“Largo”: così un tempo veniva chiamata la piazza Libertà di Avellino. La sua ubicazione, la sua conformazione, le sue dimensioni apparivano dotate di senso: rispetto alla posizione geografica della capitale Napoli; rispetto alla natura di importante luogo di incontri e di traffici; rispetto ai conventi di Francescani e Domenicani, la cui presenza è ivi documentata a partire dalla fine del XIII secolo. La scomparsa delle chiese di S. Francesco e della Madonna del Rosario legate ai due ordini, avvenuta nel corso del XX secolo, ha acuito l’effetto di eccessiva vastità di questo invaso, sia se lo si rapporta ai caratteri del tessuto urbano più antico, sia se lo si raffronta con la misura degli isolati di più recente formazione, attestati su corso Vittorio Emanuele II di cui la piazza costituisce la naturale conclusione.
© Progettisti Associati . Published on February 05, 2014.
Insieme alle due chiese, il Largo non ha perduto solo il proprio valore spaziale; ha in qualche modo smarrito il proprio senso. La celebre “Veduta del Largo di Avellino”, dipinta da Cesare Uva alla metà del XIX secolo, illustra (con un carattere sospeso tra verità documentaria e prefigurazione progettuale) uno dei molti assetti assunti nel corso della storia dalla piazza. L’invaso connotato da una cortina edilizia relativamente omogenea per altezza, risulta fortemente connotato da due aspetti: la chiesa del Rosario (disposta secondo assi di giacitura apparentemente estranei alle geometrie del luogo) e la chiesa di San Francesco (eretta su un alto sagrato) assumono un ruolo di assoluta emergenza nello spazio della piazza; l’asse lastricato del corso attraversa l’intero invaso della piazza e individua due aree assai dissimili per forma e misura: l’una è pavimentata, l’altra appare sterrata; Affiancando alla veduta dell’Uva le fotografie scattate tra fine ‘800 e inizi ‘900, emerge un terzo aspetto che ha fortemente connotato il carattere della piazza nella sua storia recente: il verde era un elemento capace di creare una notevole qualità ambientale, un luogo adatto alle passeggiate, uno spazio protetto per la conversazione, gli incontri e la lettura; ciò anche grazie alla geometrica (e consistente) massa vegetale della topiaria e alle fitte zone d’ombra capaci di riparare dalla calura estiva. Questi tre aspetti della piazza, andati perduti ma ampiamente documentati da dipinti antichi e foto d’epoca, dotavano di senso e di valori estetico/percettivi questo spazio.
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Rinvenire il senso di questo luogo e restituirgli valore estetico costituiscono gli obiettivi della nostra proposta. L’ideazione progettuale ha preso le mosse a partire dai tre succitati aspetti; senza nostalgici e improbabili tentativi di ricostruire la piazza “com’era”, ma con la volontà chiara di rievocare le tracce perdute e di valorizzare le figure di pregio ancora esistenti nell’invaso urbano.
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A partire da ciò che c’era, abbiamo dunque agito, ma anche a partire dai valori espressi dalla Avellino contemporanea. Molti degli spunti progettuali sono stati infatti forniti dalla stessa città: dalla sua iconografia storica come dalle esigenze contemporanee; dagli articoli pubblicati nei quotidiani locali sul futuro della piazza come dai pareri espressi dalla cittadinanza; dal desiderio di verde dei bambini (che emerge dai questionari scolastici) come dalla condivisa volontà di valorizzare la presenza del cedro. Spunti materiali e immateriali, ancora presenti o perduti, intrecciati insieme, hanno generato il progetto, definendone i colori e la trama, individuandone le figure principali.
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La volontà di prefigurare un contenimento delle spese di costruzione/manutenzione di questo spazio e le necessità dettate dalla congiuntura economica, possono costituire talora un’occasione favorevole per il progetto; allontanando il pericolo di soluzioni alla moda, dispendiose o lontane dal carattere storico del luogo, la contingenza si rivela generatrice di economia formale e sobrietà costruttiva.
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Non è un caso che pochi materiali, misurati segni, selezionate figure stiano alla base della nostra proposta: masse arboree rievocanti un’immagine consolidata nell’iconografia fotografica prebellica; parterre che riprendono in chiave contemporanea l’uso tipico di pietra lavica nelle pavimentazioni stradali; piani orizzontali o verticali che, come sindoni della storia del sito, consentano di riconoscere il suolo su cui si innalzavano le chiese distrutte. All’invaso trapezoidale della piazza, oggi dequalificato dalla presenza di edifici contemporanei di scarsa qualità architettonica e dimensioni inappropriate alla preesistenza, il progetto prova a restituire un ordine compositivo.
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Dando risposta alle indicazioni del bando, esso si adegua totalmente alle necessità impiantistiche e distributive del parcheggio interrato, non rinunciando ad accogliere altre richieste dell’Amministrazione; in particolare, quelle legate al carattere che questa piazza dovrà assumere in futuro tornando ad essere ambito privilegiato di riconoscimento identitario della collettività. Proprio a partire dalla Veduta dell’Uva, il disegno proposto per la piazza definisce due ambiti fortemente differenziati: uno totalmente pavimentato, posto a nord dell’asse di corso Vittorio Emanuele II; l’altro, a sud, trattato a verde. Il primo grazie all’assenza di alberi e alla relativa omogeneità della pavimentazione lavica (screziata da giochi d’acqua e da sottili segni in pietra bianca che sottolineano gli assi compositivi delle facciate e la presenza di strade laterali) esalta la bellezza dei fronti degli edifici attestati su questo lato dell’invaso. Alcuni pilastrini metallici definiscono un piano verticale che giace sul luogo in cui sorgeva il fronte principale della chiesa del Rosario e ne evoca la presenza, attingendo al repertorio figurativo dell’arte contemporanea. Il secondo ambito, posto a sud dell’asse del corso, è invece fortemente connotato dalla presenza del verde. La topiaria rievoca un’immagine della piazza che, risalendo ad un passato relativamente recente, è ancora viva nella memoria di alcuni avellinesi.
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Lungi dall’essere tuttavia un mero omaggio ad una pregressa conformazione del luogo, la topiaria assolve ad altri tre compiti: 1) evidenzia l’asse del corso, rendendone manifesto il tracciato nel vuoto della piazza; 2) crea stanze vegetali, ambiti conclusi e riparati; 3) individua due cornici verdi: la prima a protezione di un piccolo spazio ribassato rispetto al parterre della piazza; la seconda a contenimento di una superficie trattata a prato, al cui centro si erge il cedro. Se il lato settentrionale della piazza si presta a divenire luogo di passeggio, il lato meridionale intende configurarsi come uno spazio adatto alla sosta. Il riquadro verde sul bordo orientale dell’invaso pubblico, laddove si staglia il cedro, ospita lungo i propri bordi una seduta ininterrotta dove poter riposare, incontrare amici, leggere all’aria aperta. Una doppia lieve pendenza (servita da una breve rampa per disabili) genera invece, nella parte occidentale della piazza, un modesto scavo rettangolare che si conforma a guisa di teatrino all’aperto; qui si potrà assistere a brevi concerti di suonatori di strada o semplicemente riposare, allietati dal mormorio di un velo d’acqua traboccante da una vasca d’acqua posta al livello stradale e collocata in un riquadro della pavimentazione, che è traccia del perduto sagrato della chiesa di San Francesco.
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Uniche presenze costruite nella superficie della piazza, omogeneamente ricoperta in pietra lavica, sono le due coperture atte a proteggere le scale e gli ascensori del sottostante parcheggio. Lungi dall’essere puri dispositivi funzionali al collegamento con lo spazio sotterraneo, esse assumono ruoli diversi, divenendo, di volta in volta, sedute, spazi ombrosi, luoghi per affiggere informazioni di pubblica utilità, cornici attraverso cui inquadrare il cedro centenario, una facciata antica o un pezzo del cielo sopra Avellino.
© Progettisti Associati . Published on February 05, 2014.
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