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Questa stanza non ha più pareti - Cristiana Costanzo, Alessandra Bazzoni

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Nella città moderna una trama di edifici taglia cielo e suolo: il suolo in isolati compatti, il cielo in stretti corridoi. I colori sono quelli degli intonaci e dei mattoni, pietre e marmi: sbiadiscono al sole e si levigano al vento. I suoni si moltiplicano rimbalzando da muro a muro, mentre la pioggia cade su superfici ostili e scompare nei canali sotterranei. Fra il selciato, gli alberi vivono imprigionati al piede e raramente macchiano la terra con le loro ombre, perché sopraffatte da quei muri: ombre grandi che si sommano l’una all’altra, che non dipendono dalle stagioni, dal sole e dalle nuvole, ma dal modo in cui i tetti si innalzano e le facciate si stringono fra loro.

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Eppure c’è altro: là dove questa città“continua” si interrompe o si spezza, là dove comincia il vuoto o il non costruito, là dove gli uomini posso contemplare ammirati la propria assenza. Fra i rilievi inedificati e le frange di bosco superstiti nella Campagna romana è possibile consacrare altri suoni, distinguere altri odori e altri profumi, osservare altre forme, valutare in altri modi il trascorrere del tempo, percepire il variare della luce. Dove la presenza umana trova un’altra misura e cambia scala di grandezza, ritmo e respiro, lo spazio non è più una trama di edifici, un intrigo di strade, la somma di luoghi aperti racchiusi e non continui, ma si dilata nella dimensione e nella ricchezza di un grande territorio aperto e indiviso.

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E’ questo il significato dell’installazione, se pur effimera, di questa “stanza” dentro questa “frangia di bosco”: spazio della conoscenza e della percezione sensibile delle cose di cui è fatto questo territorio, un territorio bene collettivo. Una stanza “trasparente” che filtra la luce, il vento e la chioma degli alberi attraverso i suoi muri di reti – reti riciclate perché solitamente distese sotto gli alberi prima della caduta dei loro frutti.

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E’ l’uomo che chiede agli alberi di aiutarlo a sopravvivere nella gabbia che si è costruito: non si tratta di ammirarne solamente la docile plasticità, ma di assumere come dato consapevole le caratteristiche che spontaneamente ciascuna specie arborea assume nel suo acclimatarsi – le dimensioni, la forma complessiva, il portamento dei rami, le caratteristiche della chioma e dell’ombra proiettata.

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Gli esemplari di Quercus scelti, tra i più imponenti ed affascinanti del sito di riferimento, non hanno premiato con la loro attuale bellezza, gli uomini e le donne che li hanno visti nascere, perché i loro tempi di crescita sono stati più lunghi dei tempi di quell’esistenza umana. Ma sapere oggi che in questo luogo la natura ancora esiste, che qualcuno la difende, la cura e la esalta, e che possiamo metterci in viaggio per andare a vederla, dà la speranza che le forme del progetto antropico si possano col tempo fondere con le trame verdi in un unico ambiente suggestivo e condiviso.

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Un breve percorso realizzato in tronchi di legno riciclati e colorati permette al visitatore di attraversare questa trama metallica fra le fronde – quindi a quota più elevata rispetto al livello del terreno – e di godere di questo spazio di contemplazione ed esaltazione delle forme naturali.

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