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No name shop - Ayeneh office

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The experience of designing a shop without a specific use was a special one. The elongated proportions of the land owned by the Client , demanded a particular approach not helped by the fact that he was not sure what to sell in this shop. To make matters worse, we were facing other issues such as a chaotic urban fabric as well as height and economic constraints.

Ayeneh office — No name shop

We cut the land into two halves on the north-south axis and divided the space into four separate mezzanines. To respond to height limits, we decided to build mostly below the ground level. Physical and visual fluency of space was used to attract customers.

Ayeneh office — No name shop

As the tight budget limited means of vertical circulation to stairs, shallow stairways were designed in response. To attract visitors to the deepest parts of the store we both deepened and widened the interior views from the street level using colorful strips over plain monochrome surfaces and extending the vibrant color of the entrance frame to the north down to the similarly vibrant southern light well.

Ayeneh office — No name shop

The client was not sure whether to use the whole building as a single store, so we provided him with the possibility of subdividing the space into four independent shops each with their own means of access control. Of utmost importance in our facade design was the location of the property in a mostly characterless, developer-built district bar an historic house facing our project, and belonging to our client.

Ayeneh office — No name shop

Our discussions with the Client persuaded him to maintain the historic house, renovate it, and let a dialogue happen between the old and the new building. This will include reflections of the old building on the glazed facade of the new, and an image of the old framed by the new. The Client is now in a position to offer a vivid antidote to an otherwise boring, chaotic passageway, on top of the flexibility he can enjoy in the ways he uses the shop.

Ayeneh office — No name shop

Ayeneh office — No name shop

Ayeneh office — No name shop

Ayeneh office — No name shop

Ayeneh office — No name shop

Ayeneh office — No name shop

Ayeneh office — No name shop

Ayeneh office — No name shop

Ayeneh office — No name shop

Ayeneh office — No name shop

Ayeneh office — No name shop


Centro enogastronomico Eataly, Torino - Negozio Blu Architetti Associati, Gustavo Ambrosini, Cristiana Catino, Paola Gatti, Carlo Grometto, Mauro Penna , Arch. Giovanni Bartoli (layout funzionale)

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The vermouth Carpano production plant, disused since the mid-nineties, is an unexpectedly interesting urban space on a reduced scale. The building comprises a brick-filled reinforced concrete structure that grew outwards from a series of courtyards over the course of the twentieth century. The project was to design a food and wine centre dedicated to high-quality foods and drinks, including spaces for selling the goods, thematic restaurants for tasting products, the Eataly and Slow Food offices, teaching rooms, a conference room and the Carpano Museum. The entrance is now found in the old perimeter wall that separated the centre from the Fiat Lingotto factory. The wall is painted the same brick red colour as found on the existing buildings, and has been opened and transformed to include the large glass entrance to the hall where the enormous, cylindrical vats were once positioned. Two glass block supported by “rust” red metal girders and pillars jut out of the wall to focus attention on the conference room and museum. The courtyards make up the main halls and access ways inside the complex. They have been covered with a special insulation and solar control glass roof supported by a metal frame, allowing ample light to enter. From here the public has access to the various parts of the complex, which recall the paths and covered public squares in an “industrial district”.

Negozio Blu Architetti Associati, Gustavo Ambrosini, Cristiana Catino, Paola Gatti, Carlo Grometto, Mauro Penna , Arch. Giovanni Bartoli (layout funzionale) — Centro enogastronomico Eataly, Torino

Il primo centro Eataly, realizzato nel 2007 a Torino nell’ex stabilimento Carpano, è un complesso polifunzionale su più livelli, articolato in nove punti di ristorazione abbinati a spazi di vendita tematici spazi espositivi, aule per scuole di cucina, biblioteca, sala conferenze, uffici e il Museo Carpano. Il recupero dello stabilimento Carpano quale nuovo centro dedicato alla cultura enogastronomica rilegge l’identità simbolica dell’edificio, l’associazione dello storico vermouth con la sfera del “gusto”, come memoria dell’industria alimentare cittadina.

Negozio Blu Architetti Associati, Gustavo Ambrosini, Cristiana Catino, Paola Gatti, Carlo Grometto, Mauro Penna , Arch. Giovanni Bartoli (layout funzionale) — Centro enogastronomico Eataly, Torino

Il progetto valorizza l’inaspettata articolazione spaziale interna, sviluppatasi nel Novecento attorno ad alcune corti, che si contrappone idealmente al monolitico Lingotto posto di fronte. Le corti interne, protette da una nuova copertura vetrata, costituiscono lo spazio principale di orientamento di questa “cittadella del gusto”: non un luogo monofunzionale, ma un “mercato” dove si intrecciano acquisto e ristorazione, informazione ed educazione all’alimentazione. L’allestimento evoca una fruizione informale ed una domesticità a scala urbana.

Negozio Blu Architetti Associati, Gustavo Ambrosini, Cristiana Catino, Paola Gatti, Carlo Grometto, Mauro Penna , Arch. Giovanni Bartoli (layout funzionale) — Centro enogastronomico Eataly, Torino

L’impianto ibrida modelli distributivi tradizionali (commercio, ristorazione, entertainment, formazione), e affida all’allestimento di ogni area tematica (pasta, pizza, carne, vino ecc.) uno specifico carattere, ripreso ora in tutti i punti Eataly. L’esperienza si svolge in una sequenza di spazi che mettono in valore le risorse dell’edificio esistente, creando un tessuto di vie e piazze coperte come luogo di incontro tra consumatori e produttori del settore agroalimentare italiano.

Negozio Blu Architetti Associati, Gustavo Ambrosini, Cristiana Catino, Paola Gatti, Carlo Grometto, Mauro Penna , Arch. Giovanni Bartoli (layout funzionale) — Centro enogastronomico Eataly, Torino

Nuovi elementi architettonici si integrano con i caratteri esistenti. Il vecchio muro di confine con il Lingotto, trattato con la tonalità rosso mattone degli altri volumi, diventa una “soglia urbana” che dà accesso al complesso attraverso il salone della alte cisterne per la miscelazione del vermouth.

Negozio Blu Architetti Associati, Gustavo Ambrosini, Cristiana Catino, Paola Gatti, Carlo Grometto, Mauro Penna , Arch. Giovanni Bartoli (layout funzionale) — Centro enogastronomico Eataly, Torino

L’innesto di nuove strutture, costituite da travi e pilastri metallici imbullonati di colore rosso “ossido” che sostengono vetri selettivi, contrappunta la matericità delle textures delle facciate e caratterizza le parti pubbliche più significative – la galleria centrale di distribuzione e i tasselli vetrati esterni (sala conferenze e museo) – attraverso un device che rimanda alla tecnologia delle prime architetture industriali.

Negozio Blu Architetti Associati, Gustavo Ambrosini, Cristiana Catino, Paola Gatti, Carlo Grometto, Mauro Penna , Arch. Giovanni Bartoli (layout funzionale) — Centro enogastronomico Eataly, Torino

Negozio Blu Architetti Associati, Gustavo Ambrosini, Cristiana Catino, Paola Gatti, Carlo Grometto, Mauro Penna , Arch. Giovanni Bartoli (layout funzionale) — Centro enogastronomico Eataly, Torino

Negozio Blu Architetti Associati, Gustavo Ambrosini, Cristiana Catino, Paola Gatti, Carlo Grometto, Mauro Penna , Arch. Giovanni Bartoli (layout funzionale) — Centro enogastronomico Eataly, Torino

Negozio Blu Architetti Associati, Gustavo Ambrosini, Cristiana Catino, Paola Gatti, Carlo Grometto, Mauro Penna , Arch. Giovanni Bartoli (layout funzionale) — Centro enogastronomico Eataly, Torino

Interno casa GD - sergio fumagalli, Fucina

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Il progetto di sistemazione interna di questo appartamento collocato al piano rialzato, ha riguardato in particolare la zona giorno che è stata interamente ridefinita, sia per quanto riguarda l’organizzazione dello spazio che per l’inserimento di arredi fissi e mobili di produzione speciale, interamente prodotti da Fucina art design. La boiserie che inquadra l’angolo di ingresso e riveste la porta blindata dell’accesso di servizio con un pannello rotante, e la lunga mensola sottofinestra in pezzo unico di oltre 6 metri, sono prodotti in acciaio rifiniti superficialmente con trattamenti a impronta a base di acidi e vernici trasparenti. La libreria posta al centro della parete che domina lo spazio conversazione, è una composizione del modello plus, tipico della produzione di Fucina, composta da piantane a quattro angolari, è attrezzata con un suggestivo sistema di retroilluminazione a led e associa materiali diversi quali ferro crudo e ottone per la struttura, piani in bambù, reti a maglia romboidale e cristalli serigrafati con lettering originali del marchio, per le chiusure. Completano gli arredi alcuni pezzi della collezione che creano originali distorsioni sui piani e sulle superfici.

sergio fumagalli, Fucina — Interno casa GD

sergio fumagalli, Fucina — Interno casa GD

sergio fumagalli, Fucina — Interno casa GD

sergio fumagalli, Fucina — Interno casa GD

sergio fumagalli, Fucina — Interno casa GD

sergio fumagalli, Fucina — Interno casa GD

sergio fumagalli, Fucina — Interno casa GD

sergio fumagalli, Fucina — Interno casa GD

sergio fumagalli, Fucina — Interno casa GD

sergio fumagalli, Fucina — Interno casa GD

CN10 studio - Gianluca Gelmini

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La nuova sede dello studio cn10 occupa tre piani di una vecchia casa di fine Ottocento che sorge in un piccolo borgo lungo la strada pedecollinare che costeggia il fronte Sud del Monte Canto. L’edificio si articola su cinque livelli due dei quali non visibili dalla strada perché incassati nel pendio della collina. I locali dello studio si dispongono a piano terra con ingresso diretto dalla strada e nei due piani sottostanti affacciati sul cortile interno. Il progetto di sistemazione rispetta l’impianto tipologico e i caratteri spaziali e materiali degli ambienti, limitandosi ad una loro valorizzazione e rimessa in funzione.

Gianluca Gelmini — CN10 studio

Gianluca Gelmini — CN10 studio

Gianluca Gelmini — CN10 studio

Gianluca Gelmini — CN10 studio

Gianluca Gelmini — CN10 studio

Gianluca Gelmini — CN10 studio

Gianluca Gelmini — CN10 studio

M9/Transforming the city - Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati

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La mostra di architettura dal titolo M9 / Transforming the City, relativa al progetto del nuovo museo M9 di Mestre e ad una selezione di realizzazioni dello studio Sauerbruch Hutton riguardanti il tema della rigenerazione urbana, ha costituito un evento collaterale Biennale d’architettura 2014. La mostra è stata allestita al piano terra dell’edificio della sede della Fondazione di Venezia, ed ha previsto la ridefinizione degli spazi del piano terra al fine di ricavarne tre sezioni: una sezione d’ingresso con la parte introduttiva al progetto, una prima sala dedicata agli elaborati di progetto del museo M9 di Mestre dello studio Sauerbruch Hutton e una seconda sala dedicata al tema della rigenerazione urbana attraverso l’esposizione di n. 5 progetti dello stesso studio che da anni lavora su questo tema.

Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati — M9/Transforming the city

Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati — M9/Transforming the city

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Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati — M9/Transforming the city

Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati — M9/Transforming the city

photo By Sergio Martucci

Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati — M9/Transforming the city

photo By Sergio Martucci

Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati — M9/Transforming the city

photo By Sergio Martucci

Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati — M9/Transforming the city

photo By Sergio Martucci

Polo Museale del Porto di Trieste - Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati, Tassinari Vetta Srl, MHK consulting Srl

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All’interno del Porto Vecchio di Trieste l’Autorità Portuale ha avviato la costituzione del polo museale del porto stesso con il recupero di due edifici del tutto singolari ubicati nella zona nord verso Barcola e dedicati in origine alla produzione di energia per tutto il comparto: la Centrale Idrodinamica e la Sottostazione Elettrica. La Centrale Idrodinamica, edificio costruito verso il 1890, viene recuperata nel 2012; composta da tre corpi di fabbrica principali presenta una superficie di circa 2.000 m² così suddivisa: parte Nord, originariamente sottostazione elettrica di riconversione ed ora destinata a sala conferenze, parte Sud, simmetrica alla precedente, dove si trovano le officine e la grande sala delle motopompe verticali, ambienti restaurati e musealizzati senza sostanziali modifiche, e parte centrale di circa 900 m² che originariamente ospitava le caldaie, di cui è conservata una porzione originale in muratura, divisa in tre ambienti di incerta destinazione. L’intervento di allestimento si concentra nella zona centrale dell’edificio appena descritta, riqualificandone con decisione la vocazione tramite un dispositivo realizzato con telai metallici e tamponamenti in lamiere di ferro verniciate che, recuperando la spazialità originale della batteria delle caldaie, rimette a sistema i tre ambienti e definisce nuovi spazi ospitando nello spessore delle sue pareti un complesso di vetrine espositive che contribuiscono alla realizzazione di un nuovo ed articolato percorso espositivo. La Sottostazione Elettrica, edificio costruito, per sopperire alle carenze di spazio della adiacente Centrale Idrodinamica, verso il 1913 da Giorgio Zaninovich, allievo di Otto Wagner, viene recuperata nel 2014 ed è costituita da due corpi di fabbrica principali conformati ad L. Il primo ospitava la sala interruttori e la sala delle sbarre collettrici a 27.000 V, mentre il secondo corpo, che fronteggia la Centrale Idrodinamica, ospitava una sala a doppia altezza con i due diversi quadri in bassa e media tensione, ancor oggi perfettamente conservati. All’interno del polo museale del porto questo edificio viene destinato ad ospitare al livello interrato l’archivio storico dell’Autorità Portuale, e dunque l’intervento di allestimento si occupa dell’organizzazione di sale di studio e di consultazione del materiale archivistico e della definizione del nuovo ingresso concentrandosi sul primo corpo di fabbrica, che si sviluppa longitudinalmente verso N-E. Un arredo permanente in legno di rovere disegnato su misura, riproponendo alcune regole spaziali in stretta interazione con il partito architettonico dell’edificio e l’originaria serialità dei macchinari ivi ospitati, riqualifica con decisione gli spazi, in una stretta interazione con le nuove installazioni tipografiche e segnaletiche.

Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati, Tassinari Vetta Srl, MHK consulting Srl — Polo Museale del Porto di Trieste

Photo by Alessandra Chemollo

Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati, Tassinari Vetta Srl, MHK consulting Srl — Polo Museale del Porto di Trieste

Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati, Tassinari Vetta Srl, MHK consulting Srl — Polo Museale del Porto di Trieste

Photo By Alessandra Chemollo

Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati, Tassinari Vetta Srl, MHK consulting Srl — Polo Museale del Porto di Trieste

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Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati, Tassinari Vetta Srl, MHK consulting Srl — Polo Museale del Porto di Trieste

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Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati, Tassinari Vetta Srl, MHK consulting Srl — Polo Museale del Porto di Trieste

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Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati, Tassinari Vetta Srl, MHK consulting Srl — Polo Museale del Porto di Trieste

Photo by Alessandra Chemollo

Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati, Tassinari Vetta Srl, MHK consulting Srl — Polo Museale del Porto di Trieste

Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati, Tassinari Vetta Srl, MHK consulting Srl — Polo Museale del Porto di Trieste

Photo by Alessandra Chemollo

Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati, Tassinari Vetta Srl, MHK consulting Srl — Polo Museale del Porto di Trieste

Photo by Alessandra Chemollo

Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati, Tassinari Vetta Srl, MHK consulting Srl — Polo Museale del Porto di Trieste

Photo by Alessandra Chemollo

Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati, Tassinari Vetta Srl, MHK consulting Srl — Polo Museale del Porto di Trieste

Photo by Alessandra Chemollo

Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati, Tassinari Vetta Srl, MHK consulting Srl — Polo Museale del Porto di Trieste

Photo by Alessandra Chemollo

Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati, Tassinari Vetta Srl, MHK consulting Srl — Polo Museale del Porto di Trieste

Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati, Tassinari Vetta Srl, MHK consulting Srl — Polo Museale del Porto di Trieste

Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati, Tassinari Vetta Srl, MHK consulting Srl — Polo Museale del Porto di Trieste

Map studio - Magnani Pelzel Architetti Associati, Tassinari Vetta Srl, MHK consulting Srl — Polo Museale del Porto di Trieste

A Knot in the Global Grain - Derek Pirozzi

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Standing at the very intersection of East and West… A knot is formed in the grain of an international community. Progressive and steadfast, the concept of a new global icon in Helsinki becomes juxtaposed between traditions explored and innovations uncharted; civic opportunity and ecological responsibility; regional adulation and universal identity – all of which deeply rooted in a culture defined by vision. In a dynamic landscape, situated between park, harbor and an historical urban edge, the architecture is composed as an exceedingly clear gesture founded through the represented spirit of a culture and a nation. Lying on the coast like a piece of drift wood washed ashore, our proposal begins to uncurl and recede into the context acting as a carved branch giving away to time. What is intended to become known as the Helsinki effect, the proposal synchronously established as an economical generator but also a representation of place through the implementation of traditional craftsmanship through construction methodology – proposing a form of iconic critical regionalism.

Derek Pirozzi — A Knot in the Global Grain

Museum Atrium

Instantly symbolic, the proposals radiating vertical elements become redolent of the growth process of wood, the very product that even today begins to define a Finnish culture. Authentic and enduring, the bold gesture acts as a series of rings, each consecutive wall member encapsulating or celebrating the functional aspects housed within the institution. Designed to achieve unlimited flexibility, the versatile nature of the hand crafted exterior façades and the kinetic interior curtain walls allows for an architectural experience never encountered twice by the seasonal visitor. Driven by exploiting infinite opportunity for the curator and artist, the museums exhibition spaces are composed of endless possibilities through the dynamic and fluid movement of the wooden curtains, which define the space. Manipulating and enhancing the experience of our journey, each wall system becomes a filter of movement, sound and light– the resulting space becoming responsive and receptive to the artwork itself. Establishing an artistic laboratory where innovation towards the visitor’s experience of art is key in creating a museum of the future.

Derek Pirozzi — A Knot in the Global Grain

Exterior Harbor View

Consciously composed with a strong connection to the urban domain, the sequencing of program and its response to the immediate context establishes a seamlessly integrated central gathering place. Enhancing the experience, the program is arranged to create a provocative dialogue between museum and city. The large open sculpture park situated to the north allows for the pouring of pedestrian traffic from Market Hall and Old Market Square into the museums powerful embrace. Provide unobstructed views of the city, the dining amenities hug the sculpture yard to the east becoming the counterpoint between courtyard and harbor, generating views both day and night. At the core, the performance hall acts as the unraveling heart, an eternal form fabricated through the genuine craftsmanship of a Finnish wood working culture. Embodying regional tradition and innovation impending, the fluid yet tectonic gesture of this proposal becomes synonymous with time and age – past and future, creating an iconic symbol of an historic city, deeply rooted in the forthcoming.

Derek Pirozzi — A Knot in the Global Grain

Performance Hall

Derek Pirozzi — A Knot in the Global Grain

Exhibition Space

Derek Pirozzi — A Knot in the Global Grain

Exterior Courtyard

Derek Pirozzi — A Knot in the Global Grain

Aerial View

Derek Pirozzi — A Knot in the Global Grain

Icon Diagram

Derek Pirozzi — A Knot in the Global Grain

Cross Section

Derek Pirozzi — A Knot in the Global Grain

Cross Section

Derek Pirozzi — A Knot in the Global Grain

Cross Section

Derek Pirozzi — A Knot in the Global Grain

Program

Centro Culturale | Reinosa - Giacomo Mulas

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PAISAJE Cada edificación (o, en nuestro caso, destrucción) implica la construcción de un paisaje en constante movimiento, inasible. De ahí la voluntad de dejar huella de un tiempo determinado en la historia de Reinosa fotografiándolo y documentándolo para darle permanencia; voluntad y posibilidad que se han traducido en la primera, básica idea sobre la cual se ha desarrollado el proyecto: mantener el muro de cerca así como quedó después del incendio.

Giacomo Mulas — Centro Culturale | Reinosa

CIUDAD He pensado la estructura del espacio como un tejido urbano donde la composición entre vacío y lleno pueda crear relaciones internas y con el contexto más cercano. El Orden ha sido construido a través de dos criterios: la jerarquía entre los accesos y la medida espacial/estructural de la “malla” del antiguo mercado. El rectángulo en que consiste el lote es cruzado por un eje central público (desde el lado este hasta el oeste), que pone en comunicación la Calle Marqués de Cilleruelo (y con esta los accesos principales de la ciudad) con la zona del Teatro Principal y de la Calle Mayor, donde se encuentran los edificios históricos más destacados del centro urbano. En este sentido, el recorrido a través de este woonerf goza de una doble interpretación: por un lado la posibilidad de atravesar un pasaje público, por otro ver el mismo como acceso a los espacios más representativos del centro cultural.

Giacomo Mulas — Centro Culturale | Reinosa

Board 01

ARQUITECTURA La arquitectura de los edificios alterna espacios de carácter tectónico a otros de tipo estereotómico. Las plantas bajas son proyectadas en continuidad con el espacio abierto, de manera que favorezcan la relación entre los distintos espacios públicos y que permitan que los varios ambientes disfruten de una luz natural. En los pisos superiores, en cambio, los volúmenes adquieren un carácter más masivo, debido a que, estando ellos a un nivel superior a la altura del muro, su interacción con el contexto necesita de un adecuado control.

Giacomo Mulas — Centro Culturale | Reinosa

Board 02


Strategy of Void - Michele Luca Galella, Michelangelo D'Ettorre, stefania gruosso, Gregorio Carboni Maestri Architettura, Isabella Daidone , Virna Nannei, mara pietta, Francesca Pignatelli, Fabio Alessandro Fusco

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ABSTRACT (IT) Nell’affrontare il progetto il gruppo ha lavorato fondamentalmente su due aspetti/questioni. 1.Quale approccio avere nei confronti dell’esistente e dei materiali urbani presenti in questa parte di Bergamo? 2.Quale programma funzionale proporre per rispondere all’esigenza di una duplice rigenerazione: quella urbana e di un sistema produttivo in dismissione, dunque da riattivare? STEM. Stelo e filamento come dispositivo spaziale. Per quanto riguarda il primo punto abbiamo lavorato con materiali urbani esistenti “as found”, utilizzati come sfondo sul quale compiere un’operazione di riscrittura urbana. Si decide di non demolire nulla. Anzi, selezionare quegli edifici che, ormai diventati segni di identità del territorio e, svuotati delle loro funzioni originarie, possono per il loro valore architettonico diventare luoghi privilegiati in cui inserire nuove attività progettuali. Si ottengono due centralità di matrice per così dire “storica” poste in un sistema filamento contemporaneo e uno stelo sul quale è concentrato lo sguardo come dispositivo che condensa i materiali eterogenei, pieni e vuoti che si ripetono in sequenza lungo l’infrastruttura tramviaria. IL VUOTO COME SFONDO. Gli spazi aperti, térrain vague, sono un vuoto visto come “sfondo parco”, superficie legante i manufatti e gli elementi. Parco visto come infrastruttura. Vi sono poi i vuoti potenziali: i manufatti dismessi, occasione di rigenerazione tramite effrazioni e contaminazioni con grandi segni che concentrano le nuove attività produttive e urbane. LEARNING FROM NOLLI. STRATEGIES OF VOID. Gli spazi urbani e gli edifici dismessi sono visti come vuoti potenziali per i quali si è anche azzardata un’analogia con le emergenze rappresentate nelle piante del Nolli. L’elemento strutturante è il vuoto: un grande parco che invade gli spazi aperti ed edifici in abbandono, con il quale le nuove figure del produttivo s’inseriscono. Abbiamo, in sostanza, uno “spazio tra” (space between) e lo “spazio dentro”, visto come lo spazio delle piazze romane (Piazza Navona, ecc.) collegate agli spazi interni dei grandi manufatti ecclesiastici, rappresentato da Giambattista Nolli. Per quanto riguarda il programma è stato effettuato uno studio sulle attività o facilities che possono essere messe in comune tra la città e le imprese ospitate in questo nuovo polo tecnologico produttivo viste in modo evolutivo. Queste attività“in comune”, facilities-in common, sono posizionate in punti strategici dell’area proprio per la duplice intenzione di riattivare città e sistema produttivo. Si è poi fatta una distinzione fra programmi stabili e programmi instabili che lasciano al progetto un carattere aperto. Nel pensare gli spazi per la produzione vera e propria di beni materiali, si è presa in considerazione la possibilità non solo di una loro espansione nel tempo, ma anche di una loro riduzione e restituzione alla città. STRATEGIA DEI GRANDI MANUFATTI INDUSTRIALI. Nel sistema di relazioni con i manufatti industriali si è individuato un grande segno che infrange i vuoti potenziali determinando nuove relazioni con il contesto urbano. In questo segno sono collocate residenze e nuovi luoghi dell’attività produttiva urbana, collegate al sistema-parco e all’ex-Ote tramite passerelle. Sistema di vuoti e proporzioni che, uniti al sistema parco, creino dimensione umana.

Michele Luca Galella, Michelangelo D'Ettorre, stefania gruosso, Gregorio Carboni Maestri Architettura, Isabella Daidone , Virna Nannei, mara pietta, Francesca Pignatelli, Fabio Alessandro Fusco — Strategy of Void

vista modello

ABSTRACT (EN) The group worked mainly on two aspects & issues. 1.What’s the approach to have on the existing urban system and the materials found in this part of Bergamo? 2.Which functional program propose to respond in terms of a double regeneration: city and production regeneration? STEM. Stem and filament as a spatial device. Regarding the first point, we have worked with existing urban materials, used as a background on which make an urban rewrite. We decided not to demolish any building. Indeed, select buildings that now have become signs of identity of the area and emptied of their original function, for their architectural value can become privileged places in which to insert new project activities. Two centrality of matrix so-called “historical” system put in a contemporary strand of stem on which it is concentrated gaze as a device that merge materials, solids and voids that are repeated in sequence along the tram infrastructure. THE VACUUM IN THE BACKGROUND. The open spaces, terrain vague, is a vacuum seen as a “park background” binding surface artifacts and items. Then the potential gaps: the abandoned artifacts, break-ins and during regeneration through contamination with large signs that concentrate new productive activities and urban areas. LEARNING FROM NOLLI. STRATEGIES OF VOID. The abandoned buildings and urban spaces are seen as potential gaps in analogy with the emergency of the Nolli plans. The structuring element is the void, a large park that fills the open spaces and buildings in ruins, in which the new figures of production creep. A Park seem as infrastructure. We have, in essence, different kinds of space, a “space between” and a “space inside”, seen as the space of Roman piazza’s (Piazza Navona, etc..) connected to the internal spaces of the great ecclesiastical artifact represented by Giambattista Nolli. As for the program we carried out a study on the activities or facilities that can be pooled between the city and the businesses housed in this evolving new technological-production center. These activities, “in common facilities”, are located in strategic areas because of the two cities and plans to reactivate the productive system. There’s a distinction between stables and unstable programs, leaving an open character to the project. Thinking about the goals for real production of material goods, it is taken into account not only the possibility of their expansion over time but also their reduction and return to the city as public services. Strategy of large industrial parts. In the system of relations with industrial products we identified a large sign that breaks the voids resulting in potential new relationships with the urban context. In this sign are located residences and new urban areas of production, connected and connecting the system-park and the different parts of the city via long bridges. A proportional system, that, with the park system, create a human scale.

Michele Luca Galella, Michelangelo D'Ettorre, stefania gruosso, Gregorio Carboni Maestri Architettura, Isabella Daidone , Virna Nannei, mara pietta, Francesca Pignatelli, Fabio Alessandro Fusco — Strategy of Void

paesaggio industriale

STATEGY OF VOIDFILAMENTO COME DISPOSITIVO SPAZIALE. Il nostro ragionamento parte osservando la città attraverso non solo la sua rappresentazione planimetrica ma anche la sua articolazione spaziale dell’uomo che l’attraversa. Nella città abbiamo riconosciuto la presenza di alcuni filamenti che ne caratterizzano la morfologia a partire dalla città alta, continuando con i borghi della città bassa (borgo Sant’Alessandro, borgo Pignolo che diventa borgo Palazzo e borgo Santa Caterina); e questi filamenti si sviluppano poi lungo l’asse della linea tranviaria, verso le valli, dove passavano i binari ferroviari e nel quale possiamo ritrovare una concentrazione di materiali eterogenei che si ripetono in sequenza, costituiti da industrie, abitazioni e aree verdi, che si diradano allontanandosi dalla città. La nostra area di progetto è una parte di questo filamento, dove possiamo ritrovare, compressi, gli stessi materiali: industrie, abitazioni, aree verdi. Alcune di queste industrie sono dismesse, altre sono ancora in funzione, tuttavia quelle in funzione stentano a svilupparsi e a continuare a produrre. Confindustria ci ha posto la domanda se in quest’area, dentro la città, e non fuori come si sta facendo da un po’ di anni, è ancora possibile avviare un’attività produttiva. Osservando la pianta del Nolli abbiamo riscontrato alcune analogie con la nostra strategia, infatti in queste piante della città possiamo vedere come non soltanto il suolo pubblico costituito da strade, piazze ecc… ma anche alcuni edifici specifici (come… chiese, basiliche…) sono trattati come fossero un vuoto. Dunque il vuoto potenziale come uno spazio pubblico che interagisce con i materiali urbani riscrivendo il luogo mantenendone l’identità e trasformandolo in un luogo privilegiato dove i nuovi materiali si integrano. VUOTO COME SFONDO. Il concept del masterplan tende a riconoscere due tipologie di vuoto. Il primo è il vuoto come sfondo, cioè il paesaggio del parco come infrastruttura verde e come miscela connettiva. Il secondo, vuoto potenziale, che consiste nell’individuazione dei manufatti industriali dismessi che possono trasformarsi in motori per la rigenerazione urbana, determinando nuove relazioni con il contesto urbano. LE NUOVE FIGURE. All’interno del parco connettivo inseriamo nuove oggetti-sfondo che permettano di creare tensione col parco. Queste figure hanno due funzioni: s’inseriscono negli edifici già esistenti, e, altre, s’insediano costruendo nuovo paesaggio come condesatori di attività per il sociale e il produttivo. Che cosa portano queste nuove figure? Rispondendo al tema del workshop, abbiamo progettato spazi-servizi che siano, sì indispensabili allo sviluppo di nuove forme produttive, ma anche di interesse collettivo. Dunque, le funzioni di questi spazi-servizi, ibrideranno funzioni dedicate al produttivo, e, in modo coordinato, poste geograficamente in modo strategico, funzioni che servano la cittadinanza, 24 ore su 24, con servizi quali auditorium, sale riunioni (utilizzabili, per esempio, anche dai comitati di quartiere), asili, centri ricreativi, mense, bar, ecc. MASTERPLAN. Il concetto fondamentale del masterplan è che nulla viene demolito, di intervenire sull’area RECUPERANDO PRIMA QUELLO CHE C’E’ e di creare luogo manipolando i programmi. Il masterplan lavora su ambiti strategici: 1.Infrastruttura, la realizzazione della connessione con la circonvalazione, la riorganizzazione strategica delle fermate tramviarie, rendendo quest’area più operativa dal punto di vista dell’insediamento produttivo e della fruizione collettiva. 2.Parco: il parco è fatto non solo di elementi naturali ma anche di elementi produttivi e di servizio e per la logistica. 3.Manufatti industriali dismessi: Reggiani, ex-Ote, Italcementi e in futuro anche Omba. 4.Architetture urbane, nuove forme della produzione. Abbiamo pensato alla possibilità di inserire nuove forme produttive in altrettanti spazi ad essa destinati. 5.Facilities e strutture. il parco è attrezzato con le facilities più sopra citate, quelle utilizzabili anche dai comuni cittadini. queste sono state localizzate nei punti di maggior fruibilità dal punto di vista dell’accessibilità e logistica, movimenti di camion ecc. il parco, soprattutto nel suo limite con via Serassi, è anche spazio per i contenitori produttivi e logistici oltre che per servizi come parcheggi minimi ecc. Via serassi verrebbe dunque raddoppiata, in caso di necessità, permettendo l’espansione produttiva nelle vicinanze dell’ex-Ote. I due temi approfonditi in questo progetto sono l’ex-Ote e il parco. Ci siamo soffermati sul parco come sistema. La ristemazione dell’ex-Ote, meglio la nuova Ote. VUOTO come SFONDO, come miscela che collega. Il parco è concepito come infrastruttura verde capace di accogliere nuovi servizi a piccola scala che fanno parte del paesaggio, un’infrastruttura che lavora con la scala locale. Nel tempo, nel caso ci fosse una riduzione produttiva il progetto non da luogo a spazi non utilizzati, perché questi spazi vengono assorbiti dal parco stesso, trasformati, per esempio, in luoghi per attività sportive. Abbiamo progettato e pensato alla riduzione della produzione (dunque alla decrescita). Il progetto del parco da luogo a scenari evolutivi e il paesaggio diventa l’infrastruttura stessa di questa crescita-decrescita; inseriamo teche, elementi paesaggio, a disposizione dello sviluppo di servizi per nuove forme di produzione oltre che per il sociale. Step 0. Qui possiamo vedere un esempio di infrastruttura verde con nuovi micro servizi, pensati all’eventualità di una decrescita, sia per contesti recessivi che di cambiamenti produttivi, visti anche come opportunità. Non si da luogo, dunque, a vuoti ma a reintegrazioni e spazi a disposizione delle collettività : sport, spazi per concerti ecc. In poche parole: IL PROGETTOèIL PROCESSO. Gli schemi di riduzione-evoluzione descrivono step zero, l’area vuota. secondo scenario: nuova produzione; terzo scenario: la riduzione e restituzione di questi spazio alla città con attrezzature leggere (sportive, culturali, sociali ecc.). VUOTO potenziale. Nei vuoti potenziali saranno inseriti i programmi cosidetti stabili, a disposizione del capitalismo produttivo e dell’urbanità. Proponiamo qui un grande manufatto, innestato all’interno dell’ex-Ote, rinominata NUOVA Ote, che rende ancora più evidente l’assonanza con il Nolli, il Sant’Agnese, le architetture urbane, i grandi vuoti… andiamo a fondere architettura urbana e nuove forme produttive. L’Ote condensa in tal senso i temi del workshop. una grande croce di nuova costruzione, segno territoriale visibile anche da Bergamo alta, sulla stessa sponda paesistica del KM rosso, non messa a caso, ma legata alla logica viario-logistica, alle necessità delle nuove forme produttive. Possiamo immaginare il piacere e la qualità di questo nuovo spazio urbano, insolito ma di grande evocatività. Abbiamo riorganizzato le fermate del tram, in modo da strutturare un’esperienza spaziale nuova. Immaginiamo di scende dal tram diretto ad Albino o alla Val Brembana, sopra una pensilina, coerente al nuovo sistema architettonico compiuto, in una grande e vasta piazza pubblica di nuovo tipo, con, nel doppio sfondo, il parco-infrastruttura da un lato, e quest’enorme manufatto. In alto, la connessione di una grande piattaforma su cui si muovono persone, bambini, lavoratori, donne con i sacchi della spesa che attraversano due parti della città, prima tagliate dai due binari. Contesto ampio, siamo già dentro un sistema urbano di nuova forma, fatto di servizi fisici ma anche immateriali, rappresentativi, evocativi, simbolici. Il nuovo edificio, con questo procedimento, crea un doppio asse ortogonale che interseca l’edificio dismesso, strutturando connessioni e un grande sistema pubblico-privato. Come già detto, al piano superiore, una piattaforma-ponte con intrecci di lunghe passerelle (promenade architecturale), penetra all’interno della OTE, strutturando programmi stabili : quali tipologie di residenze innovative, con tagli particolari. alloggi temporanei low cost. E cosa diventa l’OTE? l’ex fabbrica ora è un grande edificio vuoto ma pieno di una nuova spazialità, con un grande sistema croce. Le piattaforme sono occupate da parallelepipedi e piani in vetro regolati per un’ottimizzazione del confort termico in cui sono collocate, oltre alle residenze speciali, ristoranti collettivi, bar, auditorium, asilo nido, lavanderie pubbliche, spazi ricreativi per bambini, centri di aggregazione, che fanno rivivere questa parte di città. Compenetrazione suggestiva di spazi in cui quello che era un interno diventa un esterno. Questo progetto non vuole essere una risposta perfetta. E’ l’esplicitazione di una proceduralità e di un sistema, con, nello sfondo, i grandi temi, attuali, posti dalla questione di uno spazio-parco visto come condensatore sociale e produttivo, di un altro tipo di città possibile e del rapporto fra questa e il fondamentale tema della produzione, chiave di molte delle nostre sfide future. Questo progetto nasce e cresce anche alla luce dei temi posti dal nostro tempo, vuole essere traccia procedurale di un pensiero che abbia il respiro delle sfide che vive il nostro pianeta, le nostre città, e in special modo il nostro paese. Paese che, in questi giorni, trascorsi protetti nella meravigliosa bolla di questa interessantissima Scuola Estiva, ha vissuto – e vive – momenti drammatici – forse decisivi – dal punto di vista del suo futuro economico-produttivo e, dunque, sociale.

Michele Luca Galella, Michelangelo D'Ettorre, stefania gruosso, Gregorio Carboni Maestri Architettura, Isabella Daidone , Virna Nannei, mara pietta, Francesca Pignatelli, Fabio Alessandro Fusco — Strategy of Void

Bergamo stem

QUALCHE NOTA AGGIUNTIVA Gregorio Carboni Maestri Viviamo un tempo speciale, di cambiamenti e tensioni. Il tema attorno al quale si concentra la sostanza di tali mutamenti è parte del tema posto da questa Summer School: la produzione. Il luogo nel quale si plasmano: il territorio urbano. Attorno alla produzione, quella industriale, di beni e cose, la nostra “Repubblica fondata sul lavoro” ha avuto il polso della sua evoluzione e il suo riscatto post-bellico. Il “made in Italy”. Negli ultimi decenni il nostro sistema economico, la cultura politica, ha dato le spalle a questo settore. Il sistema paese ha cercato di bypassare, sempre più, la produzione di cose e beni come mezzo di produzione di ricchezza, sviluppo, lavoro e benessere voltandosi verso altri modi. Con altrettanta forza, si è cercato di cancellare tracce della presenza della produzione. Si cancellano testimonianze del luogo della produzione, ghiotte zone speculative. Perdita di opportunità. A Milano come altrove, si fa ricorso alla piazza pulita, l’ex Falck viene venduta a cubi di acciaio alla Cina, vengono distrutte l’ex Alfa Romeo-Portello, ex Ansaldo, ex Pirelli, ex Farmitalia-Carlo Erba, ... Si lasciano poche tracce, la ciminiera, spesso nell’angolo, fra parcheggio e centro commerciale o la facciata con qualche shed, a “moh d’industria”, come in un fumetto Disney. Non si riesce a concepire un processo che non sia il costoso riempimento totale di un edificio forse perché non si riesce a ipotizzare una spazialità diversa (e un modello urbano) diverso. I luoghi di produzione, invece, non vengono quasi mai “trattati” come opportunità di sviluppo di pezzi di città, dentro di essa, con essa, e si schiva il tema preferendo questioni più“sexy” dimenticando il capannone e lasciandolo lì, nei sobborghi, come figlio minore di una città fatta a misura di terziario e di quella società dello spettacolo che è stata la rovina non solo dell’economia ma anche del nostro stesso Mestiere. Ci siamo – consciamente, volontariamente – allontanati dalla realtà economica per raccontarci favole che ci permettessero il compito meno faticoso di “fare i compiti in classe”. Ci azzardiamo qui a fare un parallelo che sarà forse criticato, ma che pensiamo di fondamentale importanza, perché alla base del nostro atteggiamento progettuale. Pensiamo che la pianificazione urbana e la progettazione, il mondo della cultura, ha fatto lo stesso parallelo processo di allontanamento dalla realtà. Ci siamo illusi – come il mondo economico – di poter ottenere gli stessi risultati con processi che non tenessero conto dei parametri reali – a volte un po’ meno “sexy” di quelli “à la page” o “sulla cresta dell’onda”. Se l’economia ha dismesso interi settori economici strategici nazionali – in modo volontario (!) – (New Economy, processi di finanza creativa, gioco in borsa, subprimes, speculazioni, prima fra tutte, edilizia, con l’appoggio anche di noi architetti) il mondo dell’architettura si è allontanata dagli elementi primari, fondamentali, fondativi : la realtà della città, dei processi che la determinano. Una straordinaria, ricchissima – indispensabile – foisonnement di sperimentalismi fini a se stessi, processi dall’onestà intellettuale dubbia, Starsistem, appoggio ai processi più sopra citati. Pensiamo che sia giunto il momento di riprendere il contatto con questo Reale, in economia come architettura e nel nostro rapporto con le cose dell’architettura. Con ciò, pensiamo che dal reale si debba pensare a un mondi nuovi. Pensiamo che nella realtà ci sia un vasto campo di Utopizzazione, sperimentazione e creazione possibile. Anzi, pensiamo che la realtà sia l’utopia più bella. Le pagine dei quotidiani di questi giorni ci indicano, ad una lettura anche distratta, il quanto economia, città, pianeta, siano ormai in un punto di non ritorno per quanto riguarda l’evoluzione delle cose. E non è necessario capir di cose economiche – e di città– per capire quanto la situazione sia grave. Colpisce, inoltre, l’omnipresenza affascinante del tema industriale-produttivo nelle pagine dei quotidiani e riviste bergamasche. Del tema “lavoro”, della coscienza che questo sia la chiave di un futuro, per quanto nella smarrita incomprensione del “verso dove” andare. Pensiamo che prima che da architetti, da dottorandi, da uomini di scienza e di arte, da economisti o imprenditori, da politici e intellettuali, questo debba essere un compito di cittadini che tengano al proprio paese, alle proprie città. Cosa significa partire dal reale? Vuol dire non raccontarsi bugie e guardare la realtà complessiva in faccia, con coraggio, senza fantasticare in soluzione magiche o settori produttivi “nuovi” che calino come per magie dal cielo, vuole dire capire quale sia il vero stato economico del paese. Alcuni dati: ottocento capannoni sfitti solo nella Bergamasca – declino economico – percentuali di edificato speculativo che non saranno venduti ed affittati per anni, Recessione lunga, città sempre più povere, disorganizzate, guerra fra poveri, disoccupazione crescente, processi produttivi, Sistema Paese del tutto inadeguati alle sfide economiche internazionali). Vuol dire ricorrere meno alla tabula rasa, vuol dire meno asservimento agli interessi particolari e più a quelli collettivi, vuol dire che in una sede come questa, i temi debbano essere sviscerati in senso assoluto, con i confini scientifici della disciplina, per gli interessi del comune, vuol dire fare lo sforzo dell’integrazione delle realtà già presenti sul suolo – non in senso romantico – ma come assunzione di opportunità e di investimenti da utilizzare (ergo: essere meno diligenti nella spesa), vuol dire immaginare mondi, città, che siano territori ricchi e arricchenti di felicità, dunque che “sentano”, nel disegno, nella cultura che li ha prodotti, l’aria della democrazia che li ha prodotti. Vuol dire non tapparsi gli occhi e avere il coraggio di deformare realtà che riteniamo nefaste per produrre reali avanzamenti. E’ sapere che non possiamo – ripeto –NON possiamo continuare a costruire indefinitamente e a “crescere” (in senso classico – cioè altamente inquinante e consumistico) ancora per molti decenni. E’ sapere che se vogliamo ragionare seriamente su questi temi, dobbiamo accettare che la cosa apparentemente più noiosa e meno “modaiola”, cioè la produzione – quella che si fa solo e soltanto in uno spazio chiamato capannone, è la chiave di qualsiasi sviluppo, per quanto eco-compatibile e ambientalmente “friendly”. E che il ripensare a come questa si relaziona col territorio, con il sistema socio economico, è per lo meno tentare di affrontare il tema posto. Non si può sempre bypassare il tema del capannone, rilegandolo ai zonnizatori e alle leggi del mercato (cioè ai sobborghi e ai lati delle autostrade) e non si può non rivoluzionare, ripensare il processo del sistema paese nel suo complesso, se non ripensiamo a tutta la società, alle sue REALI necessità: asili nido gratuiti e disponibili per mamme e donne lavoratrici, diminuzione dello scarto vergognoso che c’è fra uomo e donna nella nostra società maschilista, fine dei luoghi comuni sull’indispensabilità dell’automobile e delle infrastrutture-traumatiche come unico mezzo di sviluppo territoriale e industriale. In tal senso, una delle prime cose fatte dal nostro gruppo, è aver tentato di contattare le associazioni e realtà territoriali del quartiere per comprenderne le reali necessità. Senza parlare dell’assioma industria-produzione-inquinamento o della dicotomia produzione-città, come se questa non fosse mai nata e cresciuta dentro e assieme ai cittadini. Riteniamo che la città debba e possa di nuovo essere spazio di accoglienza di alcune produzioni, e non più solo di spettacolarizzazione della società del consumo e del terziario. Che il tempo dell’aumento esponenziale della benzina renderà sempre più necessario pensare a un ritorno verso la densità urbana per limitare spostamenti dei lavoratori. Che la società debba ripensare i suoi modelli di sviluppo, con la DECRESCITA, di ridistribuzione rapida, reale, profonda, pensata e progettata, della ricchezza economica e culturale (solo così ne creerà di più, SOLO così) diminuendo i processi di accumulo (l’Italia ha oggi una piramide delle distribuzioni economiche simile a quella dei paesi dell’ex terzo mondo!) e di disequilibrio urbano. Pensiamo che una città ripensata, ecologica, democratica, aperta, più umana, che una società in cui la collettività si aiuta e porta con le proprie mani – attraverso la rappresentatività di tale democrazia nella bellezza del suo suolo – sia la vera contemporaneità, che questo sia il progetto del nuovo tempo, e che questo possa trovare nelle classiche procedure dell’architettura, nello spazio, nei muri, nei “vuoti” e nella forza del Mestiere la chiave di un successo necessario. Il pianeta lo chiede. Una città così, solo questa, potrà dare la scintilla per fare esplodere un nuovo tempo di fiducia, entusiasmo, creatività, solidarietà e arricchimento collettivo, anche se nella decrescita dei processi distruttivi. Vuol dire FARE CON CIò CHE SI HA, spendendo il meno possibile (il che non significa non spendere nulla, o non spendere tanto – ma bene) – lo diciamo in senso assoluto e teorico, più che economico, spendere, se è per il bene, è sempre buono, usando meno suolo, facendo i conti con il passato. Vuol dire no a progetti calati dall’alto, a temi calati a pennello per poter fare il progetto “ad hoc” senza preoccuparsi del tema del Reale (sarebbe come, in un workshop sulla residenza, scegliere la classe sociale e il mestiere dei residenti, in modo da poter fare loft o residenze formalmente più divertenti…). Pensiamo che l’architettura debba riflettere il proprio tempo. Senza automatismi ingenui, ma con coraggio. E’ necessario dire qualcosa sul tessuto urbano, sulla questione delle archeologie industriali, dei capannoni vuoti, del rapporto formale, architettonico, spaziale, proporzionale, simbolico, con il nostro territorio umano prima che geografico… Non pensiamo che si possa, in tal senso, inventarsi attività economiche che non ci sono, che scarseggiano o che scompaiono giorno dopo giorno e che non ci si possa improvvisare. Equivarrebbe, nel caso dei confindustriali, dei poteri pubblici, dei sindacati e degli economisti, a mettersi a progettare case, quartieri, città. Pensiamo, invece, che con assoluta coscienza sullo stato delle cose, dei processi economici, dei diversi fattori di sviluppo, si debba dare una risposta architettonica concreta alla questione produttiva e al suo rapporto con il territorio con un plusvalore che sia reale oltre che simbolico e spaziale, oltre che geografico. Parlando e dando risposte per quanto concerne le cose e l’organizzazione delle cose della città, del suolo, dei rapporti spaziali fra le persone, e questo riguarda anche le assenze, i freni, i “non fare” e i “non lì” dell’architettura. Non si tratta, qui, secondo noi, di fare un progetto scolastico puntuale, che si fermi all’attuale tema e luogo. E pensiamo che in ogni risposta, che ovviamente deve essere singola e singolare, debbano essere contenuti, soprattutto in temi come questi, vaste considerazioni programmatiche sulle cose della città, dell’architettura e dell’Uomo.

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area di intervento

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area di intervento

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industrial stem

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learning from nolli

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masterplan

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modello del masterplan

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modello masterplan

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modello masterplan

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modello masterplan

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modello masterplan

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modello masterplan

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modello masterplan

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modello masterplan

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vista ex-Ote

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vista del parco

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vista ex-Ote

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sezione ex-Ote

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prospetto ex-Ote

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sketch ex-Ote

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sketch ex-Ote

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sketch ex-Ote

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sketch ex-Ote

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sketch ex-Ote

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tavola 1

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tavola 2

Michele Luca Galella, Michelangelo D'Ettorre, stefania gruosso, Gregorio Carboni Maestri Architettura, Isabella Daidone , Virna Nannei, mara pietta, Francesca Pignatelli, Fabio Alessandro Fusco — Strategy of Void

tavola 3

Michele Luca Galella, Michelangelo D'Ettorre, stefania gruosso, Gregorio Carboni Maestri Architettura, Isabella Daidone , Virna Nannei, mara pietta, Francesca Pignatelli, Fabio Alessandro Fusco — Strategy of Void

tavola 4

Piazza Santa Croce | Semestene - Giacomo Mulas, Grazia Cocina

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Lo scopo del bando di concorso è quello di valorizzare un’area posta all’interno del centro storico di Semestene e caratterizzata dalla presenza dei resti della antica chiesa di Santa Croce, ricollocando nel sito, previo accurato restauro, i superstiti portali lapidei che al momento si trovano installati nel giardino della Soprintendenza BAPSAE di Sassari. Il progetto nasce dal presupposto che non esiste spazio se non esiste una sua definizione e non esiste porta (riferito ai portali della chiesa) che non necessiti di una parete da “bucare”. Il muro inserito dal progetto diventa elemento di ricostruzione della spazialità della chiesa (non del manufatto ma del suo calco in “negativo”), di diversificazione dello spazio della memoria da quello prettamente pubblico, di definizione dello spazio che necessità di tutela e controllo contro il tempo e contro il vandalismo, di “traccia” di una possibile area di scavo e cantierizzazione, di inglobamento delle necessarie dotazioni impiantistiche e dei cavedi tecnici, di composizione del percorso spaziale alla scoperta di questa storia e dei suoi elementi, di racconto grafico e scritto dei punti salienti della memoria. In un solo elemento architettonico vengono condensati tutti i concetti fondamentali della proposta progettuale: racchiudere, proteggere, raccontare, gerarchizzare, aprire, condurre, camminare, scoprire, nascondere.

Giacomo Mulas, Grazia Cocina — Piazza Santa Croce | Semestene

Giacomo Mulas, Grazia Cocina — Piazza Santa Croce | Semestene

Board 01

Giacomo Mulas, Grazia Cocina — Piazza Santa Croce | Semestene

Board 02

Giacomo Mulas, Grazia Cocina — Piazza Santa Croce | Semestene

Board 03

Centro civico comunale e riqualificazione dell’area urbana circostante. Villacidro - Claudio Pia, luca usai, Carmine Leone, Francesca De Angelis, Giuseppe Sciola, Emiliana Piras, Alessandro Piga, Efisio Denotti , Gianni Fois

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“[...] piccole case costruite con le pietre verdastre che scendono e quasi colano dal fianco della montagna come i semi da un frutto spaccato […]” Giuseppe Dessì, La frana, in Lei era l’acqua, cit. p. 160.

Claudio Pia, luca usai, Carmine Leone, Francesca De Angelis, Giuseppe Sciola, Emiliana Piras, Alessandro Piga, Efisio Denotti , Gianni Fois — Centro civico comunale e riqualificazione dell’area urbana circostante. Villacidro

dettaglio facciata

Non poteva che partire da una citazione di GIUSEPPE DESSÌ l’approccio al Progetto del Centro Civico di Villacidro: una citazione che da in pieno il senso del rapporto che esiste tra i villacidresi e i propri luoghi, queste genti e questi luoghi. Un rapporto che in poche parole esprime il senso di APPARTENENZA e testimonia la presenza delle MEMORIE che, permeando la matericità dei luoghi, restituisce in pieno il significato di paesaggio così come verrà definito dalla stessa “Convenzione europea del paesaggio” ovvero “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni.” Non sfuggiva a Giuseppe Dessì qual’è lo stretto rapporto che intreccia le vite degli uomini alla vita dei luoghi: questo rapporto non può quindi sfuggire nemmeno a chi si accinge a trasformare questa porzione del centro abitato di Villacidro che, pur inserendosi in un contesto fortemente urbanizzato, deve assurgere a monumento della stesso borgo per ciò che “conterrà” e per ciò che dovrà“ricordare”. A vederlo oggi, l’Orto Storico dell’ex Seminario Vescovile appare quasi come uno spazio di risulta: in realtà la zona di progetto per il Nuovo Centro Civico di Villacidro conserva molti dei tratti della storia cittadina, talmente EVIDENTI da essere quasi INVISIBILI. Nel momento in cui ci si accinge a far divenire questo spazio, in qualche modo nascosto alla vita dei villacidresi, centralità per la futura vita sociale, le aspettative riposte in questo intervento son molteplici così come grande deve essere lo sforzo per ottenere il massimo risultato. Affinché ciò avvenga l’esigenza è quella di saper leggere le potenzialità del luogo e seguire quanto tacitamente suggerisce. Ciò che per lungo tempo è rimasto occulto agli occhi di tutti sembra essere stato immune al passaggio del tempo e per questo foriero di memorie lontane. In questo senso, per quello che sarà il Centro Civico inserito all’interno del Parco Giuseppe Dessì, un lato all’apparenza negativo si trasforma in un punto di forza, capace di sintetizzare elementi propri sia del Parco che della filosofia dello scrittore. Non a torto ė bene supporre che un luogo di siffatta importanza conservi al suo interno un messaggio di continuità con la tradizione villacidrese, richiamando le peculiarità degli elementi agricoli, economici e sociali del contesto locale. Quanto finora è sopravvissuto al tempo come un’appendice di luoghi più importanti, deve acquisire protagonismo all’interno di un contesto urbano mutato, dando da una parte risposte a esigenze nuove e dall’altra rispettando i segni arrivati intatti fino ai nostri giorni. Questa sintesi è quella che porterà il Nuovo Centro Civico a comunicare col resto dei luoghi del Parco Culturale e del Tessuto Urbano in un gioco fatto di connessioni fisiche ma anche di rimandi visuali propri della MEMORIA COLLETTIVA villacidrese.

Claudio Pia, luca usai, Carmine Leone, Francesca De Angelis, Giuseppe Sciola, Emiliana Piras, Alessandro Piga, Efisio Denotti , Gianni Fois — Centro civico comunale e riqualificazione dell’area urbana circostante. Villacidro

Da una parte il sito oggetto dell’intervento presenta notevoli complicanze date da una COMPOSIZIONE MORFOLOGICA delle terreno ampiamente diversificata, con grandi differenze di quota sia in senso longitudinale che in senso trasversale: se sul primo la differenza di livello di 15 metri risulta recuperabile in maniera graduale, nel senso trasversale il salto ridotto a una media di 4 metri risulta più incostante e quindi difficilmente controllabile. Questa complessitàè ulteriormente incrementata dallo stretto rapporto che esiste con TESSUTO URBANO circostante, separato dal lotto di progetto da strade di piccole dimensioni. L’unico affaccio su gli ampi spazi del Parco Pubblico è limitato sulla piccola breccia prospiciente Piazza Rondò, che risulta ben poca cosa rispetto alle dimensioni dello stesso lotto e del complesso da realizzare. Dall’altra parte siamo di fronte a notevoli potenzialità dettate dalle persistenze: quello che a tutti gli effetti è un orto urbano, richiama fortemente quello che il legame di Villacidro con buona parte delle attività produttive che l’hanno caratterizzato da secoli. L’inserimento effettivo in un contesto urbano contribuirebbe a fare in modo che questi luoghi entrino a far parte della memoria collettiva, in modo da legare i luoghi agli incontri, che scaturendo dalle esigenze primarie di ognuno si cristallizzano in RELAZIONI IDENTITARIE molto forti. Succederebbe così soprattutto in un occasione come questa dove un orto, luogo di produzione legato alle attività primarie, non potrebbe che essere un centro consistente di rapporti locali: ciò che mancherebbe a questo luogo affinché possa fare il grande salto e divenire patrimonio dell’intera comunità sarebbe da una parte la possibilità di essere reso accessibile e fruibile, e dall’altra che la qualità degli stessi spazi sia incrementata. Perché ciò avvenga lo spazio deve essere epurato di tutte quelle superfetazioni inutili e ripensato in una gestione più ampia e accessibile, sia per le funzioni svolte al proprio interno, sia per quelle riferite al più generale contesto urbano. Il lotto di oltre 4.800 m², è compreso tra la via Carceri a Sud, la via Giovanni XXIII a Nord (sulla quale è disposto l’accesso principale) e la Piazza Rondò a Est che vedrà una nuova conformazione: da quest’ultima parte, come già detto in precedenza si crea il rapporto con il Parco Pubblico. Sul lato Sud-Ovest (prolungamento di via Carceri) si estendono i confini verso le proprietà private, mentre sul lato Ovest si estende il limite con il piazzale parcheggio del Centro Internazionale di Alta Formazione (ex Seminario Vescovile) e le Ex Carceri. L’andamento presenta per la maggior parte una discreta pendenza, risolta in diversi casi da terrazzamenti atti ad accogliere le piantumazioni per lo più da frutto.

Claudio Pia, luca usai, Carmine Leone, Francesca De Angelis, Giuseppe Sciola, Emiliana Piras, Alessandro Piga, Efisio Denotti , Gianni Fois — Centro civico comunale e riqualificazione dell’area urbana circostante. Villacidro

Trovandoci di fronte a un sito complesso, la chiave di lettura risiede proprio nel saper cogliere questa compenetrazione di elementi e sintetizzarla nelle nuove funzioni che il Bando di Concorso e il Centro Civico di per se richiedono. L’intento è quello di creare una struttura che nel colonizzare la porzione di territorio destinatagli, non ne stravolga l’assetto ma lo sappia REINTERPRETARE. Se le forti escursioni morfologiche del terreno, da una parte possono creare delle difficoltà dal punto di vista dell’accessibilità dei luoghi, dall’altra riportano al tipico modo villacidrese di relazionarsi alla montagna e saperla colonizzare, in modo che l’antropizzazione dei luoghi diventi di per se paesaggio. Così come le piccole strade attorno al lotto ci portano a una relazione diretta con il tessuto urbano prettamente residenziali e le sue dimensioni contenute. Il risultato del presente intervento pertanto non può essere un’imposizione del nuovo complesso sul vecchio impianto ma bensì una sintesi tra elementi vecchi e nuovi, per fare in modo che la trasmissione della memoria abbia una CONTINUITÀ SEMANTICA E FORMALE. Per questo, la gestione dei rapporti con il contesto circostante deve avvenire in forma diretta, affinché il salto di scala tra elementi agricoli, residenziali e rappresentativi non produca un trauma: trovarci su di un lotto chiuso ci impone di trattare quello che alla fine è un monumento alla vita sociale villacidrese alla stessa stregua delle preesistenze, evitando magniloquenze inappropriate e sterili. La scelta è quella di ripercorrere il salto di quota esistente facendo in modo che il riassorbimento sia graduale, da una parte realizzando un sistema di rampe e terrazze laddove, su via Carceri, si va a ricucire il rapporto diretto con il tessuto urbano più prossimo mentre, dall’altra, il complesso più imponente dell’auditorium viene spinto verso la zona di via Giovanni XXIII, riuscendo ad assorbire la notevole quota e mitigare il rapporto con gli edifici residenziali prospicienti. In mezzo viene collocato un parcheggio interrato di due piani accessibile dalla stessa via Giovanni XXIII. Questa strategia è frutto delle molteplici variabili sopra elencate e porta alla seguente sintesi: il leitmotiv dei terrazzamenti consente un recupero graduale del salto di quota, reinterpretando il sistema colonizzativo agricolo e consentendo il recupero gran parte delle coperture come superficie verde e pedonale, fungendo da matrice per la creazione di un parco diffuso integrato agli stessi elementi edificati; si è in grado di impostare l’area con una forte pedonalizzazione che investe anche la stessa via Carceri, creando un anello che coinvolgerà anche le ex Carceri e il piazzale dell’ex Seminario e trasferendo i flussi veicolari, da e verso il Centro Storico, sulla circuitazione via Parrocchia e via Giovanni XXIII, così come già previsto dal riassetto della Piazza Rondò. La gestione dell’ingresso del parcheggio consentirà di scaricare il flusso veicolare dalla stessa Piazza Rondò, garantendo scorrevolezza; il rapporto tra i volumi da la possibilità di creare una piazza d’accesso principale che affaccia direttamente a livello su Piazza Rondò e immette negli ambienti rappresentativi del complesso, come se si trattasse di una spaccatura nella montagna: la gradualità dei salti imposti ai vari volumi farà si che il rapporto tra la scala umana e quella edificata non sia opprimente, ma al contrario consenta un rapporto visivo diretto con il declivio e la stessa montagna; la stessa progressione del salto volumetrico, consentirà di scalare le quote e riportare un’altezza più contenuta dell’auditorium nell’affaccio verso via Giovanni XXIII, rapportandola direttamente a una scala domestica. Il corpo dell’edificio viene quindi frammentato, distinguendo il basamento in stretto rapporto con i terrazzamenti, dal coronamento in stretta relazione col tessuto circostante: in tal senso il trattamento delle coperture richiama la complessità della struttura urbana circostante, pur semplificandola.

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L’obbiettivo del progetto è quello di restituire alla popolazione un’area nascosta di Villacidro, attraverso il recupero del preesistente e l’introduzione del concetto di qualità dello spazio come fondamento dell’intervento, tramite anche i nuovi elementi edificati. Attraverso l’attenta lettura delle analisi sopra riportate, le scelte di approccio progettuale mirano: a reinterpretare i tratti antropici esistenti e procedere alla resa pubblica dell’area con la sintesi della nuova edificazione, risolvendo la composizione architettonica in un elemento omogeneo senza soluzione di continuità; creare laboratori produttivi che siano a servizio diretto del Centro Civico, ma che possano anche essere inseriti in percorsi paralleli in grado di creare ricchezza culturale ed economica per il paese, favorendo e incentivando l’occupazionalità lavorativa; dare vita a spazi aperti al pubblico che siano fulcro per scambi culturali e sociali attraverso la creazione di situazioni di collegialità non sempre o non per forza connesse con le attività del Centro Civico; pedonalizzare fortemente l’area e fare in modo che il verde pubblico sia la testimonianza diretta e indiretta di quanto già esistente, invadendo il sistema e rendendolo fortemente permeabile sia in termini di accessibilità che in termini di flussi: il Centro Civico come luogo vivo durante tutta la giornata. Il progetto si sviluppa secondo le linee guida stabilite dal bando per quanto riguarda le funzioni richieste per il Centro Civico: la volontà di sintetizzare elementi edificati con elementi urbani ha portato a una gestione equilibrata dei volumi, evitando di creare un fronte compatto su Piazza Rondò. Per quanto riguarda gli spazi circostanti si è scelto di pedonalizzare l’area allargando il progetto e gli spazi pubblici oltre l’area a diretto contatto con l’edificio. La scelta risiede nella convinzione che l’intervento così come richiesto dal bando non possa non coinvolgere le zone limitrofe (S e G del PUC di Villacidro), riorganizzando in modo coerente tutte le aree verdi, i parcheggi, i percorsi pedonali e le altre funzioni. In questo modo il progetto investe organicamente tutte le aree, anche quelle a ridosso dell’ex Seminario e delle ex Carceri, consentendo un collegamento diretto.

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Lo spazio pubblico in progetto viene ridisegnato partendo dalle preesistenze, reinterpretando le linee dei terrazzamenti e utilizzandole per ricucire il legame tra il sistema viario circostante, la morfologia del terreno e quella che sarà la parte edificata: il fine ultimo è quello di ottenere un’area organica e integrata, facendo si che l’edificazione delle nuove funzioni non comprometta l’insieme facendolo risultare un’addizione di spazi di risulta. Gli spazi di servizio, per lo più utili alla soluzione di connessioni verticali in condizioni obbligate, sono collocati in zone marginali e pur sempre a snodo tra parte edificata e sistema viario, o parte edificata e sistema parco. La zona dei terrazzamenti risulta quindi lo snodo principale tra la Piazza Rondò, la parte edificata e il Sistema Parco: oltre al recupero graduale della quota, capace di assorbire nel sistema anche il volume della caffetteria-bookshop, i risultato è quello di accompagnare il visitatore con una serie di zone verdi a differenti altezze che risultano anche zone intime di sosta e ristoro. L’ulteriore vantaggio è quello di conservare porzioni di terreno già esistenti, in grado di salvare diversi esemplari di alberi nel proprio sito di piantumazione. Le altre essenze arboree verranno recuperate in altre posizioni: gli arbusti verranno integrati nella copertura del parcheggio, mentre le specie da frutto e di piccole dimensioni, potranno essere recuperate nella copertura della parte bassa dell’auditorio; le restanti andranno a completare l’ORTO URBANO. Il Sistema Parco sopra citato consisterà nella sostanziale risistemazione della copertura del Parcheggio e della contigua porzione di terreno: la sequenza di spazi aperti non sarà altro che la naturale evoluzione del sistema dei terrazzamenti, che culmineranno nel piazzale dell’ex Seminario. Una successione di piattaforme, collegate con rampe in pendenza che seguiranno l’andamento del terreno, che si tradurranno in una successione di spazi dalle molteplici funzioni aumentando la permeabilità dei luoghi sia in connettività urbana che in senso idrogeologico. Avremo quindi zone di sosta e ristoro, Orto Urbano, bocciodromo, tavoli da ping pong all’aperto e playground per i più piccoli. Questa serie di spazi consentirà il recupero all’uso pubblico dei cittadini dei preziosi e grandi spazi dell’orto, per farne un luogo di incontro e aggregazione, un laboratorio attivo di cultura e un punto di riferimento per la ricerca del benessere sociale e di qualità della vita: attività che possono commistionarsi e consentire ai cittadini di passare più tempo insieme riappropriandosi di un luogo perduto tramite anche l’attività fisica e impegnata della coltivazione, esponendo anche i più giovani al contatto con questa realtà. L’impostazione è quella atta a far divenire questi luoghi, non solo contorno del Centro Civico, ma interpreti diretti della vita cittadina che in quest’area si svilupperà. Restituire alla città un nuovo spazio pubblico, un grande giardino commissionati a zone di coltivazione come gli orti e piccoli frutteti a ridosso dell’ex Seminario: oltre 2500mq quadri di “estensione” del Parco Pubblico già esistente che salgono a quasi 3000mq se si sommano i le coperture verdi degli ambienti a servizio dell’auditorium, coltivabili con essenze di piccolo fusto o erbe officinali. Il risultato è quello di poter pensare all’edificio delle EX CARCERI come piccola trattoria ed emporio di prodotti a filiera corta, in grado di promuovere anche i prodotti coltivati nelle campagne villacidresi e, perché no, nello stesso Orto Urbano. In questo senso, attraverso un’attenta programmazione,i laboratori a disposizione dell’auditorium potrebbero essere messi a disposizione dei cittadini, della loro creatività, del loro desiderio di partecipazione e del loro benessere sostenibile, dando vita a corsi di artigianato, multimediali e di ciclofficina, per fare degli esempi. Si tratterebbe alla fine di un ecomuseo urbano, dove l’oggetto dell’esposizione é la stessa vita sociale villacidrese. Il Nuovo Centro Civico sarà quindi uno spazio che farà vivere insieme innovazione e tradizione, conservando intatta la natura e particolarità del borgo, ma utilizzando anche le tecnologie più avanzate, disponibile a sperimentare nuove RELAZIONI CON IL MONDO AGRICOLO, avamposto e ponte di superamento dei confini mentali e fisici che separano la vita cittadina e moderna dalla campagna, riavvicinando le generazioni vecchie e future a una tradizione in via di estinzione e ormai quasi sconosciuta. In tal senso sarà possibile utilizzare gli oltre 900mq del piazzale di accesso come estensione della stessa Piazza Rondò, integrando gli spazi utili sia per piccoli avvenimenti fieristici stagionali, sia come prolungamento dell’AREA MERCATALE a cadenza settimanale. I visitatori sono così portati ad addentrarsi in tutto il complesso in più occasioni, entrando a contatto con i molteplici eventi. Anche per questo motivo si è cercato di distribuire le varie attività su tutto il lotto in modo da incrementare e potenziare i gli scambi sociali e di interesse

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Il sistema edificato si sviluppa assimilando gli stessi allineamenti che hanno portato alla generazione dei terrazzamenti: lo stratagemma ha consentito oltre che raggiungere una coerenza compositiva degli spazi, connessi gli uni con gli altri, di risolvere il rapporto con il contesto urbano, scomponendo il volume di un edificio così importante in elementi più prossimi al PAESAGGIO RESIDENZIALE che lo circonda. La MONUMENTALITÀ dell’edificio, nei termini di rappresentatività e di testimonianza viva, è restituita tramite il sistema di facciata: i muri in pietra del basamento, che ricordano le sistemazioni agricole proprie delle coltivazioni in quota, vengono sovrastate da un volume più puro e compatto dotato di una pelle esterna realizzata con pannelli di cemento fibrorinforzato. Questi ultimi saranno realizzati tramite casseformi di tronchi di leccio: una facciata monumentale come testimonianza di quello che per tanti secoli è stato un grande patrimonio per la comunità villacidrese. Tanti boschi sacrificati in buona parte per il sostentamento delle miniere e delle fonderie oggi scomparse, e persi negli ultimi anni a causa di incendi dolosi. Quegli stessi boschi che sono stati per innumerevoli generazioni fonte di sostentamento per tante famiglie che a quel patrimonio legano ricordi di vita domestica non troppo lontani. Quei legni che un tempo erano principale fonte di legnatico, oggi imprimono la loro presenza su quello che sarà uno dei luoghi nevralgici della vita sociale di Villacidro rievocando il rapporto della cittadina con la natura. La gestione dei volumi tra i terrazzamenti e il corpo di fabbrica dell’AUDITORIUM creerà una sorta di fenditura nella montagna che inviterà gli utenti ad inoltrarsi nei luoghi, quasi ad esplorarli come ambienti intimi e mai troppo conosciuti. È qui che si genera lo spazio del Foyer che distribuirà agli altri ambienti dell’auditorium: la biglietteria, il guardaroba, e i servizi, oltre che l’ingresso alla platea. Il funzionamento è simile a quello di un patio, illuminato dall’alto da un maestoso lucernario e nei giorni di attività consente di comunicare con la caffetteria-bookshop e con il parcheggio. Nei giorni di inattività la connessione è comunque garantita, rendendo il parcheggio e la caffetteria funzionanti durante tutto l’anno. Accessibile sempre dallo snodo del Patio, al piano primo troviamo invece la sala riunioni e il locale impianti, in grado di scambiare teoricamente sulla parte retrostante di via Giovanni XXIII, esposta oltretutto a Nord. Tutti i locali richiesti dal bando a servizio della scena si trovano invece nella parte del basamento a ridosso della Piazza Rondò e da là hanno accesso esclusivo, così come la gestione del carico-scarico.

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La proposta mette a disposizione un sistema di flussi in grado di consentire l’accesso alle varie aree in modo agevole sia per quelle strettamente pertinenti il Nuovo Centro Civico, sia a quelle direttamente e direttamente correlate: le ex Carceri, il palazzo Vescovile e lo stesso Centro Storico. Il tutto sia per spostamenti carrabili ma soprattutto per quanto riguarda quelli pedonali. Il progetto prevede un percorso carrabile che arriva direttamente al fronte dell’edificio facilitando le funzioni di carico/scarico, ma garantendo anche l’accesso ai mezzi per questioni di emergenza. L’accessibilità pedonale è ricercata su tutto il complesso ed è raggiunta su quasi tutte le zone. I percorsi, alternano fasce di pavimentazione a zone di verde, sposando la filosofia generale del progetto come richiamo alla cultura dei campi e come episodi di relax urbano.

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SOLUZIONI TECNICHE, MATERIALI IMPIEGATI E CENNI DI SOSTENIBILITÀ Per quanto riguarda la costruzione del Nuovo Centro Civico Comunale, l’indirizzo è quello di utilizzare una struttura mista: prevalentemente sistemi di costruzione intelaiati in calcestruzzo per la zona del parcheggio, da utilizzare anche come cuscinetto per la zona a monte da proteggere contro eventuali scivolamenti dei volumi di terreno sottostanti l’Ex Seminario; sistemi tradizionali misti al calcestruzzo per il sistema dei terrazzamenti a ridosso della via Carceri, per il colme della caffetteria e per le zone a servizio della scena; sistemi in legno a secco del tipo x-lam a pannelli portanti massicci, travi lamellari ed elmetti in acciaio, per il nucleo centrale foyer-auditorium, in grado di consentire notevoli luci. Gli elementi lapidei del basamento del complesso, quando non sono direttamente strutturali, vengono applicati con metodo tradizionale, mentre gli elementi prefabbricati del livello superiore già descritti in precedenza, verranno montati a secco, formando una facciata ventilata in grado di proteggere il volume principale e i grandi spazi interni dagli irraggiamenti eccessivi che il grande piazzale d’accesso comporta. La struttura sarà rivestita con dei pannelli sandwich coibentati, per poi applicare il sistema di rivestimento che prevede la posa di pannelli in calcestruzzo fibrorinforzato, assemblati tra loro mediante giunto piatto laterale con fissaggio a scomparsa. L’ancoraggio alla sottostruttura avviene tramite speciali elementi di fissaggio in acciaio inox. I pannelli saranno posati verticalmente per file successive realizzate da sinistra a destra, con dimensioni 1,20ml di larghezza per 1,20ml di altezza, in composizione verticale variabile fino ai 6ml. Il sistema è adatto a qualsiasi condizione climatica e di vento. I pannelli utilizzati in facciata sono caratterizzati dal calcolo modulare caratteristico ottenuto da legno di leccio locale. L’isolante ipotizzato è il sughero di produzione regionale, o in alternativa la lana di pecora autocton: entrambi permettono di ottimizzare le prestazioni termiche e foniche degli elementi, oltre che contribuire allo sviluppo dell’imprenditoria locale. La copertura dell’edificio è di due tipi: piana per le parti del basamento (caffetteria-bookshop e servizi alla scena), con la possibilità di creare un’ampia copertura verde coltivabile; a falda discontinua per il livello superiore con struttura reticolare a capriate, solai in lamiera grecata, pannelli sandwich coibentati con finitura in zinco verniciato. La modularità in sede di sviluppo del progetto consentirà un inserimento integrato nel disegno architettonico del lucernario di copertura ed eventualmente dei pannelli fotovoltaici. L’utilizzo della struttura reticolare è dovuto dalla possibilità di realizzare una copertura con una luce lorda di 12 ml con elementi molto piccoli e leggeri, dando la possibilità alle installazioni di passare nei vuoti strutturali caratteristici. Gli infissi sono in alluminio a taglio termico. Per la pavimentazione dei percorsi pedonali è stata confermata la pavimentazione tipica usata a Villacidro, dando spazio in alcuni casi a pavimentazioni più permeabili, come le zone verdi e i pavimenti drenanti dei playground o i terrazzamenti in decking per esterni. Questi tipi di pavimentazione permettono il passaggio dell’aria e dell’acqua sotto la pavimentazione: così facendo agli alberi è garantito maggior flusso idrico e un buon spazio di radicamento di cui hanno bisogno per crescere a grandezza naturale, visto che una superficie porosa ammette aria vitale e acqua alla zona radicale. Inoltre sono un’ottima soluzione dal punto di vista ecologico sostenibile.

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PARIS MONTMARTRE MIXED USE - BABIN+RENAUD

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MIXED USE IN PARIS : 84 DWELLINGS UNITS + SOCIAL CENTER + DAY NURSERY + PUBLIC LIBRARY + COMMUNITY CENTER

BABIN+RENAUD — PARIS MONTMARTRE MIXED USE

Profoundly mixed, this vast operation combines briefs for proximity, public housing and private apartments but also several demolitions and reconstructions. The latter had an impact on the agency’s project brief, for the inhabitants of one demolished high-rise by the périphérique were rehoused here, whereas the community center and the library are reconstructions. Delivered in January 2014, the building contains 84 accommodations and four public facilities: a day nursery, a library, a community center and a social center. The main issue was to speak to the city in an environment highly influenced by its proximity to the périphérique, source of sound and chemical pollution.

BABIN+RENAUD — PARIS MONTMARTRE MIXED USE

The architects decided to combine a sequence of quality entrances for the inhabitants while maintaining full opening to the facilities along the avenue. Organizing into blocks thus made it possible to differentiate each facility by alternating empty spaces directly above which entrances to the accommodations were placed and recessed from the street. The building is composed of four blocks and three empty spaces through which extensive exterior spaces were developed. Walk-through terraces, protected from the noise of the périphérique by glass partitions, have been located both on the ground level and in the upper floors. This singular location is underlined by its slender volume which highlights the corner and gives an urban character to a building that is nonetheless very contemporary.

BABIN+RENAUD — PARIS MONTMARTRE MIXED USE

The project meets the strict environmental requirements as seen by its being awarded various certifications, i.e. Habitat & Environnement A-profile, Low-energy consumption building and Plan Climat de Paris. This pioneering building in this neighborhood promises to become one of the area’s most important landmarks while offering its residents comfort of use removed from the environmental drawbacks that continue to exist.

BABIN+RENAUD — PARIS MONTMARTRE MIXED USE

BABIN+RENAUD — PARIS MONTMARTRE MIXED USE

BABIN+RENAUD — PARIS MONTMARTRE MIXED USE

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BABIN+RENAUD — PARIS MONTMARTRE MIXED USE

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Riuso ex Proiettilificio Ansaldo a Fiumara, Genova - Negozio Blu Architetti Associati, Gustavo Ambrosini, Cristiana Catino, Paola Gatti, Carlo Grometto, Mauro Penna

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The existing building was a former warehouse and bullet factory dating back from the XIX century: it had to be converted into offices for Costa Container Lines. The project envisaged the recovery of extraordinary cast-iron structure and timber floors. Due to the great width of the building (22 m.), an internal patio has been opened inside in order to allow natural light get inside: glazed walls and roof define the space of this central courtyard, making it a bright core of the complex. New metallic element have been designed as bolted steel sheet, recalling earlier industrial technologies. Two open space areas have been laid out at each floor.

Negozio Blu Architetti Associati, Gustavo Ambrosini, Cristiana Catino, Paola Gatti, Carlo Grometto, Mauro Penna  — Riuso ex Proiettilificio Ansaldo a Fiumara, Genova

Il progetto riguarda la ristrutturazione di un grande edificio di cinque piani, costruito come magazzino portuale nell’Ottocento e adibito a Proiettilificio dell’Ansaldo nei primi anni del Novecento. Una parte del fabbricato, pari a circa 7000 mq distribuiti su tutti i livelli, ospita i nuovi uffici della Costa Container Lines.

Negozio Blu Architetti Associati, Gustavo Ambrosini, Cristiana Catino, Paola Gatti, Carlo Grometto, Mauro Penna  — Riuso ex Proiettilificio Ansaldo a Fiumara, Genova

Il progetto di ristrutturazione degli spazi interni e di allestimento degli uffici si inserisce nel progetto di riuso dell’intero edificio curato dall’architetto De Mari. L’edificio, caratterizzato all’esterno da una scansione verticale delle aperture, presenta all’interno una sorprendente struttura formata da travi e pilastri in ghisa con capitelli sagomati e solai in legno.

Negozio Blu Architetti Associati, Gustavo Ambrosini, Cristiana Catino, Paola Gatti, Carlo Grometto, Mauro Penna  — Riuso ex Proiettilificio Ansaldo a Fiumara, Genova

Perno del progetto è il recupero della struttura originaria formata da una manica molto profonda (22 m.): tale problematica è stata risolta con la creazione di uno spazio a tutta altezza che diventa un pozzo di luce per illuminare con luce naturale gli spazi centrali.

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Viene a costituirsi una sorta di corte interna, di 8 metri di lato, chiusa da una facciata vetrata che si conclude con un grande lucernario che emerge sul tetto. I serramenti della corte vetrata sono di grandi dimensioni, sostenuti da una struttura metallica molto leggera; gli elementi che rivestono i solai dei diversi piani che si affacciano sulla corte sono stati rivestiti con fasce d’acciaio bullonate che richiamano nell’immagine la struttura originaria ottocentesca.

Negozio Blu Architetti Associati, Gustavo Ambrosini, Cristiana Catino, Paola Gatti, Carlo Grometto, Mauro Penna  — Riuso ex Proiettilificio Ansaldo a Fiumara, Genova

Il cavedio vetrato determina l’impianto distributivo dei piani dividendo ogni livello in due grandi open space lungo le facciate finestrate: i due ambienti si fronteggiano attraverso il cavedio vetrato che consente la connessione visiva dei luoghi di lavoro; una specie di “panottico rovesciato” che unisce visivamente tutti i piani. La disposizione delle postazioni di lavoro ha cercato di seguire la scansione spaziale dettata dalle finestre e dall’andamento della struttura delle travi in ferro: ne deriva una sequenza lineare di lunghi tavoli ognuno dei quali ospita tre postazioni di lavoro.

Negozio Blu Architetti Associati, Gustavo Ambrosini, Cristiana Catino, Paola Gatti, Carlo Grometto, Mauro Penna  — Riuso ex Proiettilificio Ansaldo a Fiumara, Genova

MU.BI.LAB centre - Marco Malacarne

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L’intero sito intorno al piccolo borgo di Vallezza rappresenta il primo giacimento petrolifero mai realizzato in Italia, nei primi anni del XX secolo. Si tratta di un vero e proprio parco minerario, che, oltre agli edifici residenziali del borgo: il “villaggio dei minatori” presenta un’officina meccanica necessaria a realizzare in loco i macchinari necessari al funzionamento delle trivelle, altri edifici e annessi, edifici residenziali, un sistema di tre centrali di pompaggio oggi in parte distrutte, e una rete di pozzi petroliferi diffusa lungo la collina.

Marco Malacarne — MU.BI.LAB centre

Tema principale del progetto è il rapporto tra il paesaggio, l’ambiente e l’edificio pubblico. Obiettivo del progetto è la realizzazione di un parco museo, che oltre a mettere in valore l’intera area di progetto, porti alla realizzazione di un piccolo centro studi, con auditorium e laboratori e un museo del petrolio vero e proprio, per esporre i resti materiali e immateriali dell’industria.

Marco Malacarne — MU.BI.LAB centre

Il progetto porrà l’attenzione sull’inserimento di un piccolo centro studi dedicato al Petrolio, con particolare attenzione al caso di Vallezza. Una piccola biblioteca e mediateca, un piccolo archivio necessario a conservare e restaurare le testimonianze materiali del ruolo dell’estrazione del petrolio nella società di Vallezza e di Fornovo di Taro, alcuni laboratori didattici necessari a scopo didattico.

Marco Malacarne — MU.BI.LAB centre

Marco Malacarne — MU.BI.LAB centre

Marco Malacarne — MU.BI.LAB centre

Marco Malacarne — MU.BI.LAB centre

Marco Malacarne — MU.BI.LAB centre

Marco Malacarne — MU.BI.LAB centre

Marco Malacarne — MU.BI.LAB centre

Meraviglia Pizzeria @ Shanghai - Area 17 Architecture & Interiors

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Area-17 has recently designed a traditional-style Italian pizzeria in Shanghai. A sequence of experiences and atmospheres, Meraviglia shifts among being inviting, convivial, social and romantic. The 140 square meter space stretches across two floors and includes a spacious outdoor patio with lights that create a welcoming and romantic ambience. A continuous wooden banquette defines the dining area, and at its core is the pizza oven, encased in wood and contemporary tiles.

Area 17 Architecture & Interiors — Meraviglia Pizzeria @ Shanghai

Meraviglia @ Shanghai | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Meraviglia Pizzeria @ Shanghai

Meraviglia @ Shanghai | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Meraviglia Pizzeria @ Shanghai

Meraviglia @ Shanghai | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Meraviglia Pizzeria @ Shanghai

Meraviglia @ Shanghai | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Meraviglia Pizzeria @ Shanghai

Meraviglia @ Shanghai | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Meraviglia Pizzeria @ Shanghai

Meraviglia @ Shanghai | by Area-17


Area-17 Office @ Shanghai - Area 17 Architecture & Interiors

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After 3 years spent in Bridge 8, and the need of a bigger space for its expansion, Area-17 Shanghai moved its office to a new location in the heart of the Former French Concession of Shanghai.

Area 17 Architecture & Interiors — Area-17 Office @ Shanghai

Area-17 Office @ Shanghai | by Area-17

Located in an early 19th century style building, at the back of Tianzifang traditional area, the new office has been designed with a clean atmosphere, a touch of industrial feeling and natural materials. An 8 meters long book shelf welcomes the guests showcasing the most recent design publications and new materials used in Area-17 projects.

Area 17 Architecture & Interiors — Area-17 Office @ Shanghai

Area-17 Office @ Shanghai | by Area-17

Breaking from traditional offices patterns, Area-17 office uses a clever way to redesign a comfortable and spacious open space as well as personal working space. Modern spotlights are being used in the open space creating a savant opposition with the industrial-looking designer lights at the office extremities.

For many designers, the usage of too many different textures and materials seems a bit ambitious, but Francesco Tarentini Senior Architect and Director made the perfect choices to divide the space by keeping the same simple color scheme but in different materials and textures. Woods, stone, glass and steel have been matched perfectly. The black walls and white ceiling enhance the visual impact of a longer office.

Gelsi Open Space @ florence - Area 17 Architecture & Interiors

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The challenge of this project is to create a simple yet dynamic space that is economical and flexible, and is able to accommodate various functional requirements, including retail, easy-going dining, and networking. In addition, the project seeks to create an open space while also generating feelings of privacy, in order for everyone to feel as though they have a space of their own. Simple, chromatic tones are used to underline the different areas for food and refreshments and social spaces for relaxation and reading. Area-17 achieves all of this with their design while also managing to create a feeling of natural well-being in a space that lacks any outdoor view.

Area 17 Architecture & Interiors — Gelsi Open Space @ florence

GELSI Open Space @ florence | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Gelsi Open Space @ florence

GELSI Open Space @ florence | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Gelsi Open Space @ florence

GELSI Open Space @ florence | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Gelsi Open Space @ florence

GELSI Open Space @ florence | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Gelsi Open Space @ florence

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GELSI Open Space @ florence | by Area-17

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GELSI Open Space @ florence | by Area-17

Jacob Cohen @ courchevel - Area 17 Architecture & Interiors

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The Italian luxury denim brand Jacob Cohen opens its fifth flagship store in the exclusive Courchevel Ski Resort in the heart of Savoy, France. Area-17 seeks to incorporate the true essence of Jacob Cohen within this space—the store is characterized by extremely refined interiors, reminiscent of an English sitting-room, covered with rich hand-polished wooden paneling. Touches of leather and steel are added to complete this “classic-meets-contemporary” space.

Area 17 Architecture & Interiors — Jacob Cohen @ courchevel

Jacob Cohen @ courchevel | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Jacob Cohen @ courchevel

Jacob Cohen @ courchevel | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Jacob Cohen @ courchevel

Jacob Cohen @ courchevel | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Jacob Cohen @ courchevel

Jacob Cohen @ courchevel | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Jacob Cohen @ courchevel

Jacob Cohen @ courchevel | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Jacob Cohen @ courchevel

Jacob Cohen @ courchevel | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Jacob Cohen @ courchevel

Jacob Cohen @ courchevel | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Jacob Cohen @ courchevel

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Chateau d'Ax @ Shanghai - Area 17 Architecture & Interiors

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Chateau d’Ax, leading Italian sofa brand selected Area-17 to re-define the showrooms design for the European and Asian markets. Modeling more than 15 of their new showrooms in Europe and China’s influential cities Area-17 focused on a mix of hard and soft textures throughout the shops. The vertical gardens system and the bare iron decorations give the shop a natural touch which emphasizes on the natural materials and expert craftsmanship used to manufacture Chateau d’Ax sofas.

Area 17 Architecture & Interiors — Chateau d'Ax @ Shanghai

Chateau d'Ax @ shanghai | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Chateau d'Ax @ Shanghai

Chateau d'Ax @ Shanghai | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Chateau d'Ax @ Shanghai

Chateau d'Ax @ Shanghai | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Chateau d'Ax @ Shanghai

Chateau d'Ax @ Shanghai | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Chateau d'Ax @ Shanghai

Chateau d'Ax @ Shanghai | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Chateau d'Ax @ Shanghai

Chateau d'Ax @ Shanghai | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Chateau d'Ax @ Shanghai

Chateau d'Ax @ Shanghai | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Chateau d'Ax @ Shanghai

Chateau d'Ax @ Shanghai | by Area-17

Area 17 Architecture & Interiors — Chateau d'Ax @ Shanghai

Chateau d'Ax @ Shanghai | by Area-17

Progetto espositivo Museo del Termalismo del complesso di Villa Draghi a Montegrotto Terme - Nike Maragucci, Michela Biancardi, Angela Cazzoli, Marina Giuffré, Michela Lauriola, Matteo Minzoni, Gaia Cammarata

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Le sorgenti di acqua fumante, sacra e benefica si uniscono alle acque di falda e a quelle meteoriche, originando i corsi d’acqua, le pozze, e i piccoli laghi, che fin dall’antichità hanno segnato e caratterizzato questo territorio e ne hanno definito la storia, le modalità insediative, la crescita economica e culturale fino ai nostri giorni. Il fluire dell’acqua e le zolle di terra intervallate dai piccoli canali diventano allora elemento fondante, filo conduttore e suggestione visiva del “racconto” museale, legando in un insieme organico le diverse parti. La rappresentazione simbolica del lago sacro, sorgente dalla quale tutte le acque fluiscono, viene posta al centro dell’allestimento delle due sezioni del museo.

Nike Maragucci, Michela Biancardi, Angela Cazzoli, Marina Giuffré, Michela Lauriola, Matteo Minzoni, Gaia Cammarata — Progetto espositivo Museo del Termalismo del complesso di Villa Draghi a Montegrotto Terme

Render del giardino esterno, sul fondo si vede il museo, mentre a destra si noti l'ingresso della biglietteria

Sulla base di queste considerazioni, la riproduzione evocativa dei canali d’acqua, intervallati dal terreno disgregato in zolle, crea una texture che intende rappresentare quel suolo dal quale ha avuto origine la storia esposta nel percorso dell’esibizione: i luoghi sacri, le terme, le civiltà che si sono susseguite con insediamenti ed architetture fra le quali anche la sede dell’allestimento stesso. Questa evocazione del tema dell’acqua e del suo fluire attraverso il territorio caratterizza figurativamente la proposta progettuale.

Nike Maragucci, Michela Biancardi, Angela Cazzoli, Marina Giuffré, Michela Lauriola, Matteo Minzoni, Gaia Cammarata — Progetto espositivo Museo del Termalismo del complesso di Villa Draghi a Montegrotto Terme

Piano Terra

LA BIGLIETTERIA. L’ingresso, situato nella parete occidentale, sarà identificato da un banner verticale su cui sarà ben visibile il logo del parco archeologico, presente anche su tutti i pannelli informativi che si trovano presso i siti archeologici della rete Aquae Patavinae. Si tratta di un richiamo visivo semplice, non invasivo e in grado di comunicare efficacemente la presenza del museo. All’interno l’acqua che sgorga dalla parete accoglie il visitatore e fluisce sul pavimento preannunciando in questo modo uno dei temi fondanti che verranno proposti nell’allestimento museografico. In un’ottica di continuità e di richiamo con il punto di accoglienza presente nella stazione ferroviaria di Montegrotto, posto all’estremo opposto del percorso di visita dei siti archeologici, si è scelto di caratterizzare il disegno della pavimentazione con una riproduzione parziale del mosaico della villa romana di via Neroniana. Allo stesso modo gli elementi di arredo della biglietteria e del bookshop avranno una forma circolare, diretto richiamo alla figura del lago sacro, primo nucleo catalizzatore dell’urbanizzazione del territorio.

Nike Maragucci, Michela Biancardi, Angela Cazzoli, Marina Giuffré, Michela Lauriola, Matteo Minzoni, Gaia Cammarata — Progetto espositivo Museo del Termalismo del complesso di Villa Draghi a Montegrotto Terme

Piano Primo

GLI SPAZI DI ACCESSO. L’ingresso agli spazi espositivi avviene attraverso l’ascensore e la scala posti sotto il porticato lungo la facciata sud. Per dare richiamo visivo e unità formale al nucleo distributivo verticale si è pensato di utilizzare un rivestimento consistente in un pannello di telo ininfiammabile di PVC tipo Barrisol prestampato e retroilluminato.

Nike Maragucci, Michela Biancardi, Angela Cazzoli, Marina Giuffré, Michela Lauriola, Matteo Minzoni, Gaia Cammarata — Progetto espositivo Museo del Termalismo del complesso di Villa Draghi a Montegrotto Terme

Biglietteria

L’USO RELIGIOSO DEL TERMALISMO. Qui la scelta progettuale è stata quella di porre il lago sacro, con la sua sorgente, al centro dell’allestimento: da esso scaturiscono simbolicamente i molti corsi d’acqua che andranno ad alimentare gli ambienti termali. Il visitatore entra in uno spazio che consente l’immersione sensoriale all’interno di un lago naturale, così come doveva apparire anticamente; egli può osservare gli elementi votivi sulle rive e ascoltare una voce narrante, attivata da un sensore, che reciterà brani tratti dalle fonti letterarie. Lo specchio d’acqua sarà simulato da una proiezione, mentre il paesaggio circostante sarà stampato su telo e retroilluminato.

Nike Maragucci, Michela Biancardi, Angela Cazzoli, Marina Giuffré, Michela Lauriola, Matteo Minzoni, Gaia Cammarata — Progetto espositivo Museo del Termalismo del complesso di Villa Draghi a Montegrotto Terme

Ingresso lato sud

LA TERMA IMPERIALE, LA CURA E IL BENESSERE- la balbeoterapia. Il visitatore si troverà all’interno della ricostruzione di uno spazio termale. A tal fine sulle pareti verranno proiettate le prospettive interne di un edifico termale di età imperiale, mentre il soffitto simulerà una decorazione a stucco mediante un telo stampato retroillluminato. La suggestione dell’ambiente termale troverà completamento in una vasca, ricostruita al centro dello spazio, nella quale uno schermo riprodurrà la presenza dell’acqua. Questo schermo, se toccato, fornirà ai visitatori ulteriori contenuti sull’uso dell’acqua termale nel modo romano. Nel secondo ambiente, sulla parete che fa da sfondo alla prima sala, all’interno di appositi vani costituiti da pannelli retroilluminati, verranno illustrate le altre metodiche terapeutiche: spruzzi di vapore per le sudationes e l’aerosol, zampilli d’acqua per la pinoterapia e la vasca per la fangoterapia.

Nike Maragucci, Michela Biancardi, Angela Cazzoli, Marina Giuffré, Michela Lauriola, Matteo Minzoni, Gaia Cammarata — Progetto espositivo Museo del Termalismo del complesso di Villa Draghi a Montegrotto Terme

Lago sacro

IL TEATRO VIRTUALE. Il teatro virtuale ha lo scopo di illustrare l’evoluzione del paesaggio dell’area euganea. La presenza dei canali d’acqua e delle zolle di terra, interrotta all’uscita dalla sezione precedente, accoglie nuovamente il visitatore. Da uno dei canali d’acqua, infatti, si eleva una parete che fungerà da pannello introduttivo per la nuova sezione e che allo stesso tempo delimiterà lo spazio dedicato alla visione del plastico del territorio euganeo. Quest’ultimo sarà completamente circondato da canali d’acqua per connotarne ulteriormente l’origine e l’evoluzione e sarà rivestito di corten, materiale simbolicamente utilizzato nell’allestimento, creato dall’uomo che proprio all’acqua deve la sua trasformazione. Se l’elemento dell’acqua si conserva e si sviluppa, il terreno su cui il visitatore è invitato a camminare invece si trasforma progressivamente in un basolato romano. Questa trasformazione in un elemento antropico vuole suggerire e introdurre una nuova fase tematica delle trasformazioni di questo territorio. Il visitatore, una volta raggiunte le gradinate che circondano il plastico, potrà osservare in un suggestivo quadro d’insieme i contenuti che verranno proiettati su di esso, ascoltare i commenti sonori di approfondimento e allo stesso tempo osservare i cippi romani confinari e la mappa del territorio patavino con l’antica viabilità.

Nike Maragucci, Michela Biancardi, Angela Cazzoli, Marina Giuffré, Michela Lauriola, Matteo Minzoni, Gaia Cammarata — Progetto espositivo Museo del Termalismo del complesso di Villa Draghi a Montegrotto Terme

IL TERRITORIO IN ETAROMANA. Questa sezione approfondisce lo sfruttamento del territorio nel periodo tardo repubblicano-primo imperiale, individuando quattro aree tematiche: la risorsa “acqua”, la risorsa “pietra”, la risorsa “terra”, la valenza sacra in età romana dell’acqua salutifera. La soluzione progettuale, proprio in virtù del legame di questi temi con il territorio, ha posto fortemente l’accento sulla presenza della terra e dell’acqua. È dai canali infatti che sorgono delle pareti d’acqua che fungono da totem delle singole aree tematiche, è dalle zolle del terreno che si sollevano sia i tavoli multimediali con gli schermi posti alle loro spalle sia le teche con i reperti esposti entrambi rivestiti di corten.

Nike Maragucci, Michela Biancardi, Angela Cazzoli, Marina Giuffré, Michela Lauriola, Matteo Minzoni, Gaia Cammarata — Progetto espositivo Museo del Termalismo del complesso di Villa Draghi a Montegrotto Terme

Il teatro viturale

LE TERME PUBBLICHE. Al visitatore verrà offerta un’esperienza particolare. Egli, infatti, si troverà immerso al suo ingresso, attraverso ricostruzioni e suggestioni luminose, dentro la riproduzione di uno degli ambienti termali del complesso archeologico dominato sul fondo dal calco della Statua del Dignitario (vasca A). Le colonne attraverso le quali il visitatore dovrà passare per raggiungere il vano con la vasca centrale sono suggerite da elementi luminosi. Una volta all’interno della sala, camminando nella vasca centrale realizzata con ecomalta a simulare la presenza dell’acqua, il pubblico potrà avere visione della pianta complessiva degli scavi. Sulle pareti compariranno su diversi schermi le ricostruzioni virtuali di ogni edificio del complesso.

Nike Maragucci, Michela Biancardi, Angela Cazzoli, Marina Giuffré, Michela Lauriola, Matteo Minzoni, Gaia Cammarata — Progetto espositivo Museo del Termalismo del complesso di Villa Draghi a Montegrotto Terme

il territorio in età romana

ABITARE IL LUSSO. Questa sezione illustra le villae romane del territorio patavino costruite proprio per la presenza dell’acqua termale. I reperti relativi alla villa di via Neroniana sono esposti nella sala all’interno di teche, un tavolo interattivo e degli schermi permettono di avere informazioni sulla vita domestica e sulle caratteristiche architettoniche di una dimora romana di prestigio. Nella sala seguente uno schermo a parete permette di conoscere le villae di età romana ritrovate nel territorio. Una teca posta vicino all’ingresso ne esporrà i reperti.

Nike Maragucci, Michela Biancardi, Angela Cazzoli, Marina Giuffré, Michela Lauriola, Matteo Minzoni, Gaia Cammarata — Progetto espositivo Museo del Termalismo del complesso di Villa Draghi a Montegrotto Terme

Nike Maragucci, Michela Biancardi, Angela Cazzoli, Marina Giuffré, Michela Lauriola, Matteo Minzoni, Gaia Cammarata — Progetto espositivo Museo del Termalismo del complesso di Villa Draghi a Montegrotto Terme

Abitare il lusso

Nike Maragucci, Michela Biancardi, Angela Cazzoli, Marina Giuffré, Michela Lauriola, Matteo Minzoni, Gaia Cammarata — Progetto espositivo Museo del Termalismo del complesso di Villa Draghi a Montegrotto Terme

le ville romane

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