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OAB Pavilion 2013. Bergamo - Stefano Tacchinardi, fabio damiani, Marco Quistini

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Il nuovo Padiglione OABè una finestra che incornicia una piccola parte di un ben più vasto paesaggio dell’architettura, diventando quindi un momento di dialogo fra chi quel paesaggio lo costruisce, lo progetta, e chi, più concretamente, lo vive. Sorge però spontanea una domanda: chi vive quel paesaggio progettato e costruito da altri, lo vede davvero così verde e rigoglioso com’era nella mente di chi l’ha ideato? La risposta non è sempre così scontata, un po’ perché ognuno la vede a modo proprio, con i propri occhi, con un gusto soggettivo, e un po’ perché in effetti, capita, anche chi progetta e costruisce quel paesaggio dell’architettura commette degli errori. Il vero problema dell’architetto è, come diceva Wright, che “un medico può seppellire i propri errori, ma un architetto può solamente consigliare al suo cliente di piantare dei rampicanti”. Il concept alla base del progetto per lo stand OABè proprio questo: raccontare l’Ordine ed i suoi iscritti con un’architettura funzionale e rappresentativa in cui però siamo noi stessi architetti a fare un’ironica (ed estremizzata) autocritica, che porti curiosità e voglia di “sperimentare” il padiglione in una sorta di percorso didattico, dando vita ad uno spazio dinamico, divertente e, perché no, che sia da spunto per riflettere sul prevenire la piantumazione di rampicanti.

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Il Padiglione OABè un percorso, un ambiente da vivere, che si sviluppa su tutta la superficie messa a disposizione, alternando spazi aperti, di convivialità, a spazi chiusi, in cui si trovano i moduli delle esperienze “didattiche”, pareti attrezzate per proiezioni e aree adibite a esposizioni di tavole e materiale vario. L’utilizzo dei pannelli in PC richiesto dal bando è stato lo spunto per pensare ad uno stand modulare, componibile, di cui quella proposta è solo una delle possibili declinazioni.

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i tre moduli "didattici"

La scelta di utilizzare tre sole tipologie di pannelli è nata dalla volontà di lasciare emergere le diverse zone funzionali e formali del padiglione: già a prima vista, lo stand OAB permette di individuare dove sono gli spazi di accesso, aperti come delle piccole “piazze” conviviali (opalino), i moduli “didattici” in cui sperimentare con ironia cosa sarebbe un’architettura senza regole e buon senso (rosso) ed infine tutti gli ambienti di percorso, proiezione ed allestimento (bianco opaco).

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planimetria | prospetti

L’ingresso principale al Padiglione è filtrato da una piccola “piazza” di accoglienza che può essere comletata con sedute e piccoli arredi, da cui si accede al primo blocco chiuso in cui si trovano uno spazio espositivo allestito anche per videoproiezioni e due moduli “didattici”. Successivamente si passa per un secondo spazio aperto, munito di accessi secondari, per arrivare nell’area coperta terminale, caratterizzata da un’ampia sala per videoproiezioni da cui emerge il terzo modulo “didattico”. Questi tre moduli, evidenziati visivamente dal rosso acceso dei pannelli in PC, raccontano, con un’ironica autocritica, tre casi di mancata applicazione della normativa progettuale e, soprattutto, del buon senso che un progettista deve avere come fondamento base: altezza minima dei locali, larghezza minima dei corridoi e dei passaggi, e, puramente legato al buon senso, la praticità e la funzionalità di uno spazio legato all’attività che vi si svolge.

Si presentano quindi tre momenti in che pongono il visitatore dinnanzi ad altrettante situazioni limite: un passaggio con altezza pari a 120cm, una coppia di corridoi con larghezza pari a 50cm e 70cm e, infine, una situazione paradossale di un posto a sedere che, rivolto verso la parete adibita a videoproiezioni, gode di una visuale grottescamente oscurata dalla presenza di un pilastro “casualmente” localizzato proprio in traiettoria. Ognuno dei moduli ha inoltre una didascalia che ne risalta il significato, riportando citazioni di normative e trattati d’architettura.


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