ABSTRACT (IT)
Nell’affrontare il progetto il gruppo ha lavorato fondamentalmente su due aspetti/questioni. 1.Quale approccio avere nei confronti dell’esistente e dei materiali urbani presenti in questa parte di Bergamo? 2.Quale programma funzionale proporre per rispondere all’esigenza di una duplice rigenerazione: quella urbana e di un sistema produttivo in dismissione, dunque da riattivare?
STEM. Stelo e filamento come dispositivo spaziale. Per quanto riguarda il primo punto abbiamo lavorato con materiali urbani esistenti “as found”, utilizzati come sfondo sul quale compiere un’operazione di riscrittura urbana. Si decide di non demolire nulla. Anzi, selezionare quegli edifici che, ormai diventati segni di identità del territorio e, svuotati delle loro funzioni originarie, possono per il loro valore architettonico diventare luoghi privilegiati in cui inserire nuove attività progettuali. Si ottengono due centralità di matrice per così dire “storica” poste in un sistema filamento contemporaneo e uno stelo sul quale è concentrato lo sguardo come dispositivo che condensa i materiali eterogenei, pieni e vuoti che si ripetono in sequenza lungo l’infrastruttura tramviaria.
IL VUOTO COME SFONDO. Gli spazi aperti, térrain vague, sono un vuoto visto come “sfondo parco”, superficie legante i manufatti e gli elementi. Parco visto come infrastruttura. Vi sono poi i vuoti potenziali: i manufatti dismessi, occasione di rigenerazione tramite effrazioni e contaminazioni con grandi segni che concentrano le nuove attività produttive e urbane.
LEARNING FROM NOLLI. STRATEGIES OF VOID. Gli spazi urbani e gli edifici dismessi sono visti come vuoti potenziali per i quali si è anche azzardata un’analogia con le emergenze rappresentate nelle piante del Nolli. L’elemento strutturante è il vuoto: un grande parco che invade gli spazi aperti ed edifici in abbandono, con il quale le nuove figure del produttivo s’inseriscono. Abbiamo, in sostanza, uno “spazio tra” (space between) e lo “spazio dentro”, visto come lo spazio delle piazze romane (Piazza Navona, ecc.) collegate agli spazi interni dei grandi manufatti ecclesiastici, rappresentato da Giambattista Nolli.
Per quanto riguarda il programma è stato effettuato uno studio sulle attività o facilities che possono essere messe in comune tra la città e le imprese ospitate in questo nuovo polo tecnologico produttivo viste in modo evolutivo. Queste attività“in comune”, facilities-in common, sono posizionate in punti strategici dell’area proprio per la duplice intenzione di riattivare città e sistema produttivo. Si è poi fatta una distinzione fra programmi stabili e programmi instabili che lasciano al progetto un carattere aperto. Nel pensare gli spazi per la produzione vera e propria di beni materiali, si è presa in considerazione la possibilità non solo di una loro espansione nel tempo, ma anche di una loro riduzione e restituzione alla città.
STRATEGIA DEI GRANDI MANUFATTI INDUSTRIALI. Nel sistema di relazioni con i manufatti industriali si è individuato un grande segno che infrange i vuoti potenziali determinando nuove relazioni con il contesto urbano. In questo segno sono collocate residenze e nuovi luoghi dell’attività produttiva urbana, collegate al sistema-parco e all’ex-Ote tramite passerelle. Sistema di vuoti e proporzioni che, uniti al sistema parco, creino dimensione umana.
vista modello
© Michele Luca Galella . Published on December 23, 2014.
ABSTRACT (EN)
The group worked mainly on two aspects & issues. 1.What’s the approach to have on the existing urban system and the materials found in this part of Bergamo? 2.Which functional program propose to respond in terms of a double regeneration: city and production regeneration?
STEM. Stem and filament as a spatial device. Regarding the first point, we have worked with existing urban materials, used as a background on which make an urban rewrite. We decided not to demolish any building. Indeed, select buildings that now have become signs of identity of the area and emptied of their original function, for their architectural value can become privileged places in which to insert new project activities. Two centrality of matrix so-called “historical” system put in a contemporary strand of stem on which it is concentrated gaze as a device that merge materials, solids and voids that are repeated in sequence along the tram infrastructure.
THE VACUUM IN THE BACKGROUND. The open spaces, terrain vague, is a vacuum seen as a “park background” binding surface artifacts and items. Then the potential gaps: the abandoned artifacts, break-ins and during regeneration through contamination with large signs that concentrate new productive activities and urban areas.
LEARNING FROM NOLLI. STRATEGIES OF VOID. The abandoned buildings and urban spaces are seen as potential gaps in analogy with the emergency of the Nolli plans. The structuring element is the void, a large park that fills the open spaces and buildings in ruins, in which the new figures of production creep. A Park seem as infrastructure. We have, in essence, different kinds of space, a “space between” and a “space inside”, seen as the space of Roman piazza’s (Piazza Navona, etc..) connected to the internal spaces of the great ecclesiastical artifact represented by Giambattista Nolli.
As for the program we carried out a study on the activities or facilities that can be pooled between the city and the businesses housed in this evolving new technological-production center. These activities, “in common facilities”, are located in strategic areas because of the two cities and plans to reactivate the productive system. There’s a distinction between stables and unstable programs, leaving an open character to the project. Thinking about the goals for real production of material goods, it is taken into account not only the possibility of their expansion over time but also their reduction and return to the city as public services.
Strategy of large industrial parts. In the system of relations with industrial products we identified a large sign that breaks the voids resulting in potential new relationships with the urban context. In this sign are located residences and new urban areas of production, connected and connecting the system-park and the different parts of the city via long bridges. A proportional system, that, with the park system, create a human scale.
paesaggio industriale
© Michele Luca Galella . Published on December 23, 2014.
STATEGY OF VOIDFILAMENTO COME DISPOSITIVO SPAZIALE. Il nostro ragionamento parte osservando la città attraverso non solo la sua rappresentazione planimetrica ma anche la sua articolazione spaziale dell’uomo che l’attraversa. Nella città abbiamo riconosciuto la presenza di alcuni filamenti che ne caratterizzano la morfologia a partire dalla città alta, continuando con i borghi della città bassa (borgo Sant’Alessandro, borgo Pignolo che diventa borgo Palazzo e borgo Santa Caterina); e questi filamenti si sviluppano poi lungo l’asse della linea tranviaria, verso le valli, dove passavano i binari ferroviari e nel quale possiamo ritrovare una concentrazione di materiali eterogenei che si ripetono in sequenza, costituiti da industrie, abitazioni e aree verdi, che si diradano allontanandosi dalla città. La nostra area di progetto è una parte di questo filamento, dove possiamo ritrovare, compressi, gli stessi materiali: industrie, abitazioni, aree verdi. Alcune di queste industrie sono dismesse, altre sono ancora in funzione, tuttavia quelle in funzione stentano a svilupparsi e a continuare a produrre. Confindustria ci ha posto la domanda se in quest’area, dentro la città, e non fuori come si sta facendo da un po’ di anni, è ancora possibile avviare un’attività produttiva. Osservando la pianta del Nolli abbiamo riscontrato alcune analogie con la nostra strategia, infatti in queste piante della città possiamo vedere come non soltanto il suolo pubblico costituito da strade, piazze ecc… ma anche alcuni edifici specifici (come… chiese, basiliche…) sono trattati come fossero un vuoto. Dunque il vuoto potenziale come uno spazio pubblico che interagisce con i materiali urbani riscrivendo il luogo mantenendone l’identità e trasformandolo in un luogo privilegiato dove i nuovi materiali si integrano.
VUOTO COME SFONDO. Il concept del masterplan tende a riconoscere due tipologie di vuoto. Il primo è il vuoto come sfondo, cioè il paesaggio del parco come infrastruttura verde e come miscela connettiva. Il secondo, vuoto potenziale, che consiste nell’individuazione dei manufatti industriali dismessi che possono trasformarsi in motori per la rigenerazione urbana, determinando nuove relazioni con il contesto urbano.
LE NUOVE FIGURE. All’interno del parco connettivo inseriamo nuove oggetti-sfondo che permettano di creare tensione col parco. Queste figure hanno due funzioni: s’inseriscono negli edifici già esistenti, e, altre, s’insediano costruendo nuovo paesaggio come condesatori di attività per il sociale e il produttivo. Che cosa portano queste nuove figure? Rispondendo al tema del workshop, abbiamo progettato spazi-servizi che siano, sì indispensabili allo sviluppo di nuove forme produttive, ma anche di interesse collettivo. Dunque, le funzioni di questi spazi-servizi, ibrideranno funzioni dedicate al produttivo, e, in modo coordinato, poste geograficamente in modo strategico, funzioni che servano la cittadinanza, 24 ore su 24, con servizi quali auditorium, sale riunioni (utilizzabili, per esempio, anche dai comitati di quartiere), asili, centri ricreativi, mense, bar, ecc.
MASTERPLAN. Il concetto fondamentale del masterplan è che nulla viene demolito, di intervenire sull’area RECUPERANDO PRIMA QUELLO CHE C’E’ e di creare luogo manipolando i programmi. Il masterplan lavora su ambiti strategici: 1.Infrastruttura, la realizzazione della connessione con la circonvalazione, la riorganizzazione strategica delle fermate tramviarie, rendendo quest’area più operativa dal punto di vista dell’insediamento produttivo e della fruizione collettiva. 2.Parco: il parco è fatto non solo di elementi naturali ma anche di elementi produttivi e di servizio e per la logistica. 3.Manufatti industriali dismessi: Reggiani, ex-Ote, Italcementi e in futuro anche Omba. 4.Architetture urbane, nuove forme della produzione. Abbiamo pensato alla possibilità di inserire nuove forme produttive in altrettanti spazi ad essa destinati. 5.Facilities e strutture. il parco è attrezzato con le facilities più sopra citate, quelle utilizzabili anche dai comuni cittadini. queste sono state localizzate nei punti di maggior fruibilità dal punto di vista dell’accessibilità e logistica, movimenti di camion ecc. il parco, soprattutto nel suo limite con via Serassi, è anche spazio per i contenitori produttivi e logistici oltre che per servizi come parcheggi minimi ecc. Via serassi verrebbe dunque raddoppiata, in caso di necessità, permettendo l’espansione produttiva nelle vicinanze dell’ex-Ote. I due temi approfonditi in questo progetto sono l’ex-Ote e il parco. Ci siamo soffermati sul parco come sistema. La ristemazione dell’ex-Ote, meglio la nuova Ote.
VUOTO come SFONDO, come miscela che collega. Il parco è concepito come infrastruttura verde capace di accogliere nuovi servizi a piccola scala che fanno parte del paesaggio, un’infrastruttura che lavora con la scala locale. Nel tempo, nel caso ci fosse una riduzione produttiva il progetto non da luogo a spazi non utilizzati, perché questi spazi vengono assorbiti dal parco stesso, trasformati, per esempio, in luoghi per attività sportive. Abbiamo progettato e pensato alla riduzione della produzione (dunque alla decrescita). Il progetto del parco da luogo a scenari evolutivi e il paesaggio diventa l’infrastruttura stessa di questa crescita-decrescita; inseriamo teche, elementi paesaggio, a disposizione dello sviluppo di servizi per nuove forme di produzione oltre che per il sociale.
Step 0. Qui possiamo vedere un esempio di infrastruttura verde con nuovi micro servizi, pensati all’eventualità di una decrescita, sia per contesti recessivi che di cambiamenti produttivi, visti anche come opportunità. Non si da luogo, dunque, a vuoti ma a reintegrazioni e spazi a disposizione delle collettività : sport, spazi per concerti ecc. In poche parole: IL PROGETTOèIL PROCESSO. Gli schemi di riduzione-evoluzione descrivono step zero, l’area vuota. secondo scenario: nuova produzione; terzo scenario: la riduzione e restituzione di questi spazio alla città con attrezzature leggere (sportive, culturali, sociali ecc.).
VUOTO potenziale. Nei vuoti potenziali saranno inseriti i programmi cosidetti stabili, a disposizione del capitalismo produttivo e dell’urbanità. Proponiamo qui un grande manufatto, innestato all’interno dell’ex-Ote, rinominata NUOVA Ote, che rende ancora più evidente l’assonanza con il Nolli, il Sant’Agnese, le architetture urbane, i grandi vuoti… andiamo a fondere architettura urbana e nuove forme produttive. L’Ote condensa in tal senso i temi del workshop. una grande croce di nuova costruzione, segno territoriale visibile anche da Bergamo alta, sulla stessa sponda paesistica del KM rosso, non messa a caso, ma legata alla logica viario-logistica, alle necessità delle nuove forme produttive. Possiamo immaginare il piacere e la qualità di questo nuovo spazio urbano, insolito ma di grande evocatività. Abbiamo riorganizzato le fermate del tram, in modo da strutturare un’esperienza spaziale nuova. Immaginiamo di scende dal tram diretto ad Albino o alla Val Brembana, sopra una pensilina, coerente al nuovo sistema architettonico compiuto, in una grande e vasta piazza pubblica di nuovo tipo, con, nel doppio sfondo, il parco-infrastruttura da un lato, e quest’enorme manufatto. In alto, la connessione di una grande piattaforma su cui si muovono persone, bambini, lavoratori, donne con i sacchi della spesa che attraversano due parti della città, prima tagliate dai due binari. Contesto ampio, siamo già dentro un sistema urbano di nuova forma, fatto di servizi fisici ma anche immateriali, rappresentativi, evocativi, simbolici.
Il nuovo edificio, con questo procedimento, crea un doppio asse ortogonale che interseca l’edificio dismesso, strutturando connessioni e un grande sistema pubblico-privato.
Come già detto, al piano superiore, una piattaforma-ponte con intrecci di lunghe passerelle (promenade architecturale), penetra all’interno della OTE, strutturando programmi stabili : quali tipologie di residenze innovative, con tagli particolari. alloggi temporanei low cost.
E cosa diventa l’OTE? l’ex fabbrica ora è un grande edificio vuoto ma pieno di una nuova spazialità, con un grande sistema croce. Le piattaforme sono occupate da parallelepipedi e piani in vetro regolati per un’ottimizzazione del confort termico in cui sono collocate, oltre alle residenze speciali, ristoranti collettivi, bar, auditorium, asilo nido, lavanderie pubbliche, spazi ricreativi per bambini, centri di aggregazione, che fanno rivivere questa parte di città. Compenetrazione suggestiva di spazi in cui quello che era un interno diventa un esterno.
Questo progetto non vuole essere una risposta perfetta. E’ l’esplicitazione di una proceduralità e di un sistema, con, nello sfondo, i grandi temi, attuali, posti dalla questione di uno spazio-parco visto come condensatore sociale e produttivo, di un altro tipo di città possibile e del rapporto fra questa e il fondamentale tema della produzione, chiave di molte delle nostre sfide future. Questo progetto nasce e cresce anche alla luce dei temi posti dal nostro tempo, vuole essere traccia procedurale di un pensiero che abbia il respiro delle sfide che vive il nostro pianeta, le nostre città, e in special modo il nostro paese. Paese che, in questi giorni, trascorsi protetti nella meravigliosa bolla di questa interessantissima Scuola Estiva, ha vissuto – e vive – momenti drammatici – forse decisivi – dal punto di vista del suo futuro economico-produttivo e, dunque, sociale.
Bergamo stem
© Michele Luca Galella . Published on December 23, 2014.
QUALCHE NOTA AGGIUNTIVA Gregorio Carboni Maestri
Viviamo un tempo speciale, di cambiamenti e tensioni. Il tema attorno al quale si concentra la sostanza di tali mutamenti è parte del tema posto da questa Summer School: la produzione. Il luogo nel quale si plasmano: il territorio urbano.
Attorno alla produzione, quella industriale, di beni e cose, la nostra “Repubblica fondata sul lavoro” ha avuto il polso della sua evoluzione e il suo riscatto post-bellico. Il “made in Italy”. Negli ultimi decenni il nostro sistema economico, la cultura politica, ha dato le spalle a questo settore.
Il sistema paese ha cercato di bypassare, sempre più, la produzione di cose e beni come mezzo di produzione di ricchezza, sviluppo, lavoro e benessere voltandosi verso altri modi. Con altrettanta forza, si è cercato di cancellare tracce della presenza della produzione. Si cancellano testimonianze del luogo della produzione, ghiotte zone speculative. Perdita di opportunità. A Milano come altrove, si fa ricorso alla piazza pulita, l’ex Falck viene venduta a cubi di acciaio alla Cina, vengono distrutte l’ex Alfa Romeo-Portello, ex Ansaldo, ex Pirelli, ex Farmitalia-Carlo Erba, ... Si lasciano poche tracce, la ciminiera, spesso nell’angolo, fra parcheggio e centro commerciale o la facciata con qualche shed, a “moh d’industria”, come in un fumetto Disney. Non si riesce a concepire un processo che non sia il costoso riempimento totale di un edificio forse perché non si riesce a ipotizzare una spazialità diversa (e un modello urbano) diverso. I luoghi di produzione, invece, non vengono quasi mai “trattati” come opportunità di sviluppo di pezzi di città, dentro di essa, con essa, e si schiva il tema preferendo questioni più“sexy” dimenticando il capannone e lasciandolo lì, nei sobborghi, come figlio minore di una città fatta a misura di terziario e di quella società dello spettacolo che è stata la rovina non solo dell’economia ma anche del nostro stesso Mestiere.
Ci siamo – consciamente, volontariamente – allontanati dalla realtà economica per raccontarci favole che ci permettessero il compito meno faticoso di “fare i compiti in classe”.
Ci azzardiamo qui a fare un parallelo che sarà forse criticato, ma che pensiamo di fondamentale importanza, perché alla base del nostro atteggiamento progettuale. Pensiamo che la pianificazione urbana e la progettazione, il mondo della cultura, ha fatto lo stesso parallelo processo di allontanamento dalla realtà. Ci siamo illusi – come il mondo economico – di poter ottenere gli stessi risultati con processi che non tenessero conto dei parametri reali – a volte un po’ meno “sexy” di quelli “à la page” o “sulla cresta dell’onda”. Se l’economia ha dismesso interi settori economici strategici nazionali – in modo volontario (!) – (New Economy, processi di finanza creativa, gioco in borsa, subprimes, speculazioni, prima fra tutte, edilizia, con l’appoggio anche di noi architetti) il mondo dell’architettura si è allontanata dagli elementi primari, fondamentali, fondativi : la realtà della città, dei processi che la determinano. Una straordinaria, ricchissima – indispensabile – foisonnement di sperimentalismi fini a se stessi, processi dall’onestà intellettuale dubbia, Starsistem, appoggio ai processi più sopra citati.
Pensiamo che sia giunto il momento di riprendere il contatto con questo Reale, in economia come architettura e nel nostro rapporto con le cose dell’architettura. Con ciò, pensiamo che dal reale si debba pensare a un mondi nuovi. Pensiamo che nella realtà ci sia un vasto campo di Utopizzazione, sperimentazione e creazione possibile. Anzi, pensiamo che la realtà sia l’utopia più bella.
Le pagine dei quotidiani di questi giorni ci indicano, ad una lettura anche distratta, il quanto economia, città, pianeta, siano ormai in un punto di non ritorno per quanto riguarda l’evoluzione delle cose. E non è necessario capir di cose economiche – e di città– per capire quanto la situazione sia grave. Colpisce, inoltre, l’omnipresenza affascinante del tema industriale-produttivo nelle pagine dei quotidiani e riviste bergamasche. Del tema “lavoro”, della coscienza che questo sia la chiave di un futuro, per quanto nella smarrita incomprensione del “verso dove” andare. Pensiamo che prima che da architetti, da dottorandi, da uomini di scienza e di arte, da economisti o imprenditori, da politici e intellettuali, questo debba essere un compito di cittadini che tengano al proprio paese, alle proprie città.
Cosa significa partire dal reale? Vuol dire non raccontarsi bugie e guardare la realtà complessiva in faccia, con coraggio, senza fantasticare in soluzione magiche o settori produttivi “nuovi” che calino come per magie dal cielo, vuole dire capire quale sia il vero stato economico del paese. Alcuni dati: ottocento capannoni sfitti solo nella Bergamasca – declino economico – percentuali di edificato speculativo che non saranno venduti ed affittati per anni, Recessione lunga, città sempre più povere, disorganizzate, guerra fra poveri, disoccupazione crescente, processi produttivi, Sistema Paese del tutto inadeguati alle sfide economiche internazionali). Vuol dire ricorrere meno alla tabula rasa, vuol dire meno asservimento agli interessi particolari e più a quelli collettivi, vuol dire che in una sede come questa, i temi debbano essere sviscerati in senso assoluto, con i confini scientifici della disciplina, per gli interessi del comune, vuol dire fare lo sforzo dell’integrazione delle realtà già presenti sul suolo – non in senso romantico – ma come assunzione di opportunità e di investimenti da utilizzare (ergo: essere meno diligenti nella spesa), vuol dire immaginare mondi, città, che siano territori ricchi e arricchenti di felicità, dunque che “sentano”, nel disegno, nella cultura che li ha prodotti, l’aria della democrazia che li ha prodotti. Vuol dire non tapparsi gli occhi e avere il coraggio di deformare realtà che riteniamo nefaste per produrre reali avanzamenti.
E’ sapere che non possiamo – ripeto –NON possiamo continuare a costruire indefinitamente e a “crescere” (in senso classico – cioè altamente inquinante e consumistico) ancora per molti decenni. E’ sapere che se vogliamo ragionare seriamente su questi temi, dobbiamo accettare che la cosa apparentemente più noiosa e meno “modaiola”, cioè la produzione – quella che si fa solo e soltanto in uno spazio chiamato capannone, è la chiave di qualsiasi sviluppo, per quanto eco-compatibile e ambientalmente “friendly”. E che il ripensare a come questa si relaziona col territorio, con il sistema socio economico, è per lo meno tentare di affrontare il tema posto. Non si può sempre bypassare il tema del capannone, rilegandolo ai zonnizatori e alle leggi del mercato (cioè ai sobborghi e ai lati delle autostrade) e non si può non rivoluzionare, ripensare il processo del sistema paese nel suo complesso, se non ripensiamo a tutta la società, alle sue REALI necessità: asili nido gratuiti e disponibili per mamme e donne lavoratrici, diminuzione dello scarto vergognoso che c’è fra uomo e donna nella nostra società maschilista, fine dei luoghi comuni sull’indispensabilità dell’automobile e delle infrastrutture-traumatiche come unico mezzo di sviluppo territoriale e industriale.
In tal senso, una delle prime cose fatte dal nostro gruppo, è aver tentato di contattare le associazioni e realtà territoriali del quartiere per comprenderne le reali necessità.
Senza parlare dell’assioma industria-produzione-inquinamento o della dicotomia produzione-città, come se questa non fosse mai nata e cresciuta dentro e assieme ai cittadini.
Riteniamo che la città debba e possa di nuovo essere spazio di accoglienza di alcune produzioni, e non più solo di spettacolarizzazione della società del consumo e del terziario. Che il tempo dell’aumento esponenziale della benzina renderà sempre più necessario pensare a un ritorno verso la densità urbana per limitare spostamenti dei lavoratori.
Che la società debba ripensare i suoi modelli di sviluppo, con la DECRESCITA, di ridistribuzione rapida, reale, profonda, pensata e progettata, della ricchezza economica e culturale (solo così ne creerà di più, SOLO così) diminuendo i processi di accumulo (l’Italia ha oggi una piramide delle distribuzioni economiche simile a quella dei paesi dell’ex terzo mondo!) e di disequilibrio urbano.
Pensiamo che una città ripensata, ecologica, democratica, aperta, più umana, che una società in cui la collettività si aiuta e porta con le proprie mani – attraverso la rappresentatività di tale democrazia nella bellezza del suo suolo – sia la vera contemporaneità, che questo sia il progetto del nuovo tempo, e che questo possa trovare nelle classiche procedure dell’architettura, nello spazio, nei muri, nei “vuoti” e nella forza del Mestiere la chiave di un successo necessario. Il pianeta lo chiede.
Una città così, solo questa, potrà dare la scintilla per fare esplodere un nuovo tempo di fiducia, entusiasmo, creatività, solidarietà e arricchimento collettivo, anche se nella decrescita dei processi distruttivi.
Vuol dire FARE CON CIò CHE SI HA, spendendo il meno possibile (il che non significa non spendere nulla, o non spendere tanto – ma bene) – lo diciamo in senso assoluto e teorico, più che economico, spendere, se è per il bene, è sempre buono, usando meno suolo, facendo i conti con il passato.
Vuol dire no a progetti calati dall’alto, a temi calati a pennello per poter fare il progetto “ad hoc” senza preoccuparsi del tema del Reale (sarebbe come, in un workshop sulla residenza, scegliere la classe sociale e il mestiere dei residenti, in modo da poter fare loft o residenze formalmente più divertenti…).
Pensiamo che l’architettura debba riflettere il proprio tempo. Senza automatismi ingenui, ma con coraggio.
E’ necessario dire qualcosa sul tessuto urbano, sulla questione delle archeologie industriali, dei capannoni vuoti, del rapporto formale, architettonico, spaziale, proporzionale, simbolico, con il nostro territorio umano prima che geografico…
Non pensiamo che si possa, in tal senso, inventarsi attività economiche che non ci sono, che scarseggiano o che scompaiono giorno dopo giorno e che non ci si possa improvvisare. Equivarrebbe, nel caso dei confindustriali, dei poteri pubblici, dei sindacati e degli economisti, a mettersi a progettare case, quartieri, città. Pensiamo, invece, che con assoluta coscienza sullo stato delle cose, dei processi economici, dei diversi fattori di sviluppo, si debba dare una risposta architettonica concreta alla questione produttiva e al suo rapporto con il territorio con un plusvalore che sia reale oltre che simbolico e spaziale, oltre che geografico. Parlando e dando risposte per quanto concerne le cose e l’organizzazione delle cose della città, del suolo, dei rapporti spaziali fra le persone, e questo riguarda anche le assenze, i freni, i “non fare” e i “non lì” dell’architettura. Non si tratta, qui, secondo noi, di fare un progetto scolastico puntuale, che si fermi all’attuale tema e luogo. E pensiamo che in ogni risposta, che ovviamente deve essere singola e singolare, debbano essere contenuti, soprattutto in temi come questi, vaste considerazioni programmatiche sulle cose della città, dell’architettura e dell’Uomo.
area di intervento
© Michele Luca Galella . Published on December 23, 2014.
area di intervento
© Michele Luca Galella . Published on December 23, 2014.
industrial stem
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network area
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vision
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learning from nolli
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masterplan
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modello del masterplan
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modello masterplan
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modello masterplan
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modello masterplan
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modello masterplan
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modello masterplan
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modello masterplan
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modello masterplan
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vista ex-Ote
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vista del parco
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vista ex-Ote
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sezione ex-Ote
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prospetto ex-Ote
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sketch ex-Ote
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sketch ex-Ote
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sketch ex-Ote
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sketch ex-Ote
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sketch ex-Ote
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tavola 1
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tavola 4
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