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Complesso parrocchiale Santa Maria del Carmine - Giuseppe Di Vita, Ugo Rosa, Vincenzo Armando Duminuco

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RELAZIONE DI PROGETTO Il nostro progetto vuole testimoniare, attraverso l’architettura, la relazione inscindibile che intercorre tra liturgia e vita quotidiana del credente. Il termine “liturgia”, dal greco leitourghia, deriva dalle radici leit (laòs, popolo) ed ergon (ergazomai, agire, operare). Esso indica perciò l’attività pubblica per antonomasia ed il suo concetto non si fonda, in origine, su alcuna distinzione tra “sacro” e “profano”. Come scrive Thomas Merton (Stagioni liturgiche, cap. 1: La liturgia e il personalismo spirituale): «La celebrazione liturgica, in questo senso antico e primitivo, è un’azione pubblica e sacra nella quale la comunità, al tempo stesso religiosa e politica, accetta e riconosce la propria identità nel culto». Il rilievo dato, fin dal documento preliminare di concorso alle esigenze della comunità dei fedeli andava, a nostro avviso, in questo senso e in questa direzione instradava i progettisti. Si è tentato, perciò, di valorizzare e “concretizzare” architettonicamente e iconograficamente (attraverso quei «segni sensibili», di cui parla Sacrosanctum Concilium 7) il senso cristiano di Liturgia, e cioè” perché“La Liturgia è anche partecipazione alla preghiera di Cristo, rivolta al Padre nello Spirito Santo” (Catechismo della Chiesa Cattolica 1069; 1073). Abbiamo dunque deciso di impostare il nostro lavoro sul tema della unificazione esplicita di quelle che spesso rimangono componenti accostate ma non completamente integrate: l’edificio per il culto, da una parte, i locali di ministero pastorale, il salone (ed anche l’eventuale casa canonica) dall’altra. Il progetto ha, di conseguenza, eliminato ogni soluzione di continuità tra le parti dell’organismo architettonico. Un recinto definisce, circoscrivendola, l’intera area edificata, la compatta ma la articola poi, al suo interno, nel modo più ricco possibile. Da tutto questo non consegue, però, soltanto la compattezza “interna” del complesso, bensì una maniera precisa di relazionarsi a un luogo, privo di qualità paesaggistiche e segnato dalla brutale presenza, a pochi passi, di una centrale elettrica. Questa scelta non va fraintesa. Non si tratta assolutamente di una chiusura “di principio” nei confronti del mondo esterno, ma di una scelta necessaria che deriva da una situazione, di fatto, immodificabile. Adeguarsi al luogo, infatti, vuol dire ascoltare le richieste del luogo stesso ed esso richiedeva, in questo caso, una scelta priva di velleità“contestualistiche” che avrebbero finito per compromettere il senso architettonico e liturgico dell’edificio. Disporre un confine è, del resto, il primo tra i gesti di fondazione e qui si vuole propriamente “fondare la Gerusalemme Celeste”, giardino e, insieme, paradiso (dal sanscrito paradesha confluito nell’iranico pairidaeza, composto di pairi, intorno e daiz, creare, delimitare un luogo). Infatti: «Come edifici visibili le chiese sono immagine che annuncia la Gerusalemme Celeste» (Lettera circolare di regolamento sui concerti nelle chiese, cit. in C. Valenziano, Architetti di Chiese, pag. 52). Nell’asciuttezza con cui questo progetto si manifesta sono dunque pudicamente celate, secondo una tradizione secolare, la ricchezza e il profumo del giardino e del chiostro. Non è la teatralità del gesto a rendere un luogo ospitale e l’ospitalità non viene meno solo perché non è declamata. Il documento sinodale riportato, nei suoi passi salienti, al primo punto del documento preliminare di concorso manifesta con chiarezza una preoccupazione (punto 22, Educazione liturgica): «Occorre che tutti ci rieduchiamo al vero senso liturgico, evitando che lo stile della celebrazione sia snaturato da forme di spettacolarizzazione o manipolazione personalistica; la celebrazione liturgica sia essenziale ed ecclesiale nel rispetto della normativa canonica». In un momento in cui proprio la spettacolarizzazione e la manipolazione personalistica sembrano dominare l’architettura, arte civile per eccellenza, noi artigiani del costruire, non possiamo non fare nostra la preoccupazione espressa dal documento sinodale. La sua esortazione alla “essenzialità” liturgica diventa una sfida a conseguire uguale essenzialità nell’architettura che ne deve costituire la manifestazione costruita. Per questo abbiamo voluto legare le nostre scelte architettoniche e artistiche ad un programma iconografico ispirato all’episodio di Elia sul Monte Carmelo (1Re18) e alla lettura che ne ha dato Benedetto XVI. Ne riportiamo un passo saliente: «…inizia…il confronto tra due modi completamente diversi di rivolgersi a Dio e di pregare. I profeti di Baal, infatti, gridano, si agitano, danzano saltando, entrano in uno stato di esaltazione arrivando a farsi incisioni sul corpo, «con spade e lance, fino a bagnarsi tutti di sangue» (1Re 18,28). Essi fanno ricorso a loro stessi per interpellare il loro dio, facendo affidamento sulle proprie capacità per provocarne la risposta. Si rivela così la realtà ingannatoria dell’idolo: esso è pensato dall’uomo come qualcosa di cui si può disporre, che si può gestire con le proprie forze, a cui si può accedere a partire da se stessi e dalla propria forza vitale. L’adorazione dell’idolo invece di aprire il cuore umano all’Alterità, ad una relazione liberante che permetta di uscire dallo spazio angusto del proprio egoismo per accedere a dimensioni di amore e di dono reciproco, chiude la persona nel cerchio esclusivo e disperante della ricerca di sé. E l’inganno è tale che, adorando l’idolo, l’uomo si ritrova costretto ad azioni estreme, nell’illusorio tentativo di sottometterlo alla propria volontà. Perciò i profeti di Baal arrivano fino a farsi del male, a infliggersi ferite sul corpo, in un gesto drammaticamente ironico: per avere una risposta, un segno di vita dal loro dio, essi si ricoprono di sangue, ricoprendosi simbolicamente di morte». La chiesa, dedicata a Maria SS.ma del Monte Carmelo e l’intero complesso parrocchiale sono state dunque concepite proprio traendo ispirazione da queste parole. Anche l’architettura, infatti ha, oggi, i suoi idoli e tende a chiudersi «nel cerchio esclusivo e disperante della ricerca di sé». Questa “ricerca” arbitraria e narcisista si presenta coi panni di una “originalità” urlata e fine a sé stessa e neppure l’architettura delle chiese ne è esente: la moda pretende il “nuovo” ed ogni giorno sacrifica uomini e donne a questo idolo mediatico. Il Monte Carmelo diventa il tema del grande retablo che filtra la luce dietro l’altare; il fuoco che scende dal cielo, di cui si parla in 1Re18, risposta di Dio alla preghiera di Elia, si fa Presenza dello Spirito sull’altare (rievocato attraverso il “ciborio in forma di pioggia di luce”) e sul tabernacolo, nella preghiera di Cristo a cui la Chiesa partecipa. I materiali che adoperiamo sono pochissimi e si associano ai tre elementi fondamentali di qualsiasi edificio: l’attacco a terra, il corpo, il coronamento. Il muro che delimita e recinta è bianco, semplicemente intonacato. Esso è“portato” da un basamento unico di pietra lavica (sagrato e fondamento di tutto il complesso) che prende visivamente origine dalla croce e si manifesta all’esterno in un segno di ospitalità e accoglienza: un sedile che corre lungo tutto il perimetro e si offre al riposo del viandante. Infine il terzo materiale che fa da coronamento, sospeso e aereo: la maiolica. La piastrella che lo compone reca le iniziali A ed M in azzurro, colore della Vergine Maria, che si incrociano a formare una stella di Davide su fondo bianco. I nostri tre materiali si richiamano, come si vede, alla tradizione costruttiva dell’area mediterranea e, segnatamente, locale (maiolica decorativa, intonaco bianco, pietra vulcanica…). Anche dal punto di vista costruttivo la chiesa è, in ottemperanza alle intenzioni di cui abbiamo detto, semplicissima. Nessun funambolismo statico, nessuna concessione alla moda imperante della spettacolarizzazione ingegneristica, nessun virtuosismo strutturale fine a se stesso. Ogni cosa trova, naturalmente, il suo posto intorno al grande quadriportico che diviene il cuore del complesso. Nella forma e nelle proporzioni il progetto richiama puntualmente la basilica costantiniana di San Pietro e, questo riferimento assume un valore che va molto oltre la semplice indicazione formale: è volontà di vicinanza alla esperienza evangelica originale e richiamo ad una tradizione che non cerca “l’originalità” a tutti i costi né la teatralizzazione narcisista della figura dell’artefice-creatore di novità alla moda. Il coronamento in maiolica, infine, non è solo un elemento decorativo. Esso diviene percorso; un percorso che consente ai fedeli di appropriarsi da ogni punto di vista del loro complesso parrocchiale, di abbracciarlo (letteralmente, giacché cinge l’intero edificio…) e di viverlo. Questo percorso culmina, attraverso una via Crucis costituita da una serie di quattro rampe a leggera inclinazione, sull’ultimo giardino, quello sul tetto, che svolgerà, nello stesso tempo un ruolo tecnico, funzionale e simbolico, a coronare il programma iconografico proprio con le parole finali di Elia sul Monte Carmelo: «…così disse al ragazzo: Vieni qui, guarda verso il mare» (1Re18, 43). UGO ROSAVINCENZO DUMINUCOGIUSEPPE DI VITA

Giuseppe Di Vita, Ugo Rosa, Vincenzo Armando Duminuco — Complesso parrocchiale Santa Maria del Carmine

fronte principale

Giuseppe Di Vita, Ugo Rosa, Vincenzo Armando Duminuco — Complesso parrocchiale Santa Maria del Carmine

La Chiesa

Giuseppe Di Vita, Ugo Rosa, Vincenzo Armando Duminuco — Complesso parrocchiale Santa Maria del Carmine

La Chiesa

Giuseppe Di Vita, Ugo Rosa, Vincenzo Armando Duminuco — Complesso parrocchiale Santa Maria del Carmine

La Cappella feriale

Giuseppe Di Vita, Ugo Rosa, Vincenzo Armando Duminuco — Complesso parrocchiale Santa Maria del Carmine

Il Fonte Battesimale

Giuseppe Di Vita, Ugo Rosa, Vincenzo Armando Duminuco — Complesso parrocchiale Santa Maria del Carmine

Vista dal camminamento perimetrale

Giuseppe Di Vita, Ugo Rosa, Vincenzo Armando Duminuco — Complesso parrocchiale Santa Maria del Carmine

L'accesso ai locali di ministero pastorale

Giuseppe Di Vita, Ugo Rosa, Vincenzo Armando Duminuco — Complesso parrocchiale Santa Maria del Carmine

Vista generale


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