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I 'Giardini del Libro' della biblioteca universitaria. Belval - Monica Sgandurra

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Georges Perec, “La vie mode d’emploi”. “Vicino al maestro c’è un tavolo coperto da un panno verde su cui sono posti gli altri volumi, un mappamondo e uno spartito musicale, in formato all’italiana, aperto. Uno stretto piatto di rame inciso è fissato a un telaio di legno e un’incisione dà il titolo, apparentemente senza rapporto, alla scena: Laborynthus”.

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Il giardino è il luogo del sogno ma anche luogo di sperimentazione nel quale l’uomo costruisce il suo immaginario, racconta le sue visioni, le sue esperienze, i suoi ricordi, narra le sue storie. Come spazio del pensiero e dell’immaginazione, il giardino porta in sé, nella sua forma, la possibilità di molteplici letture che compongono i singoli livelli dell’organismo, organizza percorsi fisici e mentali che trasportano l’uomo all’interno del suo mondo o al di fuori, in altre esperienze, in altri tempi e luoghi.

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Il giardino può essere accostato oggi ad un ipertesto, modalità contemporanea leggere e ricercare in un sistema aperto costituito da una rete di unità informative eterogenee connesse in un ordine non lineare e in modo non predefinito. Parole chiave, metafore, simboli, rappresentazioni ci portano a percorrere i molteplici sentieri di conoscenza e di lettura dentro un ipertesto così come per il giardino, dove il racconto è la componente progettuale dell’opera. I tre giardini per la Bibliothèque Universitaire di Belval non raccontano tre storie, bensì un sistema di letture che per analogie costruisce un sistema narrativo tra i giardini e la biblioteca, tra il mondo del giardino e quello della lettura, del libro e dei lettori. Tre sono le opere che “informano”, danno forma ai tre giardini che a loro volta rivelano una pluralità di racconti simultanei attraverso i suoi caratteri costitutivi. Tre sono le composizioni dei giardini che prendono in prestito l’immagine del labirinto come struttura narrante declinandola nel tempo e nelle forme. Tre sono gli elementi minerali e vegetali che raccontano l’evoluzione del supporto alla lettura dai tempi della nascita della scrittura fino ad oggi, all’immaterialità delle pagine di un ebook. Tre sono i periodi storici che raccontano l’evoluzione della biblioteca come luogo di studio e di custodia, epoche raccontate dalle forme dei giardini. Se il progetto del giardino è l’arte di mettere in relazione elementi apparentemente ad ordini diversi, allora la modalità di lettura dell’ipertesto oggi è un modo per leggere, pensare e costruire un giardino.

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Il primo giardino. Umberto Eco, “Il nome della rosa”. “Così nessuno, salvo due persone, entra nell’ultimo piano dell’Edificio…” L’Abate sorrise: “Nessuno deve. Nessuno può. Nessuno, volendolo, vi riuscirebbe. La biblioteca si difende da sola, insondabile come la verità che ospita, ingannevole come la menzogna che custodisce. Labirinto spirituale, è anche labirinto terreno. Potreste entrare e potreste non uscire.” Il giardino evoca l’Hortus, il giardino racchiuso nei chiostri dei monasteri, luoghi in cui i monaci lavoravano, pregavano e custodivano i saperi; le loro biblioteche conservavano i testi che erano scritti ed illustrati a mano dagli stessi monaci, luoghi chiusi al mondo. Una superficie rettangolare rialzata è racchiusa da una bordura fiorita è l’Hortus, il luogo della coltivazione, nel quale un piccolo boschetto di ciliegi da fiore differenti descrive l’idea della coltivazione per la bellezza e per il bisogno. La piccola massa arborea ci riporta all’idea del bosco, della foresta, luogo labirintico, dove perdersi o ritrovarsi. All’ingresso del recinto, sul lato rivolto alla biblioteca, due rose ad alberetto sono i due custodi del giardino, così come i due monaci erano i custodi della biblioteca del “Nome della rosa”.

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Secondo giardino. Julio Cortázar “Rayuela” (Marelle). “La tecnica consisteva nel darsi vagamente appuntamento in un quartiere e a una certa ora. A loro piaceva sfidare il pericolo di non incontrarsi, di trascorrere la giornata soli, avendo il muso in un caffè o sulla panchina di una piazza, leggendo-un-libro-in-più. La teoria del libro-in-più era di Oliveira, e la Maga l’aveva accettata per pura osmosi. In realtà per lei quasi tutti i libri erano libro-in-meno, avrebbe voluto essere presa da sete immensa e per un tempo infinito (calcolabile fra i tre e i cinque anni) leggere l’opera omnia di Goethe, Omero, Dylan Thomas, Mauriac, Faulkner, Baudelaire, Roberto Arlt, Sant’Agostino e altri autori i cui nomi la facevano sussultare durante le conversazioni del Club.” Il secondo giardino è un labirinto che ha l’immagine evocativa del labirinto di Cnosso, un’immagine che rimanda alla forma del cervello, metafora del pensiero. L’epoca storica di riferimento è quella nella quale le biblioteche si aprono al modo e diventano luogo di studio. Grazie all’invenzione della stampa i libri sono riproducibili e le prime biblioteche aperte agli studiosi sono per l’appunto quelle universitarie. Il giardino racconta ciò con la forma di un labirinto “mentale”, una spirale di aiole dalle fioriture gialle che rimanda ad un altro labirinto, quello cinese del labirinto giallo, il labirinto di Huanghuazhen nel Palazzo d’Estate a Pechino, un “omaggio giallo” alla protagonista del romanzo di Cortázar, la “Sybille”, che amava il giallo come colore e anche all’unico albero presente al centro del giardino, la Brussonatia papyrifera, il Gelso da carta, albero di origine asiatica, introdotto in Europa a metà del 1700 come pianta ornamentale ma la cui corteccia veniva utilizzata in Oriente per la produzione della carta.

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Il terzo giardino. Jorge Luis Borges “Il giardino dei sentieri che si biforcano”. “Tredici anni dedicò a queste eterogenee fatiche, ma la mano di uno straniero lo assassinò e il suo romanzo era insensato e nessuno trovò il labirinto. Sotto alberi inglesi meditai su quel labirinto perduto: lo immaginai inviolato e perfetto sulla cima segreta d’una montagna; lo immaginai subacqueo, cancellato dalle risaie; lo immaginai infine, non già di chioschi ottagonali e di sentieri che voltano, ma di fiumi e di province e di regni…. Pensai un labirinto di labirinti, ad un labirinto sinuoso e crescente che abbracciasse il passato e l’avvenire, e che implicasse in qualche modo anche gli astri.” Tre linee, tre segni, tre direzioni si muovono sinuosamente dentro un luogo chiuso da masse di cespugli sempreverdi che obbligano la vista a cercare una via di uscita, la possibilità di guardare oltre. La struttura del giardino segue la narrazione del “Giardino dei sentieri che si biforcano”, un labirinto contemporaneo, costruito da sentieri, linee di percorso che escono in una radura dove, come landmark, punti notevoli, tre alberi, tre specie diverse, Populus, Betulus e Fagus, sono testimoni, produttori dell’ultimo supporto materiale per la produzione della carta. Sotto l’ombra di questi tre alberi, i lettori posso sdraiarsi e leggere, pensare, riposare, conversare.

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