Nel 2009 l’Ordine degli Architetti di Biella promuoveva una ricerca sull’Architettura del ‘900 a Biella, da cui la Mostra IDENTITA’ DI PIETRA del 2011.
Io ho partecipato insieme ai colleghi Bazzan e Bacchi alla ricerca storica d’archivio, ho seguito inoltre altri aspetti del progetto tra cui articoli su LA STAMPA , predisposizione di una cartografia poi in distribuzione all’ATL di Biella.
Ho invece curato personalmente tutte le riprese fotografiche.
Di seguito espongo le immagini oggetto della mostra, parte di un lavoro ben più ampio.
Riporto il mio articolo apparso sul catalogo della mostra:
ARCHITETTURA E FOTOGRAFIA- SULLA FOTO DI ARCHITETTURA
L’ARCHITETTURA
Si può affermare “l’architettura non mi interessa” ?
Può dirlo chi non abita in una città, o in un paese, o in un borgo; chi non vive in una casa, o in un alloggio; chi non si sposta su un territorio in auto, treno, in moto, bici o a piedi; chi non fa compere in un negozio, o in un supermercato; chi non si veste, chi non usa mobili, chi non usa piatti, posate, tappezzerie; chi non lavora, chi non va in ferie, chi non visita musei, parchi e città; chi non fa sport, chi non sogna un mondo migliore.
Ho descritto una persona che non esiste; noi siamo immersi nell’architettura, ci piaccia o no, e l’architettura nel bene e nel male, ci condiziona la vita.
Il cardinale Ersilio Tonini, sottolineando l’importanza dell’architettura diceva: “Non credo che gli architetti possano andare all’inferno, perchè l’inferno è il posto del “Brutto”, e l’Architettura è bellezza …”
Anni prima il grande Le Corbusier, circa la necessità di una buona architettura, non senza un certo snobismo affermava: “Il bello è il superfluo indispensabile agli uomini di animo elevato”
In effetti, certi quartieri degradati delle grandi periferie urbane sono l’inferno in terra; lì troviamo “edilizia”, non Architettura.
LA FOTOGRAFIA
Si può tranquillamente fare a meno della fotografia, si può passare un’esistenza ignorandola. Sì, la fotografia è un’arte inutile.
Proprio come la pittura, la scultura, la danza, la musica, l’architettura, ecc. ecc.
Ma può compiere un piccolo miracolo: può“far vedere il mondo”, che fino a quel momento era passato davanti agli occhi come un film già visto, guardato solo distrattamente.
Architettura, Fotografia, Progettazione
La fotografia di alto livello, è sempre frutto di una attenta progettazione, proprio come la migliore architettura. Infatti soggiace alle medesime regole, prima fra tutte lo studio e l’ottimizzazione della composizione, ma mentre in architettura si opera nello spazio tridimensionale, in fotografia si deve rendere la percezione dei volumi e dello spazio mediante la trasposizione sul piano. Con il termine progettazione, tradotto con previsualizzazione in fotografia, si intende un gesto creativo che può essere istantaneo come nella fotografia che si rifà al “momento decisivo” di Cartier-Bresson o può invece richiedere tempi lunghi inframmezzati da pause di riflessione sull’oggetto della ripresa, atteggiamento che si esplicita nel concetto della “lentezza dello sguardo” di Gabriele Basilico.
Approccio alla ripresa fotografica
Il filosofo Roland Barthes, in un suo scritto divenuto fondamentale nella cultura della critica fotografica, “La Camera Chiara”, individua nel “Punctum” quello stato d’animo che si viene a creare in chi osserva una fotografia che ha in sè“qualcosa” che provoca una forte emozione.
E in effetti tutte le più famose fotografie finiscono per divenire delle “icone” riconosciute e riconoscibili, anche per la caratteristica della memoria di fissare i ricordi “per immagini”. Vi è poi nel variegato mondo della fotografia tutto un filone che usa (abusa?) immagini forti, capaci di colpire l’animo dell’osservatore.
Un’altra categoria di immagini è caratterizzata non tanto dal visibile, quanto da ciò che cela; riconosciamo, forse, il profilo di un famoso edificio, un dettaglio che, da solo, ci dice dove è stata scattata la fotografia.
La scelta del bianconero
La nascita della fotografia a colori è stata giustamente salutata come un fatto positivo, finalmente si poteva riprodurre il mondo che ci circonda con i suoi colori. La fotografia “parlava” da sola e non c’era più bisogno di descrivere il colore dei vari elementi in essa contenuti.
E allora cosa giustifica oggi la scelta del bianconero? Non è una domanda oziosa perché anche se molti fotografano in bianconero perché le relative stampe si qualificano subito quali “Fine art”, non tutti hanno ben chiaro ciò che caratterizza una fotografia in B/N. Intanto prendiamo atto che la foto in B/N non è morta con l’avvento del colore. Anche il passaggio al digitale non l’ha soppiantata, anzi, liberata dalle difficoltà del trattamento chimico in camera oscura, oggi vive una nuova stagione di rinnovato interesse.
La foto a colori ha un parametro in più da gestire: il colore; questo, a fronte del mai risolto problema della corretta resa dei toni, consente però un relativo minor impegno in fase di scatto sotto il profilo dell’illuminazione, lasciando al colore il compito di evidenziare, separare e descrivere i vari oggetti all’interno di una ripresa.
Nel B/N non abbiamo la “distrazione” del colore e la descrizione dell’oggetto fotografato avviene solo tramite campiture e linee, all’interno della gamma di grigi che va dal bianco puro al nero assoluto. Percepiamo e decodifichiamo quindi l’immagine per forme e linee, nelle varie sfumature di grigio. La fotografia in B/N è“concettuale”, di per sé invita all’osservazione prolungata, alla riflessione.
Il discorso sull’opportunità di scelta di volta in volta del colore o del B/N è comunque più complesso e articolato, ma la sua trattazione esula dal fine della presente pubblicazione.
Le foto della mostra
Le foto in mostra seguono un’altra via, quasi didattica e, pur senza voler rinunciare a un compiacimento estetico, dettato dall’interesse nei confronti degli edifici fotografati, si limitano a descrivere e se possibile a evidenziare o enfatizzare l’essenza architettonica, oltre ai valori formali espliciti e sottesi.
Si è optato quindi per la ripresa grandangolare, che accentua le linee di fuga prospettiche e “allontana” il primo piano dallo sfondo, si è cercata la massima definizione, lo studio di luci ed ombre con numerose sessioni di ripresa, mirato alla messa in evidenza di volumi, tessiture, dettagli. Il tutto con lo scopo dichiarato di avvicinare all’architettura e, in questo caso, di rendere familiari e “nostre” queste silenziose presenze fino ad oggi troppo spesso ignorate.
Mario Zenoglio
Nota sulla fotografia a Biella.
Nel 1856, agli albori della fotografia, Giuseppe Venanzio Sella pubblica uno dei primi trattati italiani sull’argomento, “Il Plico del fotografo”, edito a Torino da Paravia.
Con il più celebre Vittorio Sella, fotografo, alpinista, esploratore e altri, Biella entra di diritto a far parte delle “capitali” della fotografia mondiale.
Senza addentrarci qui su aspetti prettamente tecnici, in quest’epoca di euforia “digitale”, c’è da osservare che gli apparecchi fotografici adoperati dai nostri illustri progenitori erano e sarebbero ancora capaci di regalarci fotografie eccezionali.
LANIFICIO-SCUOLA PIACENZA
Istruire operai specializzati nella lavorazione della lana per fare fronte alla forte concorrenza straniera: questo era lo scopo del Lanificio-Scuola promossa dall’industriale Felice Piacenza e ospitata nella palazzina di piazza Lamarmora, ora sede della sezione ragazzi della biblioteca civica. Costruito nel 1911, l’edificio riflette il gusto eclettico dell’epoca e l’ideologia dell’istituzione per cui è nato, attraverso l’utilizzo di elementi decorativi ed architettonici ispirati al Rinascimento toscano e di motti latini rivolti agli allievi. Il “lanificio” integrava l’adiacente Regia Scuola Professionale che aveva sede nel chiostro di S.Sebastiano: qui si avviavano i giovani a diverse professioni nei settori meccanico, elettrotecnico, edile e tessile. L’intero complesso comprendeva anche un capannone a shed, attrezzato con macchine per la lavorazione della lana, per le esercitazioni pratiche, di cui oggi rimane solo parte del muro perimetrale, ultima e significativa testimonianza di un comparto educativo professionale e commerciale all’avanguardia, integrato anche dal vicino Istituto Bona.
La palazzina venne progettata dall’architetto Carlo Nigra che prese parte a partire dal 1882 alla costruzione del Borgo Medievale di Torino, come assistente di Alfredo d’Andrade, con cui lavorò anche per il restauro del castello di Malgrà a Rivarolo Canavese. Grazie ai suoi studi sui castelli, ricetti e fortificazioni medievali venne scelto dalla Sovrintendenza piemontese per il restauro di numerosi edifici. Tra le sue opere citiamo i restauri della tardogotica Casa Della Porta a Novara; del castello di Barengo; della Casa Centoris a Vercelli. In ambito biellese ricordiamo anche il progetto del castello Nuovo di Rovasenda (1903) e la ristrutturazione del castello di Sandigliano (1929).
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
ISTITUTO COMMERCIALE “EUGENIO BONA”“Onestà, operosità, lealtà” sono solo alcuni dei motti di stampo ideologico rivolti agli allievi dell’Istituto Bona e presenti sulla facciata, in corrispondenza della fascia decorativa che separa il piano terra dal primo. L’edificio si uniforma all’eclettismo imperante, rievocando lo stile rinascimentale fiorentino negli elementi architettonici, nella composizione della facciata e nei materiali, quali il cotto e la maiolica policroma. La scuola venne fondata nel 1913 grazie al generoso lascito di 50.000 lire da parte dell’imprenditore onorevole Eugenio Bona il cui busto è all’ingresso dell’istituto, in corrispondenza della parte porticata dell’avancorpo centrale. Suo obiettivo era quello di contribuire alla formazione di personale amministrativo per le aziende commerciali ed industriali. Il corso di studi era impostato secondo il business system delle scuole di matrice anglosassone ossia con momenti di pratica su reali operazioni di banca e commerciali.
Come il vicino Lanificio Scuola Piacenza, l’edificio di via Gramsci venne costruito dall’impresa Delleani di Pollone, mentre il progettista è in questo caso Stefano Molli di Borgomanero.
Egli si laureò in ingegneria a Torino nel 1882, successivamente frequentò l’Accademia Albertina e dopo un viaggio a Roma per completare la sua formazione incominciò l’attività presso lo studio del conte Carlo Ceppi, architetto eclettico torinese. Tra i suoi lavori più importanti ricordiamo l’edificio dell’Unione Tipografica Editrice Torinese e la chiesa di Santo Stefano a Borgomanero.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
VILLA DEL CONTE EZIO ORESTE RIVETTI DI VALCERVO
Nel tratto più panoramico del promontorio naturale che domina la sponda destra del Cervo furono costruite negli anni '20 quattro ville per altrettanti componenti della famiglia Rivetti. I facoltosi imprenditori lanieri acquistarono circa due ettari di terreni per realizzarvi un sistema di sfarzose residenze, completando così la “presa di possesso” territoriale entro i confini della città, cominciata con il trasferimento delle proprie industrie dalla Valle di Mosso. La villa, realizzata tra il 1924 e il 1929 da Oreste Rivetti, poi nominato Conte di Val Cervo da Mussolini nel 1941, è in stile neo-rinascimentale toscano, ma sembra possibile poter cogliere, dalla lettura dei prospetti e della stereometria dell'edificio, una certa adesione ai principi del primo razionalismo italiano. Sembra plausibile, infatti, dalle testimonianze raccolte e dall'analisi dei disegni d'archivio, che autore dell'intero progetto, e non solo di alcuni interventi “minori” di arredo interno come fino ad oggi sostenuto, sia proprio l'architetto razionalista Giuseppe Pagano. Se così fosse, questo sarebbe il suo primo incarico a Biella, antecedente a quelli più noti ricevuti da Riccardo Gualino a Torino. L'impianto della villa si regge in modo simmetrico e monumentale su due assi ortogonali. Le facciate sono scandite dall'uso alternato della pietra d'Istria (basamento e marcapiani) e del laterizio rosso, proveniente da una fornace di proprietà dei Rivetti, appositamente acquisita prima della realizzazione delle imponenti ville. Tutti i giardini del complesso residenziale sono a firma di Giuseppe Roda.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
PALAZZO RONCO
L’area dei giardini Zumaglini ebbe sistemazione nel XIX secolo in funzione soprattutto della ferrovia. La stazione si trovava davanti agli attuali giardini e faceva da “spartiacque” tra la città antica e la periferia sud confinante con i campi coltivati. La parte a nord è interessante per la presenza di due “anime”: l’eclettismo “di ritorno” di palazzo Ronco e di altri edifici adiacenti quali la Villa Reda del 1926 e le nuove idee espresse da palazzo Ripa di Nicola Mosso. Il Palazzo Ronco, del 1925, ha la facciata “di rappresentanza” verso i giardini, ed un secondo affaccio sulla via Mazzini con corte interna, denunciando la sua pianta a “C”: presenta caratteri neorinascimentali (cornici, finestre e bugnati), accanto ai predominanti neogotici, racchiuso da due torri merlate. L'aspetto dell'edificio è severo, e ancor più lo sono gli interni, dove la luce è sempre filtrata da vetrate spesso colorate con vetri cattedrali.
Il progettista, l'architetto Gottardo Gussoni, torinese, fu allievo di Pietro Fenoglio, uno dei più importanti architetti del Liberty italiano e collaborò coi maggiori studi della Torino di inizio secolo realizzando numerosi progetti dai richiami formali Liberty e neogotici. Infatti parallelamente al naturalismo esasperato del Liberty si sviluppò la corrente del Neogotico che, con il suo eclettismo ricco di allegorie di ispirazione medievale, talvolta andò contaminare il Liberty. Tra i capolavori di Gussoni annoveriamo a Savona la Villa Zanelli, Liberty; a Torino il Villino Raby, baroccheggiante e il Palazzo della Vittoria, neogotico.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
AGENZIA DEL TERRITORIO, EX-CASA DEL FASCIO
Tra il 1922 e l’inizio del secondo conflitto mondiale il partito fascista distribuì sul territorio italiano e coloniale più di 11.000 Case del Fascio che divennero, per la diffusione capillare e per le funzioni svolte, fulcro della vita sociale delle comunità: oltre che emanazione diretta del partito erano anche centri di aggregazione ricreativa, culturale ed assistenziale. A Biella la Casa del Fascio, ora sede di uffici dell’Agenzia del Territorio, venne costruita in via Amendola all’angolo con via Pietro Micca con progetto del 1929: al piano terreno erano sedi di partito e dei sindacati; al primo sale da gioco e ricreative. L’edificio riprende temi della tradizione storica, ma rielaborati in un linguaggio più essenziale; la facciata principale ha composizione simmetrica con corpo centrale più alto segnato dai due ingressi e al primo piano da tre arcate corrispondenti, all’interno, ad un salone di rappresentanza, ora modificato, il cui pavimento era decorato con i simboli della svastica.
Autori del progetto sono i vercellesi Paolo Verzone e Giuseppe Rosso. Verzone si laureò in ingegneria a Torino nel 1925, coltivando fin da giovane l’interesse per la storia dell’architettura, in particolare quella tardoantica e medievale. Tra le sue realizzazioni ricordiamo a Biella l’edificio della biblioteca e museo con Cornelio Grossi e a Vercelli il restauro della basilica di S.Andrea. Rossi si laureò in architettura a Torino nel 1926 e collaborò dal 1934 alla rivista Stile Futurista. Tra i suoi lavori citiamo il piano di risanamento del quartiere Furia e la Borsa Risi a Vercelli con Armando Melis e Giovanni Bernocco e il grattacielo nord di piazza Dante a Genova.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
PALAZZO TROSSI
L'edificio noto come Palazzo Trossi è ubicato su di un lotto angolare lungo la strada provinciale per Oropa. Si tratta di un edificio residenziale ad appartamenti, progettato nel 1929 dall'architetto Augusto Giorgio Severi Bonesi. E' composto di due corpi a pianta rettangolare connessi ad angolo retto. Lo spigolo dell'angolo formato dai due corpi di fabbrica è tagliato obliquamente a 45° a ricavare una grande e movimentata facciata rivolta verso la strada. Tutta la costruzione riflette un gusto eclettico con citazioni stilistiche di stampo mitteleuropeo, come i frontoni gemelli dalle sommità ondulate e gli archi ribassati delle aperture di facciata e soprattutto il grande arco che incornicia l'ingresso principale. Una curiosità: lo scalone monumentale esterno di accesso, che da solo merita una visita, costituito da una scacchiera di elementi romboidali ad imitazione della sienite, la pietra delle cave biellesi della Valle Cervo, magistralmente eseguiti da abili cementisti e tuttora intatti, nel progetto iniziale avrebbe dovuto essere costituito da una cavea, cioè la gradinata concava tipica del teatro greco e adottata poi dai romani (es. Colosseo). L'ingresso alla sommità dello scalone, incorniciato dal grande arco ribassato e nei primi disegni concepito come un'esedra concava su cui si aprivano tre porte, attualmente presenta una grande nicchia chiusa da una vetrata tripartita e suddivisa con vetri rettangolari tra profili in ferro. All'esterno è l'alto zoccolo a bugnato e l'intonaco Terranova in graniglia, tipico del periodo
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
VILLA EUGENIO RIVETTI
L’area compresa tra le vie Galileo, Repubblica e Marconi è un ampio terrazzamento proteso sul Cervo e le sue fabbriche. Qui vennero costruite, a partire dagli anni Venti del ‘900, le dimore della nuova classe industriale borghese emergente: alte sulla vallata, non lontane dagli stabilimenti di riferimento, vicine alla città ma raccolte in un unico quartiere, svolsero in pieno la funzione di rappresentanza legata al nuovo status sociale. La villa al numero 45 di via Galileo, come la gran parte delle altre vicine, si basa su impostazioni tradizionali sia nella distribuzione degli ambienti sia nelle forme e composizione dei fronti, con decori di matrice eclettica. Del resto la dimora in “stile” veniva considerata dai committenti più consona alle esigenze rappresentative e di autocelebrazione derivanti dallo status della famiglia.
Il progettista è l’architetto Michele Frapolli, lo stesso di Palazzo Righetti. La villa è però antecedente di qualche anno: risale infatti al 1929. Il suo studio a Torino era molto attivo all’epoca e si occupava di edilizia residenziale ed industriale. In quest’ultimo ambito ricordiamo lo stabilimento Lancia del 1919. Nei primi anni Venti del Novecento realizza nel capoluogo piemontese numerose ville e palazzine nel quartiere Crocetta e case da reddito nei quartieri di nuova espansione, caratterizzate da un’attenta scelta di materiali di pregio e decori formali di stampo eclettico. Nello studio di Frapolli si forma anche l’architetto biellese Nicola Mosso.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
PALESTRA DI PIAZZA CURIEL, EX-CASA DEL BALILLA
Dopo il 1922 si assiste ad un proliferare di istituzioni politiche, assistenziali e sociali emanate dal Partito Nazionale Fascista (ONB, OND, GIL, colonie elioterapiche, ecc.) che si concretizzarono in un sistema di strutture di servizio distribuite sul territorio e nella nascita di nuovi tipi edilizi aperti alle nuove correnti architettoniche. L’Opera Nazionale Balilla, fondata nel 1926 e confluita undici anni più tardi nella Gioventù Italiana del Littorio, mirava all’assistenza e all’educazione fisica e morale della gioventù, integrando l’azione della scuola pubblica. La Casa del Balilla venne costruita in piazza Curiel per volere del commendator Ermanno Rivetti, presidente provinciale dell’Ente, ed inaugurata il 16 febbraio 1930 in occasione del campionato nazionale di sci delle Avanguardie Fasciste svoltosi ad Oropa, con la presenza del Sottosegretario di Stato per l’Educazione Fisica, onorevole Renato Ricci. Durante la scenografica cerimonia venne effettuato un lancio di piccioni viaggiatori ad annunciare l’evento inaugurale. L’edificio, dalle linee semplici e dalla composizione simmetrica della facciata, purtroppo ora deturpata dalle scale antincendio, comprendeva uffici, biblioteca, ambulatorio, sala per la scherma, bagni, un’ampia palestra ed un salone per le adunanze e l’insegnamento della musica.
Il progettista è Costantino Costantini, nato a Oneglia nel 1904. Dopo aver conseguito le lauree in ingegneria e architettura a Torino, inizia la professione nello studio di Giuseppe Pagano, dove collabora alla progettazione del ponte Vittorio Emanuele III, ora Balbis (1927-28). Negli stessi anni progetta le Case del Balilla a Torino e Mantova; la colonia marina Reggiana a Riccione; alcuni edifici al Foro Mussolini a Roma tra cui lo Stadio dei Marmi e la piscina olimpionica coperta; la Casa del Marinaretto a Torino, purtroppo demolita nel 1961.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
CASA AMOSSO
Nell'attuale via Caraccio, al civico 28, sorge la Casa Amosso, costruita nel 1931 su progetto dell'architetto Augusto Giorgio Severi Bonesi. Esempio di tipologia di “villa signorile” secondo la definizione dell'epoca, è situata in un lotto angolare tra la via Caraccio e il viale Matteotti. La fascia di terreni che prospettano sul viale Matteotti e la via Galileo, ultimo lembo pianeggiante prima dei salti rocciosi (via Galileo) e dell'alto muro di sostegno (viale Matteotti), che offrono un vasto panorama sulla piana del torrente Cervo e sulle prealpi biellesi, negli anni '30 del secolo scorso divengono luogo privilegiato delle ville più prestigiose (Rivetti, ecc.). Il progettista è lo stesso di Palazzo Trossi e ritroviamo qui gli stessi riferimenti formali, applicati tuttavia al caso tipologicamente diverso della “villa signorile” ma non per questo in modo meno scenografico. La facciata esterna su via Caraccio è assolutamente squadrata, ciò che non fa intuire l'articolazione più complessa delle facciate interne con giochi di pieni e vuoti, loggiati e pareti oblique. Mentre il rivestimento delle facciate è in intonaco di graniglia Terranova, l'affaccio su strada presenta un'originale e alta zoccolatura in granito rosa di Baveno lavorato a scanalature verticali. Dallo zoccolo si alzano delle paraste (sorta di pilastri sporgenti dalla facciata di pochi centimetri), sempre in granito scanalato, che suddividono la facciata prolungandosi oltre il tetto a formare dei pilastrini. Tutti gli ambienti principali si aprono su di un atrio, fulcro della composizione, in parte a doppia altezza ed illuminato da un oculo centrale.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
CASA CERVO
Con il progetto dell'edificio tra via Mazzini e via Colombo l'architetto Nicola Mosso ha l'occasione di esprimere il suo personalissimo futurismo di impronta “scultorea e neoplastica”. Questo accade nei primi anni '30 proprio quando, tramite il pittore Fillia, Mosso si accosta al Secondo Futurismo, ai suoi protagonisti e a Marinetti. Il palazzo è un eccezionale esempio di integrazioni delle arti, ma è interessante notare come i primi disegni non indichino l'apporto di altri artisti. L'edificio viene concepito come una scultura a scala urbana, innovativa sotto diversi aspetti: non viene adottato lo schema a parallelepipedo chiuso, comune ad altre situazioni d'angolo della città; la facciata non è piana, ma frutto della compenetrazione di volumi e dell'alternanza “pieni e vuoti”; gli elementi tradizionali dell'architettura, quali cornicioni, stipiti e finestre sono re-inventati come astrazioni plastiche; l'uso del colore, infine, dà impulso dinamico alle parti. In un secondo momento si fa strada in Mosso l'idea di intraprendere una cooperazione con altri artisti e in una delle riunioni futuriste, frequenti anche a Biella, viene deciso di fare della Casa Cervo un “Manifesto” di integrazione delle arti. Il progetto prevede quindi l'introduzione, nelle pareti delle logge, di plastiche murali “a fresco” su intonaco, che vengono affidate agli amici pittori Fillia, Pippo Oriani e Mino Rosso, i quali rappresentano i simboli del paesaggio biellese - la fabbrica, i campi arati, i monti, il volo - in quadri di una “esposizione urbana” che si relazionano con il paesaggio circostante.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
PALAZZO RIGHETTI
L’apertura nel 1892 della via XX settembre portò alla nascita di una nuova area di espansione a est di via Italia, caratterizzata da palazzi residenziali ed alcuni edifici pubblici quali il Palazzo di Giustizia e il Monte di Pietà, attestati sulla via Vittorio Emanuele, oggi via Repubblica, nuovo asse di collegamento nord-sud. Qui, all’angolo con la via XX settembre ed in sostituzione di tettoie e magazzini, venne costruito nel 1934 il palazzo Righetti su progetto dell’architetto Michele Frapolli. In un articolo d’epoca de Il Biellese così viene descritto: sia per il modo con cui viene eseguito, sia per i materiali impiegati, sia per le caratteristiche degli appartamenti, sarà veramente signorile, se non lussuoso. Riscaldamento centrale, servizi d’acqua calda e fredda, ascensori, e gli altri comodi moderni è ovvio che vi siano compresi. L’edificio riflette intonazioni di carattere classicista nei rapporti tra gli elementi architettonici, pur nella razionalizzazione delle forme. I fronti sono caratterizzati da un diverso uso dei materiali e da una bicromia che ne definisce le parti, mentre l’enfatizzazione dell’angolo in corrispondenza di uno degli ingressi, rompe l’antico valore della facciata.
Il torinese Frapolli si laureò in architettura al Politecnico Federale di Zurigo nel 1902 ed iniziò ad esercitare a partire dal 1905 realizzando più di trecento edifici: la sua prima opera importante a Torino è il villino Kind che riprende stilemi dalla Secessione Viennese. I riferimenti formali della produzione compresa tra gli anni ’10 e ’20 del ‘900 sono improntati alla tradizione, con una particolare attenzione al revival medievalista, per subire invece nel primo dopoguerra una modernizzazione che porta ad un avvicinamento al Novecento milanese. L’edificio di via Repubblica ne è un esempio.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
ISTITUTO TECNICO INDUSTRIALE QUINTINO SELLA
Il 20 ottobre 1936 il cavalier Romolo Buratti, consigliere di Amministrazione del Regio Istituto Tecnico Industriale Quintino Sella, e il commendator ingegner Ramiro Morucci rilevarono in consegna la nuova sede della scuola, costruita dall’Amministrazione Comunale su di un lotto di oltre diecimila metri quadrati, sito all’angolo tra le vie Rosselli e Ivrea, in una zona del quartiere Vernato ancora, all’epoca, poco edificata. All’epoca l’edificio costituiva un’emergenza architettonica nel paesaggio circostante, anche in virtù della sua mole: due lunghi bracci a tre piani fuori terra che si dipartono simmetricamente da un avancorpo più alto e con portico al piano terreno sostenuto da colonne, corrispondente all’atrio di ingresso, attestato su via Rosselli. Troviamo quindi un richiamo alla tradizione nella partitura della facciata principale ed una ricerca di monumentalità che si coniuga tuttavia a linee sobrie ed essenziali con accenni al “moderno” nella curvatura dei blocchi angolari che seguono la forma del lotto. Autore del progetto è l’ing.Cornelio Grossi, all’epoca direttore dell’Ufficio Tecnico Comunale. Le origini dell’istituzione risalgono al 1838, quando nacque per iniziativa di Mons.Losana come Scuola di Incoraggiamento delle Arti e Mestieri, divenuta nel 1869, col patrocinio di Quintino Sella, Regia Scuola Professionale. Ebbe primigenia sede presso il chiostro di San Sebastiano a cui venne annesso nel 1911 il Lanificio Scuola Piacenza, di cui si è già scritto. Una curiosità: fino al 1958, di fronte alla scuola era il passaggio a livello della ferrovia Biella-Santhià, la cui tratta si snodava lungo l’attuale via Lamarmora a partire dalla stazione sita di fronte ai giardini Zumaglini.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
PALAZZOTTO RIPA
L’edificio è sito in piazza Vittorio Veneto e si affaccia con il fronte principale sul lato nord dei giardini Zumaglini. La costruzione del palazzo avrebbe dovuto avviare, secondo il piano regolatore, l’ampliamento di via Italia, segnandone l’angolo con la piazza Vittorio Veneto: era prevista infatti la demolizione dell’adiacente fabbricato ottocentesco.
Il Palazzotto Ripa, dalle forme severe e composte, venne costruito per ospitare un’agenzia del Banco di Roma al piano terreno ed un alloggio al primo piano. Dal punto di vista strutturale l’edificio venne progettato tenendo conto di una sua futura prevista sopraelevazione, che non venne però mai realizzata. La tessitura del materiale di rivestimento, grés rosso, “disegna” la facciata, che è a sua volta incorniciata da una fascia in cotto che ne segna il profilo. Anche le porte e finestre sono definite da un’originale cornice in granito che le fa “emergere” dalla parete.
Artefice del progetto, risalente al 1935, è l’architetto ed artista Nicola Mosso. Nato a Graglia nel 1899 e formatosi presso la Scuola Superiore di Architettura dell’Accademia di Belle Arti di Torino, entrò in contatto negli anni Trenta con l’ambiente futurista torinese, evento che, insieme alla partecipazione al concorso per il Palazzo delle Nazioni di Ginevra, nel 1927, segnerà una svolta nello sviluppo del suo personale linguaggio architettonico. Si avvicinò in particolare ai futuristi Fillia e a Filippo Oriani, pubblicando progetti su riviste come "Stile Futurista" e "Casabella". La sua attività professionale vide una netta evoluzione proprio a partire dagli anni Trenta. Tra il 1932 ed il 1938 realizzò diversi importanti edifici tra i quali la sede dell'Unione Industriale di Biella.
Nel 1933 si distinse alla V Triennale di Milano, vincendo il primo premio nel contesto del padiglione degli architetti piemontesi. A Biella, nel 1934, Nicola Mosso, con Pippo Oriani, Rosso e Fillia, realizzò l'unica concreta applicazione in campo edilizio del tema della "plastica murale", caro ai futuristi, la Casa Cervo. In seguito, negli anni Sessanta, con Carlo Rapp, tornerà sullo stesso tema trattando in forma scultorea i pilastri della chiesa di San Carlo a Pavignano.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
PALAZZO CENTRO
L’edificio con destinazione residenziale plurifamiliare e uffici, occupa un intero isolato del centro cittadino tra le vie Italia, Gramsci, Colombo e vicolo Porta Torino. E' del 1935, opera dell'architetto Carlo Ravizza e dell'ingegnere Franco Bruni e presenta cinque piani fuori terra caratterizzati dall’uso di forme classiche semplificate, quasi stilizzate, come le balaustre dei balconi, costituite da pilastrini squadrati lievemente modanati, oppure i timpani e le cornici appena modanati ma scevri da ogni motivo decorativo quali foglie o altro. Il ruolo di facciata principale è svolto dal fronte d'angolo, curvato, tra le vie Italia e Gramsci, rivestito in travertino e con la sommità resa aerea dalla pergola angolare che raccorda le due ali del piano attico. Interessante è il prospetto angolare tra le vie Colombo e Porta Torino, dove il piano terreno si raccorda in curva alle due facciate, mentre i piani superiori, arretrati, formano dei terrazzi. Nessun prospetto è stato trattato come un “retro”, ma tutti hanno uguale dignità architettonica. Le facciate sono scandite dall'alternanza di superfici rivestite in travertino, tessiture di klinker (mattoni), balconi e terrazzi talvolta in aggetto altre volte rientranti a formare terrazze, mentre le pergole coronano buona parte dei prospetti al piano attico. Le finiture interne, tripudio di marmi preziosi, nonché la scala, meritano una visita; le rampe sono costituite da gradini in marmo massiccio incastonate nei muri d'ambito, posati in fase di costruzione dei muri e lucidati sul posto a lavori ultimati: un capolavoro nel suo genere.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
STADIO VITTORIO POZZO GIA’ ALESSANDRO LAMARMORA
Il 1935 segna la costruzione del nuovo Stadio Comunale. Rispetto all’inserimento puntuale all’interno della maglia urbana esistente di altri edifici della stessa epoca, lo stadio Lamarmora si trova attestato al viale Macallè, lungo l'asse generato dalla piazza della nuova stazione ferroviaria Biella-Novara, nella nuova area di espansione a sud della città. L’edificio venne inaugurato il 17 giugno del 1936 in occasione del centenario di fondazione del corpo dei Bersaglieri. L'architettura dell’impianto sportivo si caratterizza per il suo rigore formale che rifiuta ogni forma di “decorazione”. In pratica è“struttura pura”, che si offre alla vista con la sola “pelle” del rivestimento in intonaco cementizio. Notevole lo sbalzo dell'ampia pensilina che copre parte delle gradinate, con la sua forma che evoca una serie di canali affiancati in calcestruzzo. Le biglietterie speculari ai lati dell'ingresso si presentano curve, forate dai piccoli sportelli vetrati per la distribuzione dei biglietti. Le due aquile posate sui pilastri dell'ingresso originariamente si trovavano in analoga posizione sul piazzale della stazione della Biella-Novara.
I progettisti sono l'Arch.Ing. Aldo Vannacci (anche impresario vincitore del concorso-appalto), l'Ing.Aldo Macaluso, l'Arch.Mario Mencarelli. Vannacci si occupò anche della progettazione del campo di atletica e della torre Maratona e delle biglietterie nello stadio di corso Sebastopoli a Torino (Stadio Municipale Benito Mussolini, 1933), insieme all'Arch.Brenno Del Giudice e al Prof.Ing.Gustavo Colonnetti di Graglia. Lo stadio di Torino e di Biella sono stati intitolati a Vittorio Pozzo: biellese, calciatore e cofondatore del Torino FC, squadra in cui militò per cinque stagioni e di cui fu direttore tecnico dal 1912 al 1922. Lasciò un incarico di dirigente alla Pirelli per assumere quello di C.T. della nazionale italiana, accettandolo a condizione di non essere retribuito.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
CINEMA IMPERO
L’edificio sorto nel 1936 in seguito alla demolizione dello storico cinema Edison e tuttora utilizzato come Sala Cinematografica si affaccia sulla centrale via Gramsci, presentandosi come un essenziale parallelepipedo la cui facciata, sapientemente composta in un gioco di superfici giustapposte, è segnata dalla fascia di ampie vetrate e dalla pensilina in vetrocemento.
Particolare attenzione vogliamo porre al progettista, per strana sorte caduto in un vuoto di memoria storica che a discapito delle indubbie capacità, ne ha precluso la conoscenza.
Eugenio Giacomo Faludi nato a Budapest nel 1895 e trasferitosi in Italia, ove si laureò in architettura nel 1929 presso l’Università di Roma, operò a stretto contatto con le più rilevanti figure del movimento Razionalista italiano facendo parte negli anni Trenta di entrambi i poli attivi nel territorio.
Grazie all’attività svolta in ambito architettonico con realizzazioni di carattere residenziale ed edilizio ed in ambito urbanistico con la redazione di Piani Regolatori, partecipò attivamente alle stagioni del Razionalismo Romano e Lombardo affiancando figure attualmente più note quali Luigi Piccinato, Piero Bottoni e Giuseppe Pagano. Tra le opere di maggior rilievo ricordiamo la Colonia Marina Montecatini a Cervia del 1938 e le trasformazioni e ripristini dei teatri Excelsior, Lirico, Olimpia, Manzoni a Milano e del teatro Faraggiana a Novara. Nel 1940 successivamente ad un breve soggiorno in Inghilterra, emigrò in Canada, ove si distinse nell’attività didattica e professionale in campo urbanistico sino alla sua morte avvenuta a Toronto nel 1981.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
CASA CARPANO
All’angolo tra le vie Botalla e Massaua troviamo un’opera di Giuseppe Pagano: la casa dell’avv.Ernesto Carpano. L’intervento dell’architetto avviene a lavori già iniziati, nel 1936, in variante al progetto iniziale presentato all’Ufficio Tecnico cittadino l’anno precedente dall’ing.Quintino Aragnetti. L’impianto planimetrico non muta sostanzialmente, con l’ingresso sulla via Massaua e il corpo scala/ascensore posto in diagonale, all’intersezione tra i due volumi edilizi attestati sui lati del lotto. L’intervento di Pagano si concentra soprattutto nella composizione delle facciate e nel trattamento delle superfici, nella scelta dei materiali, nella cura dei dettagli e nella progettazione degli interni. L’angolo dell’edificio tra le due strade è arrotondato e i balconi ne seguono la curva, evidenziata dalle linee delle ringhiere in tubolare; i fronti alternano l’uso del mattone a vista all’intonaco a calce: i mattoni vengono utilizzati in corrispondenza delle parti d’angolo con balcone e, con una tessitura diversa, a marcare il cornicione; il corpo scala, emergente dal tetto a falde con l’extra-corsa dell’ascensore e con copertura piana, è sottolineato dal nastro vetrato originariamente in Termolux, uno dei materiali più utilizzati nell’architettura razionalista. La casa ad appartamenti ha quattro piani fuori terra; all’ultimo, per godere della vista panoramica, era l’alloggio dei Signori Carpano ed occupava tutto il piano. Pagano si occupò anche della progettazione delle finiture interne e dell’arredo degli ambienti, studiando tutti i particolari. Tutto ciò purtroppo è andato perduto a seguito di una discutibile ristrutturazione avvenuta in anni recenti e che ha compromesso l’integrità del progetto.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
PALAZZO PELLA-EX CONVITTO BIELLESE
L’ex-convitto biellese, ora sede di uffici comunali in via Tripoli 48, è nato per volontà dell’Associazione Industriale per l’incremento dell’Istruzione Professionale per ospitare gli studenti del circondario frequentanti le scuole della città. L’allora presidente Oreste Rivetti ne affidò il progetto all’architetto Giuseppe Pagano, che già aveva lavorato in città, appena laureato, con piccoli interventi per le ville della famiglia Rivetti. L’edificio è il risultato di uno studio che è sfociato in tre progetti diversi a partire dal 1932. Nella versione definitiva il collegio viene concepito attorno ad un atrio centrale a pianta quadrata con funzione di rappresentanza e palestra che, a livello del secondo piano è coperto da una struttura in vetrocemento che ne garantisce l’illuminazione. I primi due piani erano dedicati alla vita comune con la direzione, la biblioteca, la sala del Consiglio, il grande refettorio, l’ampio salone ricreativo centrale, le sale studio e le aule. I piani superiori ospitavano i dormitori e le stanze da letto. All’ultimo piano, una terrazza coperta rivolta a sud e ricavata dall’arretramento del piano, era adibita ad uso dei ricoverati dell’infermeria. Nel complesso l’edificio poteva accogliere duecentoventi convittori e centoquaranta allievi esterni.
Giuseppe Pogatschnig Pagano nato a Parenzo, in Istria, nel 1896, si laurea in architettura a Torino nel 1924. Nei primi decenni del Novecento la vita artistica del capoluogo piemontese è dominata dalla presenza di Lionello Venturi, Edoardo Persico e Felice Casorati. La cultura più avanzata si forma nella cerchia di intellettuali ed artisti che si riunisce intorno a Riccardo Gualino, industriale biellese e mecenate. Di questo periodo ricordiamo numerosi padiglioni dell’Esposizione Internazionale di Torino del ‘28 ed il palazzo per uffici Gualino, in collaborazione con Levi Montalcini. Alla fine del ’31 si trasferisce a Milano dove dirige la rivista La Casa Bella (ora Casabella) e porta a termine diversi incarichi professionali tra cui l’Istituto di Fisica della città universitaria di Roma e l’Università Commerciale Bocconi. Dal ’36 assume la direzione della VI Triennale di Milano. Contemporaneamente si occupa di piani urbanistici e di design. Pagano muore a Mauthausen nel 1943.
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OSPEDALE DEGLI INFERMI – MONOBLOCCO
Il complesso dell’ospedale occupa una vasta area a ridosso del centro urbano e comprendente numerosi edifici sorti a partire dal XIX secolo, quando l’istituzione si trasferì dalla sede originaria vicino alla chiesa della SS.Trinità nell’ex-convento di S.Pietro degli Agostiniani, ivi esistente. Il pregevole fabbricato denominato “Monoblocco”, elemento identitario dello skyline della città, attestato lungo la via Caraccio, venne inaugurato da Mussolini il 18 maggio 1939 e progettato dall’ingegnere bolognese Giulio Marcovigi. Esperto in edilizia ospedaliera si occupò anche dell’ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano, del S.Anna di Como, del Bellaria di Bologna, del Policlinico di Bari. Su Il Biellese del 7 maggio 1937 così si legge, a proposito del nuovo ospedale in costruzione: …si erge pur sempre maestoso e sereno nelle sue linee semplici di costruzione razionale. La razionalità si esplica non solo morfologicamente nel ricorso a volumi puri e nella composizione delle facciate, ma anche sotto il profilo distributivo e funzionale: i corpi scala e di servizio sono posti al centro del lungo parallelepipedo, in posizione strategica per l'accesso ai vari reparti, ottimizzando i percorsi interni; le camere di degenza rivolte a sud godono di ampie finestre; il tetto a terrazza, soluzione che rompeva la tradizione locale delle coperture a padiglione, sarebbe dovuto diventare, secondo il progetto originario, un giardino pensile per la convalescenza degli ammalati. Un ultimo accenno alla solidità del manufatto che ha sopportato senza problemi adeguamenti relativi soprattutto all'impiantistica e alla velocità ed efficienza nella costruzione con solo quattro anni di lavori.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
UNIONE INDUSTRIALE
Il palazzo, altra opera dell’architetto Nicola Mosso, costruito nel 1938 in meno di sei mesi, è sito in un lotto d’angolo tra via Torino e via Addis Abeba. Qui, un tempo, era ubicata la stazione della linea tranviaria Biella-Vercelli da cui passava il tranway a vapore con carrozze viaggiatori e carri merci, detto, per la sua forma allungata, “biciulan” come l’omonimo biscotto vercellese. Il 31 gennaio 1933 l’ultimo convoglio percorse via Torino, all’epoca arteria principale del nuovo quartiere Borgo Nuovo che si stava sviluppando alla periferia della città.
Per la conformazione del terreno, stretta ed allungata, Mosso si preoccupò di interrompere il fronte più lungo, su via Addis Abeba, con un’intercapedine tale da creare una gerarchia di volumi, dando maggiore importanza al corpo principale su via Torino, con l’atrio di ingresso e gli uffici di rappresentanza. Quest’ultimo assume così, pur nella sua piccola mole, un aspetto monumentale, anche grazie alla presenza del propileo che fa da filtro tra l’entrata e la strada. L’esigenza futurista dell’unione tra le arti si manifesta in facciata con altorilievi dello scultore Antonio Zucconi e negli allestimenti interni della sala consiliare con gli intarsi in legno appesi alle pareti, raffiguranti il mondo dell’industria biellese ed alcuni monumenti della città, disegnati dallo stesso Mosso. Gli intarsi originariamente facevano parte di due grandi armadiature ai lati della sala, dove era anche un mosaico del pittore Mario Gamero, purtroppo andato perduto.
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TORRE LITTORIA
La torre è sita in via Pietro Micca in un lotto compreso tra l’edificio dell’Agenzia del Territorio, nato come Casa del Fascio, a cui è collegato da una terrazza a livello del primo piano, e il complesso della Biblioteca e della Poste. Venne costruita a ricordo della visita di Mussolini a Biella, avvenuta il 18 maggio 1939, data fondamentale per l’architettura della città, in quanto in tale occasione vennero inaugurati importanti edifici quali il padiglione monoblocco dell’ospedale, la stazione ferroviaria Biella-Novara, l’Unione Industriale e l’Istituto Tecnico Industriale. L’edificio fa parte dei nuovi tipi edilizi nati per soddisfare le esigenze della vita pubblica di quegli anni: ubicato a fianco della Casa del Fascio, progettata nove anni prima, si pone come nuovo perno urbano, fulcro delle manifestazioni di massa e indispensabile alla riconoscibilità della sede del Partito Nazionale Fascista all’interno del territorio. L’impianto planimetrico è molto semplice, con un locale per piano ed una stretta scala di distribuzione; interessante documentazione storica all’interno di uno dei vani sono graffiti raffiguranti immagini sulla campagna d’Africa accompagnati da motti retorici.
La torre venne progettata nel 1938 dall’ingegnere architetto Federico Maggia, discendente da una famiglia di progettisti operante sul territorio fin dal ‘700 e che all’epoca assunse dal Partito Nazionale Fascista alcune commesse, tra cui la Casa del Balilla di Vigliano Biellese. Maggia si laureò a Torino nel 1925 e si occupò nella sua longeva attività professionale di edilizia residenziale, alberghiera, industriale e pubblica, lavorando non solo nel Biellese ma anche in Asia, America e Australia.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
CONDOMINIO ADUA, EX-CASA LITTORIA
L’edifico di piazza Adua, all’angolo tra via Candelo e viale Roma, progettato dall’ingegner Rossetti, venne costruito per conto della Società Immobiliare “Littorio” per ospitare la sede del “Gruppo Rionale Michele Bianchi”, così chiamata in onore del quadrunviro della marcia su Roma, poi Ministro dei Lavori Pubblici. Inaugurata da Benito Mussolini il 18 maggio 1939, constava di due piani fuori terra con torre centrale a sei piani in corrispondenza dell’atrio e con accesso da piazza Adua. All’interno erano previsti uffici, sale bigliardo e lettura, sala di ritrovo, locali per il Fascio femminile, un bar e all’esterno, nel giardino sul retro, campi per il gioco delle bocce. In quegli anni costituiva un’emergenza architettonica che contrassegnava il paesaggio urbano del quartiere Borgo Nuovo, ora San Paolo. Pochi erano ancora gli edifici di tipo civile in una zona occupata per lo più da terreni incolti, campi e fabbricati industriali. La torre concludeva il percorso che partiva dalla nuova stazione della Biella-Novara, l’odierno viale Roma che in origine era delimitato da due file di alberature. Proseguiva poi con il viale Macallè, lungo il quale è lo stadio, altra opera di regime; in tal modo la nuova area di espansione veniva segnata con punti di riferimento architettonicamente riconoscibili.
Nel dopoguerra l’edificio subì alcune sostanziali modifiche che lo portarono all’immagine attuale. Venne sopraelevato di due piani in corrispondenza delle ali laterali su via Candelo e viale Roma, ampliato in corrispondenza del corpo centrale e coperto con tradizionale tetto a falda. In tal modo la torre venne mimetizzata in un nuovo edificio residenziale ad appartamenti.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
PETTINATURE RIVETTI
L’edificio di via Carso venne progettato e costruito tra il 1939 e il 1941 dall’architetto Giuseppe Pagano in collaborazione con l’ingegnere Gian Giacomo Predaval, in ampliamento del complesso industriale Rivetti che si sviluppò nella nuova zona di espansione a sud della città, in stretto rapporto con l’area ferroviaria. Le Pettinature sono un significativo esempio di applicazione dei principi dell’architettura razionalista, che le distinguono nettamente dalle altre costruzioni analoghe del periodo: linearità, purezza dei volumi, funzionalità ed efficienza sono elementi peculiari di questa “macchina produttiva”. L’edificio si compone di due parti: una alta cinque piani, su strada, ed una bassa a shed, retrostante. Nell’edificio pluripiano le parti di servizio ed i collegamenti verticali sono raggruppati in due corpi aggettanti, a torre, posti alle due estremità della facciata principale e ne definiscono l’immagine. All’interno, pilastri a fungo allineati su due file permettono di ottenere la massima altezza possibile. Le superfici finestrate occupano tutta la luce da un pilastro all'altro e la regolazione della luminosità interna in rapporto alla lavorazione è data dalla diversa altezza delle aperture. Questa attenzione alle condizioni dell’ambiente di lavoro quali l’illuminazione e l’aerazione si ritrova anche nel corpo più basso ed è dimostrata dalla cura nel definire la forma degli shed.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
CHIESA DI SAN FRANCESCO DELL’OSPEDALE
L’edificio si trova attestato su via Marconi 34 all’interno dell’isolato occupato dal complesso dell’Ospedale. Il nosocomio cittadino, al suo interno, aveva una propria cappella che però col tempo divenne insufficiente. Il conte Ettore Barberis fu il promotore della nuova chiesa, affidando il progetto nel 1940 al geometra Giuseppe Mortarini. Passarono tuttavia sedici anni dal progetto alla realizzazione: venne infatti donata all’Ente nel 1956. Si tratta di un edificio a tre navate, su modello delle antiche basiliche romane, con ampio portico antistante la facciata e rivestimento in mattoni a vista. La sua particolarità consiste però nel rapporto tra le proporzioni fra le varie parti che lo compongono; infatti ad un primo esame dall'esterno si coglie solo un grande e alto volume che corrisponde alla navata centrale, mentre le due navate laterali sono decisamente più basse e poco profonde. Interessanti e degne di nota le opere artistiche presenti al suo interno: un’alta pala in muratura semicircolare, affrescata dal pittore Guido Mosca, che fa da sfondo all’altare e raffigurante nella parte centrale San Francesco d’Assisi; il crocifisso in bronzo dorato e patinato dello scultore Carmelo Cappello; le formelle delle stazioni della Via Crucis, con oltre duecento figure, in ceramica policroma dorata dell’artista Pippo Pozzi; le pregevoli opere in ferro battuto di Mario Taragni. Allo scultore Giovanni Cantono si deve il medaglione in bronzo del conte Barberis, posto sulla lapide murata nella chiesa per ricordarne il donatore.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
CASA GIACOMO GUALINO
Dal 1939, con il Concorso per lo studio di massima del Piano Regolatore della Città, si incominciò a prevedere il risanamento del quartiere Riva, attraverso l'abbattimento degli edifici giudicati insalubri e il tracciamento di nuove strade: tra queste la via Dante Alighieri. Il Piano prevedeva, all'angolo tra le vie Italia e Dante, nuovi lotti edificabili, che già a partire dal 1940 vennero acquistati da facoltose famiglie biellesi. In particolare a volere il fabbricato sul terreno a nord-est del crocevia fu Giacomo Gualino, appartenente a una famiglia di orefici e primo di undici fratelli, tra i quali il finanziere Riccardo. La palazzina fu realizzata dall'impresa Guala e Carpano nel 1942, come indica l'iscrizione sulla soglia dell'androne, su progetto del geometra Giuseppe Mortarini. Il palazzo venne concepito con una manica piuttosto stretta e una enfilade di stanze regolari rivolte verso le vie e coperte da volte ribassate, che consentivano di ridurre l'uso delle armature in ferro, come imposto dalle leggi vigenti in periodo bellico. Le facciate assecondano il perimetro del lotto, rettilineo su via Dante e irregolare su via Italia. Il piano terreno, che originariamente accoglieva una succursale della Cassa di Risparmio di Biella, è rivestito in travertino, mentre ai piani superiori si alterna l'uso dell'intonaco a quello della litoceramica, tutte finiture coerenti con le imposizioni del Regime sull'uso di materiali autarchici. Di grande interesse sono le persiane in legno, scorrevoli e a soffietto, rivisitazioni in chiave moderna di quelle della tradizione piemontese.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
PALAZZO INA
Tra gli edifici che caratterizzano il tessuto edilizio del centro cittadino, formando angolo tra le vie Gramsci e Losana, spicca il parallelepipedo severo del Palazzo INA risalente al 1947. Si tratta di un edificio residenziale plurifamiliare a cinque piani fuori terra e con corte interna centrale; la facciata è caratterizzata da un'alta fascia di rivestimento in pietra che comprende il piano terreno e il primo, coronati da uno stretto cornicione aggettante, che forma il pavimento degli stretti balconi del terzo piano. Questo insieme al quarto sono a loro volta delimitati da una cornice che li separa dal quinto e ultimo piano. E' interessante il grande atrio di ingresso dalla via Losana, bipartito in due corridoi-gallerie che portano alle due scale di ampio respiro ed eleganza, tra un grande uso di marmi e le linee sinuose delle rampe. Le porte di accesso agli appartamenti od uffici e il mancorrente della scala, tutti in rovere naturale, ci parlano di un tempo in cui ogni dettaglio di architettura era accuratamente progettato e realizzato “su misura” da valenti artigiani.
Il palazzo è opera di Angelo Crippa, originario di Varallo, su committenza dell'Istituto Nazionale delle Assicurazioni. L'architetto Crippa inizialmente artista eclettico, in seguito passò alla corrente modernista e razionalista. Sono di questo periodo numerosi edifici pubblici tra cui il complesso dell'ospedale pediatrico Gaslini di Genova, il Palazzo della Sanità a Verona, gli ospedali civili di Pescara, Riccione, Rimini e Borgosesia. Si occupò anche degli allestimenti dei saloni di prima classe dei transatlantici "Giulio Cesare" e "Augustus".
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
CASA GIARDINO (detta Condominio Oceano)
La Casa Giardino, più nota come Condominio Oceano, sorge nel 1947 su progetto dell'architetto Alessandro Trompetto. Sono gli anni del dopoguerra, della ricostruzione e in questo contesto storico la massiccia Casa Giardino assume valenza di rinascita della città e anche del lusso ritrovato, al centro di quella che sarebbe dovuta essere la “Manhattan biellese”. L’edificio presenta una pianta a “C”, con due corpi rettangolari allineati lungo le vie De Marchi e Chiesa, coronati da terrazza e giardino pensile, collegati da un terzo edificio più alto che ha la particolarità di avere la facciata sud leggermente convessa, mentre la facciata nord opposta è concava. Anche il scenografico ed alto muro di recinzione sud è convesso, scandito da grandi archi, quasi citazione degli acquedotti romani e diventa la chiave di identificazione dell'edificio per i biellesi. La Casa Giardino occupa un intero isolato delimitato dalle vie Nazario Sauro a nord, Damiano Chiesa ad est, Guglielmo Oberdan a sud, Gaetano De Marchi ad ovest, all’interno di quello che fu battezzato “quartiere degli affari”, nato dalla lottizzazione dei terreni del Cotonificio Poma e dello Stabilimento Meccanico ivi esistenti. Tra gli studi per la sistemazione dell’area, esiste anche un progetto del 1937 dell'architetto Giuseppe Pagano. La Casa Giardino ospita uffici ed ampi appartamenti caratterizzati da un’estrema cura nei dettagli e dall’uso di materiali di pregio. I due alloggi duplex del piano attico, nella manica centrale, hanno accesso al giardino pensile che si estende per tutta la superficie delle due ali laterali.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
CASE PER I DIPENDENTI COMUNALI
Si tratta di un edificio residenziale plurifamiliare progettato dall'Ing.Arch.Federico Maggia nel 1952, in Via Tripoli, di fronte all'ex Convitto Biellese. Il fabbricato si compone di due corpi rettangolari paralleli collegati da uno centrale perpendicolare. Dalla via Tripoli si accede tramite un aereo e piccolo portico sostenuto da quattro esili colonnine in ferro poggianti sui muri laterali rivestiti in quarzite grigia; dal portico, una rampa in leggera salita porta al corpo centrale, preceduto da un avancorpo con alcuni gradini. Il fabbricato centrale consiste in gallerie vetrate sovrapposte (una per piano) con funzione di distribuzione ai vari appartamenti tramite scale e ascensore. Nel progetto originario le gallerie non erano finestrate, una scelta legata a fattori climatici, ma il complesso non ha perso la sua purezza di volumi, e anzi le gallerie vetrate sono ulteriori stilemi tipici dello stile razionalista. Un'altra variante rispetto al progetto di Maggia è stata l'eliminazione dei terrazzi coperti sulle testate nord lungo via Tripoli: è un peccato, poiché completavano l'idea progettuale di due parallelepipedi rettangolari nei quali non vi sono sporgenze, ma balconi e terrazzi sono realizzati in “sfondato”; attualmente le testate nord, che costituiscono la facciata principale di accesso, presentano pareti cieche. Tutte le facciate esterne sono intonacate con intonaco “lamato”, sorta di intonaco rustico. I fabbricati poggiano in leggero aggetto sullo zoccolo del seminterrato, rivestito in quarzite grigia.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
CONDOMINIO SAN PIETRO (detto Acquario)
Il Condominio San Pietro, tra le vie Volpi e Gustavo di Vadengo, viene commissionato nel 1952 dal signor Hary all'ingegnere e architetto Domenico Morelli, nipote dell'omonimo celebre pittore napoletano. Morelli, nato a Napoli nel 1900 e subito trasferitosi a Torino con la famiglia, si laurea presso il Regio Politecnico e dopo alcune esperienze negli studi di Biagini, Melis e Betta, alla morte di quest'ultimo nel 1932 ne rileva lo studio con il collega Felice Bardelli, dando vita a un sodalizio professionale destinato a durare per più di sessant'anni. Tra i più alti interpreti dell'architettura regionale piemontese, grazie forse alla sua particolare formazione, Moretti sa coniugare una grande cura nell'inserimento urbanistico delle proprie opere ad una minuziosa attenzione nella risoluzione ottimale del particolare tecnologico. L'edificio biellese, come tutta la produzione morelliana, è caratterizzato da rigore formale e fantasiosa sperimentazione. Si presenta come un solido parallelepipedo regolare, arretrato dalla via e poggiato su di un basamento in pietra destinato ad uffici e negozi. A questo volume si addossano verso la via Volpi due corpi aggettanti, “legati” al principale da profondi e sinuosi balconi curvilinei segnati da fioriere a nastro, rivestite da mosaici colorati, che conferiscono alla facciata un movimento misurato ed elegante. L'edificio è coronato da una leggera pensilina in cemento e vetro che protegge i balconi del piano attico. Di Morelli nel biellese si conoscono, inoltre, la Villa Tucci a Ronco e il Monumento ad Alfredo Frassati a Pollone.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
CASA MIGLIETTI
Si tratta di un edificio residenziale plurifamiliare, edificato nel 1952, situato all'inizio di via Torino. Rappresenta un altro contributo per conoscere la figura di Federico Maggia, ingegnere e architetto, molto attivo in quegli anni. Bisogna calarsi nell'urbanistica cittadina dell'epoca per comprendere che al di là della “cintura di ferro”, rappresentata dalla stazione ferroviaria di via Lamarmora, si entrava nella periferia cittadina e quindi un’architettura come Casa Miglietti rappresentava un segno della espansione urbana del “moderno”. L'edificio si presenta come connessione di due volumi a pianta rettangolare, con due facciate trattate come principali: infatti oltre alla facciata su via Torino dove troviamo il lato corto del corpo più alto in continuum al volume più basso, abbiamo sulla via Rossi a nord il lato più lungo del volume principale. Le superfici unificanti delle facciate sono rivestite in klinker (mattoni), mentre i blocchi dei balconi/terrazzi sono “ritagliati” e incorniciati da muratura sui quattro lati. Si viene così a formare un gioco di vuoti/pieni in cui la parete di fondo del terrazzo è di volta in volta più o meno arretrata rispetto alla facciata principale. E' inoltre presente un elemento che caratterizza molti progetti di Maggia, cioè il modo di trattare la finitura dell'edificio al piano attico, che qui viene risolta con un aereo trave sostenuto da colonnine per quanto riguarda il corpo più basso su via Torino, mentre il volume principale è coronato da una stretta pensilina/cornicione poggiante su pilastri molto distanziati, formando una sorta di “finestrature”.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
CASA MAGGIA
In via Cavour, al civico 14, un parallelepipedo squadrato, quasi un cubo se osservato d'infilata dalla strada è un'altra opera dell’ingegnere architetto Federico Maggia. La costruzione è del 1954 con destinazione a palazzina per uffici; semplice ed essenziale, senza cornicione per una precisa scelta di seguire i dettami “dell'architettura moderna”, secondo le parole del progettista, segnato solamente dalla serialità delle finestre e dell’impianto razionale, con le grandi logge dei soggiorni rivolte a sud. Il rivestimento delle facciate è in travertino, abbinato all'intonaco dei parapetti e delle architravi delle finestre; l'insieme è allo stesso tempo semplice ed elegante, un edificio dove niente è lasciato a scelte arbitrarie, ma dove il progettista applica una rigorosa progettazione di dettaglio. Ogni particolare costruttivo, ad esempio le sezioni del legno dei serramenti, sono studiate in tavole al vero, esecutivi a cui si deve adeguare il falegname. Sappiamo da Maggia stesso che gli originali parapetti inclinati delle finestre del piano rialzato avrebbero dovuto essere ricoperti in mosaico, ma si optò poi per lasciarli ad intonaco, “Perchè in fondo stava bene anche così...”. Al piano rialzato, il rivestimento di travertino è forato dalle numerose e alte finestre che lasciano solo delle strette fasce verticali di marmo; l'effetto ottico è di far quasi apparire l'edificio come poggiato su pilastri. Dopo oltre cinquant'anni la “macchina per lavorare” di Maggia ha mantenuto intatta tutta la sua funzionalità e il suo fascino.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
PISCINA RIVETTI
Nella metà degli anni ’50, a seguito della morte del figlio Massimo, avvenuta in un incidente stradale nei pressi di Rogoredo mentre era alla guida della sua Alfa Romeo 1900 SS, la famiglia di Guido Alberto Rivetti decide di fare realizzare e donare alla città di Biella una nuova struttura sportiva al fine di onorarne la memoria.
Quindi nel 1958, su progetto dell’Ing.Carlo Ravizza coadiuvato dall’Ing.Franco Bruni, viene inaugurato un modernissimo impianto sportivo che occupava un’area di 14.700 mq e comprendeva oltre alla palestra, due piscine coperte di 11 e 25 metri (sostituite poi da una piscina olimpionica con la ristrutturazione) e una all’aperto di 33 metri con trampolino in c.a. Completavano un grande atrio, gli spogliatoi, la centrale dei macchinari nei sotterranei, il posto di pronto soccorso e uno spazioso bar con vista sulle piscine coperte. All’esterno in un ampio giardino all’inglese si trovano un chiosco bar, circa 100 cabine, un padiglione per le docce e i servizi, una vasca con arenile per i bambini e di fronte alla vasca più grande una tribuna per il pubblico. All’inaugurazione erano presenti l’on.Giuseppe Pella, il piccolo Alberto Rivetti, nipote di Massimo a tagliare il nastro, Clelia Gualino Rivetti e Guido Alberto Rivetti, genitori di Massimo, i fratelli Corrado e Renato.
Le più importanti riviste di architettura dell’epoca diedero ampio risalto alla pregevole realizzazione. In epoca recente a seguito di un intervento di ristrutturazione ed uno successivo di decorazione, si è irrimediabilmente snaturato l’impianto originario.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
CONDOMINIO MAZZINI
Si tratta di un fabbricato del 1955 progettato dall'Ing.Francesco Agrusti a quarantotto anni, al vertice della carriera. Pur non essendo in realtà un vero fabbricato a torre, (quali i recenti edificati in via Lamarmora), è così che viene percepito osservando la sua sagoma snella dal lato nord della piazza. La piazza Lamarmora, (la piazza “del Bersagliere”) è caratterizzata dal fatto di essere circondata da un tessuto edilizio discontinuo, composto da fabbricati relativamente bassi che ne disegnano lo skyline fino dal primo '900. Si distingue a nord la palazzina eclettica dell'ex Lanificio-scuola Piacenza, mentre a sud, diametralmente opposto, si erge e dialoga il palazzo “Mazzini”. Cosa unisce e divide la Palazzina Piacenza dal condominio Mazzini? Entrambi sono rappresentativi di un'architettura severa, di carattere aulico con richiami al rinascimento toscano per la palazzina Piacenza, mentre l'uso a volte originale del travertino, (vedi il rivestimento del piano attico), la pulizia formale delle facciate e il gioco dei rapporti dimensionali infondono un senso di solida monumentalità al palazzo Mazzini. La prima (Piacenza) guarda però ad un glorioso passato; tra l'altro, solo da pochi decenni l'eclettismo, quello stile architettonico che riprendeva in tutto o in parte modelli architettonici di epoche passate, è stato accettato, se non rivalutato del tutto. Al contrario, il palazzo Mazzini, pur riprendendo stilemi propri del periodo razionalista, rappresenta nel lontano 1955 un edificio “moderno”, con alloggi di pregio, dotati di tutti i comfort allora disponibili.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
CONDOMINIO IMPERIA
Al n.29 di viale Matteotti troviamo un’altra casa d’abitazione progettata nel 1962 dall’ingegnere e architetto Federico Maggia. Si tratta di un edificio che si discosta molto dalla produzione “classica” di questo infaticabile progettista che ha attraversato epoche, stili e gusti spesso antitetici. La palazzina ha sette piani fuori terra e presenta un volume compatto a sviluppo verticale e suddiviso orizzontalmente in tre parti distinte, corrispondenti a destinazioni differenti e con caratteri propri. Osservando la facciata principale possiamo infatti distinguere un “basamento” adibito a uffici con l’atrio di ingresso rialzato; il “fusto” che racchiude la parte residenziale con gli alloggi-tipo e distribuiti in numero di due per piano; il “coronamento” che corrisponde al piano attico risolto in modo originale: tutto il piano è occupato da un unico appartamento che gode di un balcone che corre lungo tutto il perimetro del piano acquistando in profondità sul lato sud a formare una terrazza. La particolarità del balcone, dotato di un parapetto a nastro in muratura, consiste nell'aggetto rispetto al fusto dell'edificio, così da costituire una sorta di balcone – cornicione a riparo del volume sottostante. Sopra l'attico è stato ricavato un vero e proprio giardino pensile, con pannelli vetrati perimetrali che proteggono dai venti lasciando intatta la vista panoramica. Anche il trattamento delle superfici è diverso a seconda della funzione, passando dal rivestimento in marmo bianco della zoccolatura al materiale ceramico del “fusto”. Anche in questo caso e come in tutte le opere di Maggia è presente rigore costruttivo e cura per i dettagli.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
CHIESA DI SAN CARLO“Il significato dogmatico si trova nella stessa materiale struttura e non potrà mai essere cancellato senza distruggere il complesso architettonico”. Così scrisse l’architetto Nicola Mosso a proposito della chiesa da lui progettata a Pavignano, a fianco dell’antico tempio divenuto insufficiente alle necessità della popolazione. L’edificio in cemento armato e mattoni a vista, la cui costruzione incominciò nel 1966, risulta infatti particolarmente interessante per i contenuti simbolici sottesi e per le soluzioni adottate per le funzioni liturgiche. Lo spazio si sviluppa attorno ad un unico grande vano culminante in tre cupole sovrapposte a tre livelli diversi: quella più elevata ha la forma del triangolo equilatero a ricordo della SS.Trinità e i suoi tre vertici corrispondono ai sottostanti spazi riservati al Battesimo, la Penitenza e l’Eucarestia; la cupola intermedia, a forma di stella raggiata, manda luce al sottostante “anello portante” esagonale che vuole ricordare la corona di spine del Salvatore. Punto focale del presbiterio è la pala d’altare, dalla cornice raggiata, con la fotografia delle due immagini impresse in negativo sulla Sindone che si trova a Torino grazie a San Carlo, a cui è intitolata la chiesa. Anche in questo progetto, come per altri di Mosso, si manifesta l’integrazione tra le arti, in particolare la fusione tra architettura e scultura: le stazioni della Via Crucis sono state impresse indelebilmente e direttamente sui pilastri in cemento armato durante il getto e sono ad opera dell’artista Carlo Rapp.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
Cartografia edifici del '900
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.
© Mario Zenoglio . Published on December 26, 2014.