

areal view of the building

4M Architecture — Besa Kross Towers designed by 4M Architecture

a closer view from the main road

4M Architecture — Besa Kross Towers designed by 4M Architecture

recreational areas provide some special farming spaces for interactivity

4M Architecture — Besa Kross Towers designed by 4M Architecture

night view crystallizes the general appearance of the building

4M Architecture — Besa Kross Towers designed by 4M Architecture

areal view from top

4M Architecture — Besa Kross Towers designed by 4M Architecture

site plan

4M Architecture — Besa Kross Towers designed by 4M Architecture

parking-retail floor plan

4M Architecture — Besa Kross Towers designed by 4M Architecture

ground floor plan

4M Architecture — Besa Kross Towers designed by 4M Architecture

7-20.floor plans

4M Architecture — Besa Kross Towers designed by 4M Architecture

sections

Casa IV - Giulia Reatti

S_A_ srl - Antonio Castiello

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