“Il pensatore somiglia molto al disegnatore che vuol riprodurre nel disegno tutte le connessioni possibili.” [Ludwig Wittgenstein]
Una volta mi hanno detto che l’architetto dovrebbe dire poco o nulla di un proprio progetto: i disegni dovrebbero “parlare” da sé. Quindi, di seguito, esporrò numerose premesse a contorno della progettualità ed alcune conclusioni descrittive dell’idea sviluppata.
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© Diego Candito . Published on March 20, 2015.
PREMESSA ETICA“Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.” [Antoine de Saint-Exupéry (1900-1944), Il piccolo principe, 1943]
“La semplicitàè la necessità di distinguere sempre, ogni giorno, l’essenziale dal superfluo.” [Ermanno Olmi, regista de “Torneranno i prati” sulla Prima Guerra Mondiale, 2014]
“Verità, bontà, bellezza” [Osho, Il miracolo più grande, 1977]
“Firmitas, utilitas, venustas” [Vitruvio, De architectura, 15 a.C.]
“Quando pensavo che una sedia non potesse essere meno di questo… [schizzo semplice a linee di una sedia, ndr] ho visto questo… [foto di uomo seduto a terra con pezzo di stoffa circolare indossato tra la schiena e le gambe incrociate al grembo, ndr]. Tre cose si possono dire sulla sedia che avvolge questo indiano della tribù Ayoreo. Primo: quest’uomo non si può permettere altra sedia che questo modesto pezzo di stoffa. É importante saper progettare con scarsità di mezzi. Secondo: quest’uomo è un nomade; quindi, anche se potesse permettersela, nessun altro tipo di sedia avrebbe senso per lui. Il progetto deve anche essere preciso. Terzo: il pezzo di stoffa è il limite ultimo prima che il nome (sedia) diventi puro verbo (sedersi). Il progetto deve aspirare all’irriducibilità. Mi impegno perché il mio approccio al progetto risponda alla seguente equazione: il pezzo di stoffa sta alla sedia come X sta all’architettura. Cerco sempre di conferire a X un valore che sia il più possibile irriducibile.” [Marco Biagi, “Alejandro Aravena – progettare e costruire”, Mondadori Electa, Milano, 2007]
“Era una cosa a cui il prof. Bandini credeva, al di là di qualsiasi necessità accademica – lui, semplicemente, credeva che le cose stessero esattamente così, lo credeva anche quando era in bagno. Lui pensava, davvero, che gli uomini stanno sulla veranda della propria vita (esuli quindi da sé stessi) e che questo è l’unico modo possibile, per loro, di difendere la propria vita dal mondo, giacché se solo si azzardassero a rientrare in casa (e ad essere sé stessi, dunque) immediatamente quella casa regredirebbe a fragile rifugio nel mare del nulla, destinata ad essere spazzata via dall’onda dell’Aperto, e il rifugio si tramuterebbe in trappola mortale, ragione per cui la gente si affretta a ri-uscire sulla veranda (e dunque da sé stessa), riprendendo posizione là dove solo le è dato di arrestare l’invasione del mondo, salvando quanto meno l’idea di una propria casa, pur nella rassegnazione di sapere, quella casa, inabitabile. Abbiamo case, ma siamo verande, pensava.” [Alessandro Baricco, “City”, Rizzoli, 1999]
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“Il progetto ideale? Quello che non rappresenta alcuna idea ardita o originale o innovativa, che appare ben riferito ad un preciso ambito linguistico (del quale si conoscono alcune fondamentali vicende storiche), che si regge, che risulta giustamente proporzionato, con un uso coerente di materiali ben sfruttati, disegnato con partecipe correttezza e con un affettuoso entusiasmo.” [Giancarlo Carnevale, “Litanie e griffonages”, Officina Edizioni, Venezia, 1999]
“And today some architects like us refuse to be involved in some ideas. For us [...] no branding, no blobs, no parametric formalism, no icons, no iconic buildings, no networks, no logos, no blogs, no form-Z, no 3-D-MAX, no maya, no catia, no biomorphic design, no shapes, no non-standard-architecture, no high rise, no guggenheims, no archistars, [...] no architects-as-social-entrepreneur, no architect-as-social-opinionist, no-architect-as-cultural-opinionist, no architects-as-biennale-monkeys, no architecture-as-art, no architect-as-artist, no artists-as-architect, no art-as-architecture, no architect-as-expert-on-everything, no architect-as-journalist, [...] no confusing architecture with everything that is not architecture; no confusing life with everything that is not LIFE.” [Dogma – Pier Vittorio Aureli e Martino Tattara, “Architecture Refuses”, Serpentine Gallery Manifesto Marathon, London, 2008]
“Spesso prevale l’idea che per essere creativi bisogna essere completamente liberi. Non c’è nulla di più stupido di questa idea: perché, al contrario, per essere creativi bisogna avere dei limiti, bisogna accettarli questi limiti, è così che entri in profondità, è così che la tua energia viene attivata su certe cose.” [Renzo Piano, intervista al programma tv “Otto e mezzo”, canale La7, 25/01/2014]
“[...] È la commercializzazione di tutte le attività ricreative: se non porta soldi, fanculo anche l’ambiente! Come puoi immaginare, l’argomento si presterebbe a infinite discussioni e polemiche, che non ho più voglia di sostenere, già avendole inutilmente sostenute anni fa. Come te, io in montagna andavo per urgenza di spazi, natura, avventura e amicizia; e non sono solo sostantivi: sono disposizioni della sensibilità umana. Sono processi emozionali che si avvertono ineluttabili. E non sono negoziabili.” [C.M., alpinista e scrittore, corrispondenza privata, 10/12/2014]
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PREMESSA MATEMATICA“Il Modulor è una scala di proporzioni basate sulle misure dell’uomo inventata dall’architetto Le Corbusier come linea guida di un’architettura a misura d’uomo. Le Corbusier sviluppò il Modulor all’interno della lunga tradizione di Vitruvio, ripresa nell’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, i lavori di Leon Battista Alberti, e altri tentativi di trovare proporzioni geometriche e matematiche relative al corpo umano e di usare queste conoscenze per migliorare sia l’estetica che la funzionalità dell’architettura. Il sistema è basato sulle misure umane, la doppia unità, la sequenza di Fibonacci e la sezione aurea. Albert Einstein, a cui l’inventore del Modulor aveva sottoposto le proprie riflessioni, disse a riguardo che ‘è una gamma di proporzioni che rende il male difficile e il bene facile’. Diversi studi hanno riscontrato connessioni tra la sequenza di Fibonacci e le forme delle natura, sia statiche (struttura) che dinamiche (sviluppo). Nei frattali di Mandelbrot, governati dalla proprietà dell’autosomiglianza, si ritrovano i numeri di Fibonacci: l’autosomiglianza difatti è governata da una regola o formula ripetibile, così come la successione di Fibonacci.” [Wikipedia the Free Encyclopedia]
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PREMESSA GEOMETRICA“La suddivisione di un quadrato in tante parti uguali, mediante il tracciamento di rette equidistanti tra loro e parallele a ciascuna coppia di lati, offre l’esempio più semplice ed elementare di struttura modulare, vale a dire di struttura costituita da sottomultipli della figura di partenza. Ogni sottomultiplo così ottenuto è un modulo, termine che nell’accezione moderna sta ad indicare una forma base capace di componibilità sia con forme uguali a sé stessa, sia con quelle derivanti dai propri multipli e sottomultipli. La rete di linee che suddivide regolarmente la superficie modulata prende il nome di griglia o reticolo di riferimento, in quanto è facendo riferimento alle maglie di tale reticolo che si può razionalmente procedere a coordinare la posizione, le dimensioni e i rapporti intercorrenti fra gli elementi modulari prescelti in vista della soluzione del problema progettuale.
Il concetto di modularitàè di fondamentale importanza nella progettazione di elementi destinati ad essere realizzati industrialmente e ciò per i seguenti motivi:
- la coordinazione modulare porta a ridurre la varietà delle dimensioni e delle forme dei prodotti, consentendo così di sfruttare appieno i vantaggi che derivano dai processi di standardizzazione, di produzione di serie e di prefabbricazione propri dell’industria;
- l’intercambiabilità dei componenti modulari garantisce da un lato la sostituibilità nel tempo dei componenti stessi e, dall’altro, la libertà di aggregarli compositivamente e funzionalmente in modo diverso;
- la modularità comporta vantaggi economici sia rispetto ai costi di produzione, in quanto permette di concentrare gli sforzi di progettazione e di fabbricazione sopra una limitata varietà di prodotti, sia alle spese di trasporto e di messa in opera dei componenti coordinati.
Oltre a quella del quadrato, è di grande interesse anche la struttura del triangolo equilatero, ottenuta a sua volta suddividendo i lati del triangolo in parti uguali e conducendo, a partire dai punti così individuati, le parallele ai lati stessi. Il reticolo di riferimento che ne risulta è un reticolo tridirezionale, le cui maglie suggeriscono con immediatezza la possibilità di determinare vari multimoduli difformi (rombo, trapezio isoscele, esagono regolare).
Il triangolo equilatero (60°), il quadrato (90°) e l’esagono regolare (120°) sono gli unici poligoni regolari che, da soli, hanno la proprietà di costituire quel genere di reticoli modulari regolari noti, in matematica, con il termine di ‘piastrellature regolari’.” [G. Cinti, V. Valeri, “Disegno e progettazione”, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1992]
PREMESSA TECNOLOGICA“La tecnologia non è la conoscenza profonda della natura ma la relazione fra la natura e l’uomo.”
[Walter Benjamin]
“Le Corbusier progetta il complesso “Roq e Rob” presso Cap Martin sul mar Mediterraneo nel 1949. Questi studi sono dominati dalla preoccupazione di creare consonanza fra architettura e paesaggio della Costa Azzurra mediante una struttura alveolare che consenta a tutte le cellule residenziali di godere del panorama e nel contempo di concentrare i volumi costruiti lasciando intatto il territorio circostante. Per tale progetto, Le Corbusier declina le proporzioni del Modulor nel principio di brevetto ‘226×226x226’: la costruzione delle cellule d’abitazione si basa su un unico angolare standardizzato in ferro.” [W. Boesinger (a cura di), “Le Corbusier”, Serie di architettura, Zanichelli, Bologna, 1977]
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“Se noi analizziamo il pilastro progettato per il Padiglione di Barcellona (1929), possiamo notare come esso non abbia un’anima resistente, un nucleo di base che funga da elemento portante. In realtà, esso è composto da varie parti che, nel loro insieme, danno forma al pilastro, sostenendo così anche la funzione resistente. Questo aspetto è molto interessante perché significa affermare che non è un semplice materiale che esprime una ragione strutturale come il sostegno, ma è un’operazione, che per questo va attentamente concepita e progettata, a fornire una risposta a questa necessità. Se noi siamo in grado di assemblare varie parti tra di loro, unendole, saldandole, chiarendo la funzione di ognuna di esse, possiamo dare forma al sostegno.” [J. K. Mauro Pierconti, “Carlo Scarpa e il Giappone”, Mondadori Eelecta SpA, Milano, 2007]
“Il General Panel era un sistema costruttivo per case unifamiliari realizzato interamente in legno che fu sviluppato con Walter Gropius per rispondere alla domanda di case che sarebbe emersa dopo che gli Stati Uniti (con gli alleati) avrebbero vinto la guerra. Furono approfondite tutte le fasi del processo: l’investimento finanziario, la realizzazione di una fabbrica ad hoc, il sistema di trasporto dei componenti. Tutto ciò ruotava attorno ad un progetto frutto di una ricerca tecnologica che, nel rispetto della tradizione americana riferita alla casa in legno e, soprattutto, in virtù della precedente esperienza personale di Wachsmann, sviluppava e risolveva temi quali: la coordinazione modulare e le connessioni trai componenti. Per realizzarli si contava sulla precisione delle macchine utensili, mentre le soluzioni traevano origine dai principi di funzionamento dei sistemi di bloccaggio delle serrature del ‘500. La linea di produzione, oltre alla qualità, garantiva una notevole velocità di produzione. Wachsmann era molto fiero del fatto che lo sfrido di materiale fosse minimo, meglio di quanto si può fare oggi con i manufatti di legno lamellare.” [Gianfranco Roccatagliata, “Konrad Wachsmann. Il filosofo dell’innovazione” in “Sulle tracce dell’innovazione”, FrancoAngeli editore, 2002]
“Io sottolinerei la differenza tra architetto e ingegnere dicendo che il ruolo dell’architetto è principalmente creativo, e quello dell’ingegnere essenzialmente inventivo. L’architetto, come l’artista, muove le sue scelte da considerazioni personali, laddove l’ingegnere cerca invece di risolvere il problema in modo da esprimere le intrinseche proprietà della struttura, dei materiali o di altri elementi non soggettivi. Questa differenza tra creazione e invenzione è la chiave per capire la differenza tra architetto e ingegnere, e come possano lavorare sullo stesso progetto ma in modi differenti.” [A. Rocca, “Peter Rice, poeta del Brutalismo”, rivista Lotus n. 78, pag. 7]
Ferrino & C. SpA, Linea Protezione Civile, tenda Montana 19.
Franco Laner, ricerca Chamer su solaio bidirezionale da assemblare in cantiere con la precompressione nelle due direzioni, montaggio e sperimentazione, 1992.
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PREMESSA CONTESTUALE E MATERICA“CORTINA D’AMPEZZO – E’ l’architetto delle Dolomiti, l’architetto ‘alpino’, l’architetto delle ‘vacanze in montagna’ nella bella Cortina, dei villaggi turistici, ma anche l’architetto della ricostruzione di Longarone dopo la tragedia dell’inondazione del Vajont. Ma la sua fu una visione molto più che utopistica. Guardava alla natura come ad un interlocutore speciale, con cui dialogare con garbo e rispetto, ma anche giocare con complicità all’insegna dell’estro. Per questa sua indole Edoardo Gellner, istriano, scomparso nel 2004 a novantacinque anni, è stato il pioniere in Italia di un’idea del costruire basata sulle affinità elettive tra paesaggio ambientale e architettura in un’ottica risoluta della funzionalità. E oggi viene riconosciuto come un grande protagonista della scuola ‘organica’, autore, tra abitazioni e design di interni, di progetti unici e innovativi con cui sedusse la crescente domanda di edilizia turistica del secondo dopoguerra. A partire dal suo committente principale, l’illuminato presidente dell’Eni Enrico Mattei, con cui realizzò quella che viene considerata la sua opera più grandiosa e visionaria, il Villaggio di Borca di Cadore, realizzato tra il 1954 e 1963 incastonato in pieno scenario alpino per offrire il soggiorno vacanziero ai dipendenti.” [Laura Larcan, quotidiano La Repubblica, 07/08/2009]
Il larice è un albero detto “pioniere”, in quanto cresce nelle zone più alte e impervie della montagna, aggrappandosi con le sue radici al suolo roccioso e nutrendosi delle sostanze che gli offre la poca terra. La sua crescita è perciò lenta e forgia il suo tronco in anelli fitti, fornendo le peculiari caratteristiche di leggerezza e robustezza. Il larice, quindi, ben si addice allo spirito di un bivacco alpino: leggero, resistente, solitario.
Il cirmolo, o pino cembro, viene impiegato nella tradizione costruttiva alpina per la realizzazione di mobili e rivestimenti interni di pareti. Conifera dalle caratteristiche assimilabili al comune legno di abete, il cirmolo rilascia nell’ambiente un gradevole profumo che influisce positivamente sul comfort.
La robinia non è un albero originario del nostro Paese, ma ha avuto una rapida diffusione nel territorio. Nella realizazione della rete ferroviaria nazionale, è stato impiegato quale arbusto di irrigidimento della massicciata costituita da piccole pietre, dato il rapido accrescimento ed il ramificato apparato radicale. Il legno di robinia, di sezioni modeste ma di notevole robustezza, viene impiegato principalmente per gli elementi di connessione tra parti di mobili e strutture in genere.
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I pannelli di fibra di legno si ottengono per riciclo degli scarti delle segherie (cortecce, rami, ecc.). Le fibre di legno vengono aggregate senza compressione per effetto del potere collante della lignina, resina naturale presente nella fibra stessa. Il prodotto ottenuto è completamente biodegradabile e riciclabile e si presta ottimamente a diversi impieghi nella coibentazione termica e acustica di pavimenti, pareti e coperture.
L’ottone, con i suoi riflessi dorati, è stato adottato dall’architetto Carlo Scarpa per la realizzazione di numerosi dettagli delle sue opere: questa scelta è la più eslicita citazione di “L’elogio dell’ombra” di Tanizaki, libro molto amato dall’architetto. Annota, infatti, lo scrittore giapponese: “Un cofanetto,un tavolo minuscolo, una mensola a muro, tutti quegli oggetti in legno laccato così spesso decorati con disegni in polvere d’oro o d’argento … possono, se una luce troppo intensa vi cade, offendere gli occhi e apparire lampanti e persino volgari. Ma lasciate che, per qualche tempo le tenebre li intridano, e poi esponeteli non agli splendori del sole e dell’elettricità, ma ai deboli guizzi di un lume a olio o di una candela: subito assumeranno una fisionomia grave, sobria, nobilmente riflessiva.” [J. K. Mauro Pierconti, “Carlo Scarpa e il Giappone”, Mondadori Eelecta SpA, Milano, 2007]
Il colore “Marsala” (R:150,G:79,B:76) è stato scelto come Pantone dell’Anno 2015.
PREMESSA ESEMPLIFICATIVA
Carlo Mollino, Casa Capriata, 1954 (realizzato a Gressoney, Italia, 2008)
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Edoardo Gellner, Campeggio del Villaggio ENI, Borca di Cadore, Italia, 1965
Heidi e Peter Wenger, Casa Wenger, Rosswald, Svizzera, 1996
Andreas Henrikson, Black Box, Halmstad, Svezia, 1999
Studio Bearth & Deplazes, Baita Maiensass, Fanas, Svizzera, 1999
Gruppo Scout MILANO IV, Bivacco Wagner, Passo del Gries, Val d’Ossola, Lombardia, 1963
Maurizio Sartore, Bivacco Sartore, Acceglio, Piemonte, 2011
Giovanni Pesamosca, Bivacco Vuerich, Monte Foronon del Buinz, Friuli Venezia Giulia, 2012
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CONCLUSIONI“Quanto più lento sarai nel decidere di mettere per iscritto un’intuizione, tanto più matura essa ti si consegnerà.” [Walter Benjamin]
Quando pensavo che un bivacco non potesse essere meno di un essenziale ricovero d’emergenza, ho visto alcuni bivacchi high-tech. Non mi era mai capitato di osservare, nemmeno in un rifugio, una mole così imponente di dotazioni, di qualità dei materiali, di pulizia. Sono ben consapevole del fatto che i progettisti di queste opere abbiano cercato di concretizzare al meglio un programma funzionale assegnato, ottimizzando il budget a disposizione. Eppure, immaginando – credo di poterlo fare, forte di alcune esperienze di escursionismo estivo in alta montagna – un mio virtuale approdo ad uno dei suddetti bivacchi, ho provato un vago senso di inquietudine. Tutto è così tecnologico, raffinato, preciso, bello, pulito: non mi sono nemmeno reso conto che, solamente aprendo la porta e facendo qualche passo, ho già sporcato il pavimento con i miei scarponi e, levandomi il poncho che mi riparava dalla sottile pioggia serale, ho già spruzzato delle gocce sulla parete. Attorno a me, misurando lo spazio con lo sguardo, riscontro un comfort inatteso.
Mi viene dato di riflettere sul termine comfort, sul suo significato e sui suoi limiti, così bene espressi sull’etichetta di un qualunque sacco a pelo. Si potrebbero definire i limiti del comfort per un’attività di escursionismo?
ESPLORAZIONE<
ESCURSIONISMO<
CAMPEGGIO
In termini di emozioni, di attività fisica, di rapporto umano fra persone, di qualità dei pasti, di comfort sia in fase di cammino/arrampicata sia in fase di riposo, cosa si aspetta la persona che sceglie un’esperienza di escursionismo?
- A. Una stanza d’albergo o un piccolo appartamento in affitto per qualche giornata, da trascorrere in passeggiate e/o arrampicate quotidiane;
- B. Un rifugio da raggiungere in una giornata di cammino, dove potersi lavare, cenare, dormire, fare colazione per poi ripartire o tornare indietro;
- C. Un bivacco aperto e incustodito, dove potersi cambiare, preparare la cena e cenare, dormire, preparare la colazione e mangiare per poi ripartire o tornare indietro;
- D. La combinazione di due o più opzioni precedenti.
Tenuto conto del programma funzionale assegnato e del budget a disposizione, penso che la struttura da realizzare debba rispondere alle esigenze dei punti C e D.
Credo che l’escursionista del 2015, entrando in un bivacco, non debba provare un senso di inquietudine. Non deve sentirsi inadeguato, così sudato, così bagnato, così sporco. Non deve pensare se attaccare o meno alla presa di corrente il suo smartphone, che giace spento e carico in una tasca del suo zaino, pronto in caso d’emergenza. Non deve pensare se utilizzare o meno la piastra ad induzione per prepararsi la cena, che aveva già programmata al sacco oppure cucinata con il pratico fornelletto a gas che giace in un’altra tasca del suo zaino. Non deve pensare se utilizzare o meno la poca acqua portata fin lassù all’interno di tanichette in plastica da un litro, allo scopo di pulire un po’ il bivacco con l’intenzione di lasciarlo, se non migliore, almeno nelle condizioni in cui l’aveva trovato.
Quella persona, uomo o donna, singolo o in compagnia d’altri, in quel preciso punto della montagna c’è andato per altri motivi.
Quella persona ha deciso che, per un paio di giorni o più, la sua casa se la sarebbe portata sulle spalle, nelle sembianze di uno zaino. Quella persona ha deciso che, per ricercare delle emozioni già assaporate o provarne di nuove, per staccare con la reltà quotidiana, per arricchire il proprio tempo libero, coltivare le proprie passioni (letteratura, musica, fotografia, escursionismo, arrampicata, sci-alpinismo, ecc.) avrebbe dovuto:
- programmare bene l’escursione: condizioni atmosferiche, spostamenti, tempi, difficoltà, budget economico, ecc…;
- dotarsi di uno zaino in cui ogni grammo di attrezzatura rispondesse ad uno scopo preciso, anche in caso d’emergenza.
In quest’ottica, l’essenziale ricovero d’emergenza, che questa persona raggiunge dopo qualche ora o un’intera giornata di cammino, deve aiutarla a provare queste precise esperienze: deve aiutarla a raggiungere uno stato di soddisfazione, mediante adeguate risposte a ristrette necessità.
Non “less is more” (il meno è il più) e nemmeno “less is bore” (il meno è noia), ma “neither more nor less” (né più né meno).
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© Diego Candito . Published on March 20, 2015.
Il sistema costruttivo ideato appositamente per questo progetto è stato denominato “Bepìner” ed è dedicato a quattro persone che in questa sede non saranno menzionate.
Né il sistema costruttivo né il suo nome sono mai stati mostrati, pubblicati e/o utilizzati in altri progetti, mantenendo così il più assoluto anonimato.
Anni fa, all’università, una professoressa ha fatto notare a noi studenti che l’architetto Frank O. Gehry, nel realizzare la DZ Bank a Berlino, con la scelta di rivestire il prospetto nord dell’edificio con lastre di pietra Gialla di Vicenza dallo spessore di 18 cm, ha dovuto progettare un’ulteriore struttura metallica portante solamente per supportare il peso del materiale di rivestimento. Io, da quel giorno in poi, non ho mai smesso di chiedermi quante persone sappiano di questo, quanto denaro extra è costato, quanti materiali non rinnovabili sono stati impiegati, quanto surplus di bellezza architettonica ha donato questo espediente rispetto ad un rivestimento in lastre di pietra più sottili, ma soprattutto quante persone comuni, ammirando quotidianamente la DZ Bank, si accorgano di tutto questo.
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